Month: settembre 2022

ABBRUCIAMENTO DEGLI SCARTI VEGETALI

Rischio incendi, prorogato al 15 aprile il divieto di abbruciamenti -  Notizie | TVL TV Libera

DOMANDE:

1) Quando possono essere bruciati gli scarti vegetali derivanti dalla normale pratica agricola? 

2) Quali sono i soggetti che possono essere ammessi all’utilizzo di questa procedura?

3) Quando possono essere bruciati gli scarti vegetali derivanti dalla manutenzione del verde? 

RISPOSTE:

1) Per la prima casistica si riporta sotto il disposto dell’art. 182, comma 6 bis del D.Lgs 152/06.

2) Possono avvalersi di questa procedura esclusivamente coloro che sono classificati giuridicamente (iscritti alla C.C.I.A.A) con la qualifica di Imprenditore agricolo e dispongano di almeno un  ettaro (1 ha) di terreno agricolo per ogni tre metri steri/giorno (misura agronomica che significa, a grandi linee vuoto per pieno), a condizione che gli scarti derivanti dalla combustione vengano riutilizzati come “ammendanti agrari” in sostituzione dei concimi sintetici.

3) Per coloro che praticano per professione la manutenzione del verde pubblico e/o privato, questa deroga è esclusa.

In questi casi coloro che procedono all’abbruciamento di questi scarti incorrono in tre sanzioni:

a) illecito smaltimento di rifiuti (art. 208 e/o 216 sanzionato dall’art. 256 del D.Lgs 152/06);

b) violazione dell’art. 269, sanzionato dall’art. 279 del D.Lgs 152/06, per aver immesso fumi in atmosfera in assenza della specifica autorizzazione;

c) violazione art. 674 C.P. “Getto pericoloso di cose”.

La disposizione normativa che viene affrontata è costituita dalle integrazioni apportate all’articolo 182 del summenzionato D. Lgs. 152/06, in particolare l’aggiunta del comma 6-bis (attività di raggruppamento e abbruciamento in piccoli cumuli e in quantità giornaliere non superiori a tre metri steri per ettaro). Con tale modifica integrativa il Legislatore ha inteso ratificare una pratica operativa adottata dagli imprenditori agricoli da tempo; verrebbe da pensare che questa procedura di disfarsi degli scarti di potatura rientri fra quelle che il nostro ordinamento giuridico ha inteso inserire fra: usi, costumi e consuetudini. Una modalità d’intervento la quale sembrerebbe possedere i principi ispiratori dell’ordinamento giuridico poiché fra le “Fonti del Diritto” rientrano a pieno titolo anche usi, costumi e consuetudine. Ciò detto, per quanto riguarda questa particolare gestione degli scarti vegetali derivanti dalla normale pratica agricola, vanno comunque fatte salve le disposizioni di tipo generale relativamente ai periodi di massimo rischio per gli incendi boschivi, dichiarati dalle regioni, unitamente alle disposizioni impartite dai comuni e le altre amministrazioni competenti. Questi possono differire o vietare la combustione del materiale di cui al presente comma all’aperto e in tutti i casi in cui sussistono condizioni meteorologiche, climatiche o ambientali sfavorevoli nonché, in tutti i casi in cui, da tale attività, possano derivare rischi per la pubblica e privata incolumità e per la salute   umana, con   particolare riferimento al rispetto dei livelli annuali delle polveri sottili (PM10)

Di seguito si riporta integralmente la disposizione normativa (art. 182 comma 6 bis del D. Lgs 152/06).

“Le attività di raggruppamento e abbruciamento in piccoli cumuli e in quantità giornaliere non superiori a tre metri steri per ettaro dei materiali vegetali di cui all’art. 185, comma 1, lett. f), effettuate nel luogo di produzione, costituiscono normali pratiche agricole consentite per il reimpiego dei materiali come sostanze concimanti o ammendanti e non attività di gestione rifiuti.

Nei periodi di massimo rischio per gli incendi boschivi, dichiarati dalle Regioni, la combustione dei residui vegetali agricoli e forestali è sempre vietata.

I Comuni e le altre amministrazioni competenti in materia ambientale hanno la facoltà di sospendere, differire o vietare la combustione del materiale  di cui al presente comma  all’aperto in tutti i casi in cui sussistono  condizioni meteorologiche, climatiche o ambientali sfavorevoli  e in tutti i casi in cui da tale attività possono derivare rischi per la pubblica e privata incolumità e per la salute umana, con particolare  riferimento al rispetto dei livelli annuali delle polveri sottili (PM10).”

Allegato: DOCUMENTAZIONE FOTOGRAFICA ABBRUCIAMENTO

Alberto Casoni - Perito Industriale - ex responsabile ...

Dott. Alberto Casoni

Docente APL Marche “Ambiente”

DECORRENZA DEL TERMINE DI NOTIFICAZIONE DELLA VIOLAZIONE EX ART. 14 L. 689/81: CASS. CIV., II, 27/09/22 N° 28150

Assunzioni postini Poste Italiane: requisiti e scadenza domanda -

IL TERMINE PER LA NOTIFICA DEL VERBALE DI ACCERTAMENTO DI VIOLAZIONE AI SENSI DELL’ART. 14 DELLA L. 689/81 (90 GIORNI) DECORRE DAL MOMENTO IN CUI L’ORGANO ACCERTATORE ACQUISISCE COGNIZIONE DELLA VIOLAZIONE NELLA SUA MATERIALITA’?

La risposta è NEGATIVA e ci arriva dalla Cass. Civ., II, 27/09/22 n° 28150 (scarica e leggi) per la quale:

“…E’ costante orientamento…che il momento dell’accertamento non si identifica con quello in cui viene acquisito il fatto nella sua materialità, ma con l’acquisizione e valutazione di tutti i dati indispensabili ai fini della verifica dell’esistenza della violazione e per la quantificazione della sanzione…”,

specificando come

“…Compete al giudice di merito accertare quale sia il momento in cui la constatazione si è tradotta, o si sarebbe potuta tradurre, in accertamento, dovendosi a tal fine tener conto, oltre che della complessità della materia, delle particolarità del caso concreto anche con riferimento al contenuto e alle date delle operazioni…”.

Si legga anche l’articolo “ACCERTAMENTO” DELLA VIOLAZIONE AI SENSI DELL’ ART. 14 L. 689/81: CASS., II, 04/08/22, N° 24209

Giovanni Paris

AVVISO ORALE DI ASSISTENZA DI DIFENSORE NON RISULTANTE DA VERBALE E PROVA ACCERTAMENTO TASSO ALCOLEMICO: CASS. PEN., IV, 15/09/22 N° 33985

attenzione • Succede in Italia

LA MANCATA VERBALIZZAZIONE DELL’AVVISO ALLA PERSONA SOTTOPOSTA A PROVA DEL TASSO ALCOLEMICO DELLA FACOLTA’ DI FARSI ASSISTERE DA DIFENSORE DI FIDUCIA, QUINDI DATO SOLO ORALMENTE, INVALIDA L’ATTO DI ACCERTAMENTO?

La situazione sopra descritta sicuramente è frutto di un “infortunio di percorso” nella quale alla sostanza, l’avvenuto avviso obbligatorio per legge, non è seguita la forma, la verbalizzazione dello stesso nel verbale, sappiamo che la forma è anche sostanza, ma l’atto può essere salvaguardato?

Interessante ed importante pronunciamento della Suprema Corte con CASS. PEN., IV, 15/09/22 N° 33985 , la quale si è occupata principalmente di rispondere alla questione relativa all’obbligo di fornire l’avviso ex art. 114 disp. att. c.p.p in caso richiesta di accertamento del tasso alcolemico con rifiuto del soggetto e l’esito è stato quello di affermare che “…é ormai granitico ed é qui condiviso – stante la stretta ed esclusiva funzionalità dell’avviso ex art. 114 disp.att. cod. proc. pen. all’effettiva esecuzione di un accertamento tecnico non ripetibile – l’indirizzo giurisprudenziale in base al quale l’obbligo di dare avviso al conducente della facoltà di farsi assistere da un difensore per l’attuazione dell'”alcoltest” non sussiste in caso di rifiuto di sottoporsi all’accertamento, in quanto la presenza del difensore é funzionale a garantire che l’atto in questione, in quanto non ripetibile, sia condotto nel rispetto dei diritti della persona sottoposta alle indagini…”.

Di ciò ci occupammo in un recente articolo OBBLIGO AVVISO ASSISTENZA DIFENSORE PER ACCERTAMENTO TASSO ALCOLEMICO ANCHE IN CASO DI RIFIUTO?

La sentenza si palesa importante però perché argomenta che l’avviso in discussione, anche se non verbalizzato, ma comunque dato verbalmente, può essere considerato come dato e valido:  “…l’avviso de quo, benché non verbalizzato, risulta comunque dato verbalmente al ricorrente, come risulta dalla motivazione della sentenza impugnata, che si diffonde ampiamente nell’illustrare le ragioni a sostegno di quanto riferito al riguardo dai militari operanti: e ciò soddisfa comunque le condizioni previste, a fini probatori, in ordine all’effettività dell’avviso medesimo, atteso che la prova dell’avvenuto adempimento dell’obbligo di dare avviso alla persona sottoposta ad esame alcolimetrico della facoltà di farsi assistere da difensore di fiducia, ove non risultante dal verbale, può essere data mediante la deposizione dell’agente operante, spettando al giudice valutare, fornendone rigorosa motivazione, la precisione e completezza della testimonianza, le ragioni della mancata verbalizzazione dell’avviso e la tempestività dell’avvertimento…“.

L’attività svolta può essere resa salva, ma condizionata alla valutazione del giudice, quindi non vi è certezza assoluta dell’esito, pertanto bisogna evitare tale situazione e prestare massima attenzione.

Giovanni Paris

ACCERTAMENTO TASSO ALCOLEMICO ED AVVISO DI ASSISTENZA DI DIFENSORE A SOGGETTO UBRIACO: CASS. PEN., IV, 26/09/22 N° 36048

Ubriaco al volante provoca incidente: denuncia e patente ritirata - La  Provincia

SI PUO’ PROCEDERE ALLA PROVA DI ACCERTAMENTO DEL TASSO ALCOLEMICO NEL CASO IN CUI IL SOGGETTO CHE DEVE ESSERVI SOTTOPOSTO E’ IN UN TALE STATO PSICO-FISICO DA NON COMPRENDERE L’AVVISO CHE L’ORGANO DI POLIZIA GLI FORNISCE IN ORDINE ALLA FACOLTA’ CHE HA DI FARSI ASSISTERE DA DIFENSORE DI FIDUCIA?

La questione è stata affrontata dalla Suprema Corte CASS. PEN., IV, 26/09/22 N° 36048. (scarica e leggi)

Prima di riportare l’esito del giudizio un breve riepilogo normativo.

L’accertamento mediante l’utilizzo dell’etilometro, per le sue caratteristiche e per la sua finalità di investigazione e di assicurazione delle fonti di prova, si classifica come controllo sulla persona e rientra nella categoria degli “atti di urgenza” o “atti a sorpresa”.

Dal punto di vista processuale tale accertamento si inquadra nell’ambito degli accertamenti urgenti sulle persone che, ai sensi dell’art. 354, comma 3, c.p.p., sono sempre consentiti agli organi di polizia giudiziaria anche di iniziativa.

L’art. 356 c.p.p. prevede che il difensore della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini ha la facoltà di assistervi, senza diritto di essere preventivamente avvisato.

L’ograno di polizia giudiziaria procedente però ai sensi dell’art. 114 disp. att. c.p.p. ha l’obbligo di avvertire la persona che viene sottoposta alla prova mediante etilometro che, in qualità di persona sottoposta alle indagini, ha la facoltà di farsi assistere dal difensore di fiducia.

L’avvertimento va fatto verbalmente, ma va trasfuso nel corpo del verbale che si va a redigere.

La mancata indicazione del difensore di fiducia da parte del soggetto indagato non pregiudica pero’ la possibilità di procedere all’accertamento, così come si procede ugualmente all’accertamento senza dover aspettare l’arrivo del difensore pur essendo stata effettuata la sua indicazione.

Ritornando al quesito la risposta è AFFERMATIVA.

La Corte nella sentenza sopra citata ha affermato che “…Nel caso in cui la polizia giudiziaria compia di iniziativa gli accertamenti urgenti sulle persone (sui luoghi e sulle cose) previsti dall’art. 356 cod. proc. pen., l’imputato (Sic!!) non deve essere avvisato ai sensi dell’art. 114 disp. att. cod. proc. pen. della facoltà di farsi assistere da un difensore. Si tratta di previsione volta a garantire il controllo da parte del difensore della correttezza dell’operato della polizia giudiziaria. L’avviso, come ovvio, per potere esplicare la sua funzione, presuppone che il soggetto che ne è destinatario sia in condizione tale da poterne comprendere il significato e decidere di conseguenza se avvalersi o meno della relativa facoltà. Nelle ipotesi in cui il soggetto destinatario dell’avviso si trovi in condizione tale da non poter comprendere quanto gli viene detto, tuttavia, l’atto, proprio perché urgente, non può essere differito, pena il vanificarsi dello scopo a cui è preordinato. Per tale ragione la Corte di Cassazione ha già avuto modo di precisare, in tema di guida in stato di ebbrezza alcolica, che non è configurabile a carico della polizia giudiziaria operante l’obbligo di attendere che l’interessato sia in stato psicofisico tale da poter comprendere l’avviso della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia nel compimento dell’alcoltest, trattandosi di atto urgente ed indifferibile, il cui esito, essendo legato al decorso del tempo, può essere compromesso definitivamente dall’attesa suddetta, sicché in casi di tal fatta l’avviso può essere pretermesso...”.

Giovanni Paris

DIVIETO DI ACCENDERE FUOCHI D’ARTIFICIO: TAR LOMBARDIA, IV, 21/09/22 N° 2034

Foto

E’ LEGITTIMO PREVEDERE CON ORDINANZA O REGOLAMENTO COMUNALE IL DIVIETO ASSOLUTO SU TUTTO IL TERRITORIO, ANCHE SE TEMPORALMENTE LIMITATO, DI ACCENSIONE DI FUOCHI ARTIFICIALI APPARTENENTI A QUALSIASI TIPOLOGIA?

La risposta ci viene dal recente pronunciamento del TAR LOMBARDIA, IV. 21/09/22 N° 2034  (scarica e leggi) che ha disposto l’annullamento di una norma regolamentare comunale avente tale contenuto.

L’organo di giustizia amministrativa argomenta compiutamente il giudizio ricordando che “…la potestà regolamentare comunale rinviene il proprio fondamento nella Costituzione che, all’art. 117, sesto comma, terzo periodo, stabilisce che “i Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite”. Anche la legislazione primaria riconosce espressamente una tale potestà, statuendo che, “nel rispetto dei principi fissati dalla legge e dello statuto, il comune e la provincia adottano regolamenti nelle materie di propria competenza ed in particolare per l’organizzazione e il funzionamento delle istituzioni e degli organismi di partecipazione, per il funzionamento degli organi e degli uffici e per l’esercizio delle funzioni” (art. 7 del D. Lgs. n. 267 del 2000 – Testo unico degli Enti locali. …”.

Continua affermando che “…Tale assetto – direttamente correlato alla circostanza che il Comune è Ente a competenza generale, rappresentativo della collettività presente sul proprio territorio (cfr. art. 3, comma 2, del D. Lgs. n. 267 del 2000) – deve essere tuttavia coordinato con l’applicazione nell’ambito pubblicistico – almeno in via generale e salvo eccezioni – del principio di legalità (ex art. 97 Cost.), che presuppone la sussistenza di una norma primaria attributiva, anche in via implicita, del potere o della funzione a un determinato organo o Ente, in modo da legittimarne l’intervento in sede normativa, e quindi anche regolamentare…”.

Osserva come “…la disposizione impugnata…che stabilisce il “divieto di accendere fuochi d’artificio (compresi i petardi, mortaretti e artifici esplodenti in genere) nel periodo compreso tra il 1° ottobre e il 31 marzo”, vada a interferire con una materia – quella dei materiali esplodenti – di competenza legislativa (e regolamentare) esclusiva statale (art. 117, secondo comma, lett. d, Cost.), già oggetto di compiuta disciplina da parte del D. Lgs. n. 123 del 2015, a sua volta attuativo della Direttiva n. 2013/29/UE. In particolare, la contestata disposizione comunale – sebbene adottata nel perseguimento di finalità di tutela ambientale (certamente rientranti nella titolarità del Comune con riguardo al proprio ambito territoriale) – si pone in netto contrasto con la normativa sovraordinata ed eccede l’ambito di competenza dell’Ente locale. …”.

Inoltre sottolinea che “…Nemmeno la normativa in materia di qualità dell’aria abilita il Comune ad adottare norme regolamentari derogatorie della normativa settoriale primaria riguardante l’utilizzo del materiale pirotecnico. In tal senso la legislazione ordinaria che si occupa della tutela della qualità dell’aria (relativa alla materia “ambiente”, pure appartenente alla competenza esclusiva, sia legislativa che regolamentare, dello Stato, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lett. s, e sesto comma, Cost.), ossia il D. Lgs. n. 155 del 2010, affida alle Regioni la competenza ad adottare un Piano che introduca le misure necessarie per agire sulle principali sorgenti di emissione aventi un impatto negativo sulla qualità dell’aria, al fine di raggiungere i valori limite imposti dalla legge…”.

Giovanni Paris

FORZE DI POLIZIA, FORZE ARMATE E POLIZIA LOCALE: CASS. PEN., I, 22/09/22 N° 35328

Importanti novità pensioni militari e forze di polizia: il governo  riconosce la specificità con misure compensative ed integrative - INFODIFESA

LA POLIZIA LOCALE FA PARTE DELLE FORZE DI POLIZIA? RIENTRA TRA LE FORZE ARMATE?

Sappiamo che il diritto, come altre branche del sapere, è materia tecnica ed in quanto tale sconta l’uso di terminologie ed espressioni tecniche che hanno un preciso significato tecnico, ma alle quali, nell’uso quotidiano, sovente viene attribuito un significato che si discosta da quello autentico e corretto.

Uno di questi casi riguarda l’espressione “Forze di Polizia”, la quale qualifica una serie di organismi che svolgono particolari funzioni di polizia e specificamente attività di POLIZIA DI SICUREZZA, categoria facente parte della POLIZIA AMMINISTRATIVA.

Ricordiamo che la POLIZIA AMMINISTRATIVA è l’attività della Pubblica Amministrazione che si attua attraverso misure preventive e repressive in modo tale che dall’attività dei privati non derivino danni sociali e siano osservati gli obblighi, i divieti e le limitazioni imposti dalla legge all’attività dei singoli.

La polizia amministrativa (genus) si può ulteriormente distinguere (species) in POLIZIA AMMINISTRATIVA IN SENSO STRETTO  e POLIZIA DI SICUREZZA.

La polizia amministrativa in senso stretto si suddivide in categorie (settori) a seconda degli interessi pubblici tutelati e delle materie trattate.

Avremo quindi, ad esempio, la polizia:

  • edilizia,
  • commerciale,
  • tributaria,
  • annonaria,
  • stradale.

Rileva in particolar modo all’interno della categoria polizia amministrativa la polizia di sicurezza per la tipologia di interessi pubblici tutelati quali l’ordine pubblico, la sicurezza pubblica, l’incolumità dei cittadini, la proprietà (v. art. 1 T.U.L.P.S.).

Il riferimento normativo relativo alle “Forze di Polizia” lo troviamo nell’art. 16 “Forze di polizia” della L. 121/81 “Nuovo ordinamento dell’Amministrazione della pubblica sicurezza”:

“Ai fini della tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, oltre alla polizia di Stato sono forze di polizia, fermi restando i rispettivi ordinamenti e dipendenze:
a) l’Arma dei carabinieri, quale forza armata in servizio permanente di pubblica sicurezza;
b) il Corpo della guardia di finanza, per il concorso al mantenimento dell’ordine e della sicurezza pubblica (24).
Fatte salve le rispettive attribuzioni e le normative dei vigenti ordinamenti, sono altresì forze di polizia e possono essere chiamati a concorrere nell’espletamento di servizi di ordine e sicurezza pubblica il Corpo degli agenti di custodia e il Corpo forestale dello Stato. …”

Quindi nell’ambito complessivo degli organi che svolgono funzioni di polizia rilevano le FORZE DI POLIZIA propriamente dette come individuate dall’art. 16 della L 121/81 sopra riportato e che sono:

  • la POLIZIA DI STATO,
  • l’ARMA DEI CARABINIERI,
  • la GUARDIA DI FINANZA,
  • la POLIZIA PENITENZIARIA,
  • il CORPO FORESTALE DELLO STATO.

La disposizione normativa deve tener conto del DECRETO LEGISLATIVO 19/08/16 , n° 177 “Disposizioni in materia di razionalizzazione delle funzioni di polizia e assorbimento del Corpo forestale dello Stato, ai sensi dell’articolo 8, comma 1, lettera a), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”, ove si prevede all’art. 7. “Assorbimento del Corpo forestale dello Stato nell’Arma dei carabinieri e attribuzione delle funzioni”:

“1. Il Corpo forestale dello Stato è assorbito nell’Arma dei carabinieri, la quale esercita le funzioni già svolte dal citato Corpo previste dalla legislazione vigente alla data di entrata in vigore del presente decreto…”

L’elencazione posta dall’art. 16 della L. 121/81 è tassativa e gli altri organi che pure svolgono funzioni di polizia non possono qualificarsi come “Forze di Polizia”.

Per quanto sopra la Polizia Locale, pur svolgendo funzioni di polizia e dotata di una struttura organizzativa fortemente gerarchizzata, NON è Forza di Polizia.

Ancora, anche l’espressione “Forze armate” indica una specifica categoria di organismi pubblici e la Polizia Locale NON ne fa parte e l’occasione per confermare tale, risaputa, esclusione viene dalla sentenza della Cass. Pen., I, 22/09/22 n° 35328, che si è occupata del riconoscimento o meno della applicabilità dell’art. 290 cod. pen. “Vilipendio della Repubblica, delle istituzioni costituzionali e delle forze armate” per un fatto offensivo condotto contro la Polizia Locale, concludendo che “…La Polizia locale di un Comune non possiede la qualifica di ‘forza armata’ anche se sono in dotazione degli agenti della polizia municipale armi da fuoco. In Italia le forze armate sono costituite dall’Esercito, dalla Marina militare, dall’Aeronautica militare. Mentre l’Arma dei Carabinieri ha assunto tale qualifica con il D.lgs n. 297 del 05/10/00. Gli altri corpi militari dello Stato e le forze di polizia civili non possiedono tale qualifica, che costituisce elemento normativo indispensabile richiesto dalla fattispecie di cui all’art. 290 cod. pen. . Un fatto commesso con riferimento alla Polizia locale, che non è nemmeno un reparto militare, non può integrare, di conseguenza, il reato di cui all’art. 290 cod. pen.”.

Giovanni Paris

DECRETO MINISTERIALE 05/09/22 IN MATERIA DI DISPOSITIVI COUNTDOWN SEMAFORICI

In arrivo i semafori con il conto alla rovescia anche per le auto. Ecco che  cosa cambia- Corriere.it

Firmato lo schema di decreto sui dispositivi countdown semaforici che individua le caratteristiche, i requisiti, le modalità e i termini per l’installazione dei dispositivi countdown nei semafori stradali, prevedendo i casi in cui l’installazione dei dispositivi è obbligatoria o a discrezione degli enti proprietari delle strade. 

Il Decreto contiene altresì un allegato tecnico con i requisiti funzionali dei countdown, le modalità di funzionamento e le diverse caratteristiche, le modalità di installazione.

Viene prevista infine l’installazione dei dispositivi entro due anni dall’approvazione del Programma triennale dei lavori pubblici o del Programma biennale per l’acquisizione di forniture e servizi per gli impianti semaforici esistenti, quando la installazione è obbligatoria.

D.M. 05/09/22

Giovanni Paris

COMPETENZA DI POLIZIA GIUDIZIARIA DELLA POLIZIA LOCALE: CASS. PEN., III, 30/08/22 N° 31930

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L’ATTIVITA’ DI POLIZIA GIUDIZIARIA DEGLI APPARTENENTI ALLA POLIZIA LOCALE E’ LIMITATA SOLO AI REATI CHE RIGUARDANO “INTERESSI COMUNALI” (COMPETENZA LIMITATA) O COMPRENDE TUTTI I TIPI DI REATO (COMPETENZA GENERALE)?

Abbiamo avuto sinceramente “imbarazzo” a proporre la suddetta domanda ed eravamo in dubbio se formularla per la ovvietà della risposta, ma purtroppo per qualcuno la questione non era così chiara, perché ci vediamo, con stupore, costretti a registrare un pronunciamento della Corte di Cassazione che ha ancora dovuto occuparsene e che non poteva che rispondere secondo quanto appresso riportato.

Chi ancora afferma che la polizia locale non sia organo di polizia giudiziaria a competenza generale merita un NO COMMENT!.

Per Cass. Pen., III, 30/08/22 n° 31930 “…Costituisce…insegnamento risalente, ma mai messo in discussione, quello secondo cui, ai sensi dell’art. 5 legge 7 marzo 1986, n. 65 e dell’art. 57, comma secondo, lett. b) cod. proc. pen. la qualità di agenti di polizia giudiziaria è espressamente attribuita alle guardie dei comuni, alle quali è riconosciuto il potere di intervento nell’ambito territoriale dell’ente di appartenenza e nei limiti delle proprie attribuzioni, tra le quali rientra lo svolgimento di funzioni attinenti all’accertamento di reati di qualsiasi genere, che si siano verificati in loro presenza, e che richieda un pronto intervento anche al fine di acquisizione probatoria…”, aggiungendo che  “…come espressamente precisato da altra pronuncia, dall’art. 57 cod. proc. pen. non si evince che l’attività di agenti di polizia giudiziaria attribuita ai vigili urbani (sic!) debba essere limitata ai soli reati che ledano interessi comunali, in quanto la dizione della norma ha carattere generale e la disposizione è confermativa di quella contenuta nell’art. 5, comma 1, lett. a), legge 7 marzo 1986, n. 65, sull’ordinamento della polizia municipale…”.

N.B. Le censure che contestavano l’attività della polizia locale, in quanto si sarebbe occupata di reati esorbitanti la sua competenza, sono state dichiarate manifestamente infondate e il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali, nonché – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al versamento a favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila.

Speriamo sia l’ultima…

Giovanni Paris

ARRESTO DI POLIZIA GIUDIZIARIA E “QUASI FLAGRANZA” – ART. 382 C.P.P. : CASS. PEN., II, 16/09/22 N° 34375

L’ “arresto” sotto il profilo processualpenalistico e’ un atto di polizia giudiziaria di iniziativa e costituisce una misura di coercizione personale, di limitazione della libertà personale avente natura precautelare.
Esso trova disciplina negli artt. 380 (arresto obbligatorio) e 381 (arresto facoltativo) del c.p.p. e prevede quale condizione per la sua esecuzione lo stato di “flagranza” del reato.

Cosa si intende per “flagranza” di reato?

L’ art. 382 c.p.p. “Stato di flagranza” prevede alternativamente che è in stato di flagranza:
1. chi viene colto nell’atto di commettere il reato,
2. chi, subito dopo il reato, è inseguito dalla polizia giudiziaria, dalla persona offesa o da altre persone,
3. chi è sorpreso con cose o tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima.

Il vecchio c.p.p. prevedeva all’art. 237 una distinzione, ora non più riportata nelle disposizioni dell’art. 382 c.p.p., tra “flagranza” e “quasi flagranza”, ricomprendendo in quest’ultima le situazioni di cui ai numeri 2. e 3. sopra riportati, ora l’art. 382 c.p.p. accoglie una nozione unitaria di “stato di flagranza” facendo confluire in essa, oltre alla fattispecie di flagranza “propria”, o in senso stretto, i casi di c.d. flagranza “impropria”, o quasi flagranza.

La Cass. Pen., II, 16/09/22 n° 34375 (scarica e leggi) si occupa della situazione di cui al punto 3 affermando che “…in tema di arresto nella quasi flagranza del reato, il requisito della sorpresa del reo con cose o tracce del reato non richiede la diretta percezione dei fatti da parte della polizia giudiziaria, nè che la “sorpresa” non avvenga in maniera casuale, ma solo l’esistenza di una stretta contiguità fra la commissione del fatto e la successiva sorpresa del presunto autore di esso con le “cose” o le “tracce” del reato e dunque il susseguirsi, senza soluzione di continuità, della condotta del reo e dell’intervento degli operanti a seguito della percezione delle cose o delle tracce…“, richiamando anche i principi espressi nella sentenza della Corte Cassazione, Sez. U, del 24/11/15 n° 39131 nella quale “…si specifica che per poter procedere all’arresto di un soggetto è necessario che vi sia “la coessenziale correlazione tra la percezione diretta del fatto delittuoso (quantomeno attraverso le tracce rivelatrici della immediata consumazione, recate dal reo) e il successivo intervento di privazione della libertà dell’autore del reato.” E quanto sopra è perfettamente in linea con la ratio legis, ben evidenziata nella sentenza delle Sezioni unite citata nella cui motivazione si afferma che “la eccezionale attribuzione alla polizia giudiziaria (o al privato) del potere di privare della libertà una persona trova concorrente giustificazione nella altissima probabilità (e, praticamente, nella certezza) della colpevolezza dell’arrestato. Ebbene, sono proprio la diretta percezione (che, come sopra evidenziato, si ha anche con la sorpresa di un soggetto con cose o tracce del reato, come nel nostro caso) e constatazione della condotta delittuosa da parte degli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria procedenti all’arresto, che possono suffragare, nel senso indicato, la sicura previsione dell’accertamento giudiziario della colpevolezza”. Quindi quello che conta per ravvisare la flagranza è che la P.G. abbia la diretta percezione di ciò che la porta a ritenere sussistente la responsabilità dell’arrestando. …”.

Per la cognizione delle situazioni che invece configurano lo stato di “quasi flagranza” derivante dall’inseguimento da parte della polizia giudiziaria, della persona offesa o di altre persone, si leggano i seguenti articoli:

ARRESTO DI POLIZIA GIUDIZIARIA E “QUASI FLAGRANZA”

ARRESTO DI POLIZIA GIUDIZIARIA E “QUASI FLAGRANZA”

Giovanni Paris

DISTANZA MINIMA TRA SEGNALE DI PRESEGNALAMENTO E POSTAZIONE AUTOVELOX: CASS. CIV., VI, 14/09/22 N° 26959

Comune di Sestu » Calendario postazioni di controllo della velocità mese di  Giugno 2022

IN CASO DI CONTROLLO ELETTRONICO DELLA VELOCITA’ MEDIANTE POSTAZIONE MOBILE A QUALE DISTANZA DALLA STESSA DEVE ESSERE COLLOCATA LA SEGNALETICA DI AVVISO? LA NORMATIVA PREVEDE DISTANZE MINIME, ANCHE IN RELAZIONE ALLA TIPOLOGIA DI STRADA?

Registriamo il pronunciamento della Cass. Civ., VI, 14/09/22 n° 26959 (scarica e leggi) per la quale “…l’art. 2 del D.M. 15/8/2007 (secondo cui dell’installazione dei dispositivi o mezzi tecnici di controllo deve essere data preventiva informazione agli automobilisti) non stabilisce…una distanza minima per la collocazione dei segnali stradali o dei dispositivi di segnalazione luminosi ma…solo l’obbligo della loro istallazione con adeguato anticipo rispetto al luogo del rilevamento della velocità, in modo da garantirne il tempestivo avvistamento. …”.

In effetti non è la prima volta che la Suprema Corte si esprime in tal senso, ma si ritiene che la questione vada approfondita, perché sembrerebbe che il provvedimento citato, nel riepilogare il complessivo dettato normativo, non abbia tenuto conto di alcune ulteriori indicazioni.  

Partiamo da quanto previsto dal Codice della Strada.

L’art. 142 comma 6-bis C.d.s. recita: “Le postazioni di controllo sulla rete stradale per il rilevamento della velocità devono essere preventivamente segnalate e ben visibili, ricorrendo all’impiego di cartelli o di dispositivi di segnalazione luminosi, conformemente alle norme stabilite nel regolamento di esecuzione del presente codice. Le modalità di impiego sono stabilite con decreto del Ministro dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’interno.”

In attuazione delle disposizioni suddette è stato emanato il DECRETO MINISTERIALE 15-08-07 con il quale sono previste le tipologie e le caratteristiche delle obbligatorie segnalazioni e nell’art. 2 si prescrive che “1. I segnali stradali e i dispositivi di segnalazione luminosi devono essere installati con adeguato anticipo rispetto al luogo ove viene effettuato il rilevamento della velocità, e in modo da garantirne il tempestivo avvistamento, in relazione alla velocità locale predominante. La distanza tra i segnali o i dispositivi e la postazione di rilevamento della velocità deve essere valutata in relazione allo stato dei luoghi;…”.

La disposizione in effetti non fa riferimento a distanze minime postazione controllo/segnaletica di preavviso, ma semplicemente richiede che i segnali siano posti “con adeguato anticipo“.

Sempre in materia di controllo elettronico della velocità sono stati emessi i seguenti provvedimenti:

DECRETO MINISTRO INFRASTRUTTURE DEL 13-06-17

DIRETTIVA MINISTRO INTERNO 21-07-17

Andando a leggere i suddetti nella parte relativa all’obbligo di segnalazione si prevede:

nel primo, Allegato –  Capo 7 – punto 7.1

” I segnali stradali e i dispositivi di segnalazione luminosi ivi previsti devono essere installati con adeguato anticipo rispetto alla postazione di rilevamento della velocità, e in modo da garantirne il tempestivo avvistamento, in relazione alla velocità locale predominante. A tal fine si ritiene adeguata una distanza minima, secondo il tipo di strada, pari a quella indicata dall’art. 79, comma 3, del regolamento, per la collocazione dei segnali di prescrizione. …“,

nel secondo, Parte prima –  punto 7.1 – lett. a)

“a) il decreto (quello del 15/08/07) non fissa una distanza minima tra il segnale stradale o il dispositivo luminoso di preavviso e la postazione di controllo a cui si riferisce ma, più genericamente, stabilisce che tale distanza deve essere “adeguata”, in relazione alla velocità locale predominante. Salvo casi particolari, in cui l’andamento plano-altimetrico della strada o altre circostanze contingenti rendono consigliabile collocarlo ad una distanza diversa, si può ritenere che tra il segnale o il dispositivo luminoso e la postazione di controllo possa essere “adeguata” la distanza minima indicata, per ciascun tipo di strada, dall’art. 79, comma 3, Reg. per la collocazione dei segnali di prescrizione.“.

Sulla base della norma regolamentare e salvi i casi in cui l’andamento della strada o altre circostanze rendono consigliabile collocare il segnale a una distanza diversa, si ritiene quindi che tra quello e la postazione possa essere “adeguata”  la seguente distanza:

  • 250 metri per le autostrade e le strade extraurbane principali,
  • 150 metri per le strade extraurbane secondarie e urbane di scorrimento,
  • 80 metri sulle altre strade

Ricapitolando, quindi, non viene fissata una distanza minima postazione controllo/segnaletica di preavviso, ma ambedue i provvedimenti indicano come adeguata distanza minima quella dell’art. 79/3 del Reg. Esec. C.d.S., da ciò la conseguenziale domanda se tale indicazione sia cogente o meno.

Di tali indicazioni non si fa menzione nella sentenza suddetta, anzi, per il caso trattato nella stessa, la distanza postazione controllo/segnaletica di preavviso in relazione all’articolo del regolamento non sarebbe stata rispettata, ma l’esito è stato favorevole per l’ente accertatore della violazione.

Svista? I casi trattati si riferivano ad accertamenti di violazioni rilevati quando non erano state ancora emanate le disposizioni ministeriali?

O cosciente decisione, non ritenendo il riferimento alla distanza prevista dall’art. 79/3 Reg. Esec. C.d.s. da rispettare obbligatoriamente? Anzi da disapplicare, come risultò nel caso affrontato da  Cass. Civ., II, 22/10/21 n° 29595 (scarica e leggi) ove si trattò della questione se gli strumenti di rilevamento della velocità con modalità “dinamica” fossero esonerati dall’obbligo di presegnalazione come previsto dall’art. 3 del D.M. 15/08/07, fornendo risposta negativa, in quanto il disposto dell’art. 142, comma 6 bis C.d.S. prevede un obbligo di preventiva segnalazione di carattere generale, riferito a tutte le postazioni di controllo sulla rete stradale e affermando che “…legge ordinaria dello Stato è fonte di rango superiore e non può essere derogata da una di rango inferiore e secondario come quella emanata con il decreto ministeriale sicchè ove si manifesti un contrasto fra le previsioni della legge e quelle del decreto ministeriale, è quest’ultimo che cede dovendo essere disapplicato dal giudice ordinario;…”

Si ritiene che cautela imponga comunque di non affidarsi a quello che, per ora, sembra essere un chiaro orientamento, dal momento che sono molti i casi in cui per i medesimi casi trattati vengono assunti nel tempo pronunciamenti diversi se non opposti, perciò non bisogna rischiare ed è meglio osservare nella collocazione della segnaletica di preavviso della postazione le distanze previste.

Giovanni Paris

 

ART. 126-BIS C.D.S. E PRESENTAZIONE DI RICORSO: LA CERTEZZA DELL’INCERTEZZA

In un passato articolo dal titolo ART. 126-BIS C.D.S E PRESENTAZIONE DI RICORSO rispondemmo alla domanda:

La presentazione di un ricorso avverso il verbale di accertamento per la violazione che comporta la decurtazione dei punti dalla patente di guida determina la sospensione dei termini previsti dal comma 2 dell’art. 126 bis o un giustificato motivo per la omissione della prevista comunicazione?

Si evidenziò come esisteva un contrasto interpretativo tra organi amministrativi, in tal caso rappresentato dal Ministero dell’Interno, per il quale la presentazione di un ricorso avverso il verbale di contestazione costituisce un giustificato e documentato motivo di omissione dell’indicazione delle generalità del conducente e il termine previsto dalla norma rimane sospeso fino alla definizione del ricorso presentato e organi giurisdizionali per i quali l’obbligo di comunicazione sancito dalla norma in esame è indipendente dagli esiti di una concorrente impugnativa attinente alla legittimità dell’accertamento dell’illecito presupposto, con la conseguenza che il termine per la comunicazione delle generalità del conducente decorre dal momento della richiesta dell’autorità.

Tutto ciò ovviamente con conseguente incertezza operativa da parte degli organi di controllo e confusione per gli utenti cittadini.

Concludemmo affermando “Proprio un bel pasticcio…”, “pasticcio” che purtroppo prosegue, perchè se da parte giurisprudenziale sembrava ormai consolidato l’orientamento sopra esposto, si veda tra le più recenti  Cass. Civ., VI, 12/04/21 n° 9569 (scarica e leggi) ove si afferma che “…in tema di sanzioni amministrative conseguenti a violazioni del codice della strada, il termine entro cui il proprietario del veicolo è tenuto, ai sensi dell’art. 126-bis, comma 2, cod. strada, a comunicare all’organo di polizia che procede i dati relativi al conducente, non decorre dalla definizione del procedimento di opposizione avverso il verbale di accertamento dell’infrazione presupposta…ma dalla richiesta rivolta al proprietario dall’autorità di fornire i dati richiesti, trattandosi di un’ipotesi di illecito istantaneo previsto a garanzia dell’interesse pubblicistico relativo alla tempestiva identificazione del responsabile, del tutto autonomo rispetto all’effettiva commissione di un precedente illecito (cfr. Cass.15542/2015; id.18027/2018)…”, dobbiamo riscontrare un avviso diverso assunto da  Cass. Civ., II, 03/08/22 n° 24012 , la quale ha espresso il “…seguente principio di diritto: al fine della configurazione della violazione prevista dall’art. 126-bis, comma 2, c.d.s. 1992, consistente nella mancata comunicazione – nei sessanta giorni dalla data di notifica del verbale di contestazione – da parte dell’obbligato dei dati personali e della patente di guida del conducente al momento della commessa violazione presupposta, e, quindi, della legittima irrogazione della correlata sanzione, il destinatario dell’invito non può ritenersi tenuto a fornire i suddetti dati prima della definizione dei procedimenti giurisdizionali o amministrativi proposti avverso il verbale relativo alla precedente infrazione di riferimento. Da ciò consegue che per poter applicare le sanzioni contemplate dal citato art. 126-bis, comma 2, c.d.s., dopo l’esaurimento dei rimedi giurisdizionali o amministrativi a cui si è fatto ricorso, con esito sfavorevole per il ricorrente, l’organo accertatore  deve provvedere ad un nuovo invito a carico dell’obbligato, dalla cui data di notifica decorre il termine di 60 giorni per adempiere agli obblighi previsti dalla stessa disposizione normativa. Diversamente, ove l’esito dei citati rimedi sia favorevole al ricorrente (con annullamento del verbale di accertamento), viene meno il presupposto per la configurazione della violazione prevista dall’art. 126-bis, comma 2, c.d.s. a carico dell’obbligato in esso individuato (proprietario del veicolo o altro obbligato in solido ai sensi dell’art. 196 c.d.s.). …”

Con buona pace della certezza del diritto, legittima pretesa di chi opera per la sua applicazione, ma soprattutto del cittadino, il quale si troverà stimolato al contenzioso e alla fine “userà” a seconda dei casi l’interpretazione allo stesso più favorevole.

“Rebus sic stantibus.”

Giovanni Paris

CIRCOLARE RELATIVA AL DECRETO 18/08/22 “MONOPATTINI A PROPULSIONE PREVALENTEMENTE ELETTRICA”

Monopattini elettrici a Milano: limiti, regole, zone, mappe | Guida -  HDmotori.it

Si segnala la Circolare del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibile del 01/09/22 n° 27248 (scarica e leggi) relativa al Decreto del Ministero delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili del 18/8/202 “Normativa tecnica relativa ai monopattini a propulsione prevalentemente elettrica”   (scarica e leggi).

Il decreto si è reso necessario, come si può leggere nel preambolo dello stesso, in considerazione che i monopattini a propulsione prevalentemente elettrica hanno caratteristiche tecniche diverse rispetto ai velocipedi come definiti dall’art. 50 del Nuovo codice della strada e che, ai fini della sicurezza, è necessario adottare una specifica disciplina, pertanto vi è l’esigenza di definire le caratteristiche tecniche dei monopattini a propulsione prevalentemente elettrica per tener conto delle differenze esistenti con i velocipedi, ai fini della sicurezza degli utilizzatori dei monopattini stessi.

Giovanni Paris

APPLICABILITA’ DELL’ ART. 109 T.U.L.P.S. ALLE CASE DI RIPOSO E ALLE CASE DI CURA

Residenza Assistenziale per Anziani Cantalupa | Residenza Serena

Abbiamo ricevuto il seguente quesito:

LE CASE DI RIPOSO E LE CASE DI CURA HANNO L’OBBLIGO DEL RISPETTO DELL’ ART. 109 T.U.L.P.S.,  DI DARE ALLOGGIO SOLO A PERSONE MUNITE DI DOCUMENTO IDENTITA’/RICONOSCIMENTO E DELL’OBBLIGO DI COMUNICAZIONE ALLA QUESTURA DELLE GENERALITA’ DEGLI ALLOGGIATI?

Il caso riveste carattere di particolarità per la tipologia delle attività sottoposte a controllo, va approfondito comunque per il diverso trattamento riservato dalla normativa vigente.

Risposta: l’art. 109 T.U.L.P.S. si applica alla case di riposo, ma non alle case di cura. 

Si riporta il contenuto dell’art. 109 T.U.L.P.S., il quale dispone che:

“1.  I gestori di esercizi alberghieri e di altre strutture ricettive, comprese quelle che forniscono alloggio in tende, roulotte, nonché i proprietari o gestori di case e di appartamenti per vacanze e gli affittacamere, ivi compresi i gestori di strutture di accoglienza non convenzionali, ad eccezione dei rifugi alpini inclusi in apposito elenco istituito dalla regione o dalla provincia autonoma, possono dare alloggio esclusivamente a persone munite della carta d’identità o di altro documento idoneo ad attestarne l’identità secondo le norme vigenti.

2.  Per gli stranieri extracomunitari è sufficiente l’esibizione del passaporto o di altro documento che sia considerato ad esso equivalente in forza di accordi internazionali, purché munito della fotografia del titolare.

3.  Entro le ventiquattr’ore successive all’arrivo, i soggetti di cui al comma 1 comunicano alle questure territorialmente competenti, avvalendosi di mezzi informatici o telematici o mediante fax, le generalità delle persone alloggiate, secondo modalità stabilite con decreto del Ministro dell’interno, sentito il Garante per la protezione dei dati personali.”.

Si deve altresì tenere conto che per le case si cura specificamente l’art. 193 Reg. Esec. T.U.L.P.S. prevede quanto segue:

“La disposizione dell’art. 109 della legge circa l’obbligo della esibizione della carta d’identità non si applica alle case od istituti di cura.

I titolari di dette case sono però obbligati alla tenuta di uno speciale registro ed alla notifica all’autorità di pubblica sicurezza delle persone ricoverate.

S’intendono per case di cura quegli istituti sanitari nei quali vengono ricoverate le persone affette da malattie in atto e, perciò, bisognevoli di speciali cure medico-chirurgiche.”.

Il decreto del Ministro dell’Interno indicato nell’art. 109/3 T.U.L.P.S. è il  D.M. 7-1-2013 “Disposizioni concernenti la comunicazione alle autorità di pubblica sicurezza dell’arrivo di persone alloggiate in strutture ricettive.” , il quale, nell’allegato tecnico, di fatto però procede ad una equiparazione delle due tipologie di strutture in ordine alla modalità di trasmissione, limitandosi ad escludere le case di cura solo dal rilievo dei dati dei documenti di identità.

Si leggano anche le F.A.Q. della Questura di Novara sul  SISTEMA INFORMATICO “ALLOGGIATI WEB” che fornisce utili indicazioni sull’applicazione della normativa vigente e che risponde anche al quesito proposto.

Si rammenta che la violazione all’art. 109 T.U.L.P.S costituisce reato, come confermato dalla recente Cass. Pen., III, 01/03/22, 7128 (scarica e leggi), la quale ricostruisce egregiamente le vicende normative che hanno avuto ad oggetto la disposizione in trattazione, la cui violazione per un lasso di tempo è stata sanzionata come illecito amministrativo, ricordando come la Corte si era già pronunciata “…affermando che l’obbligo per i gestori di esercizi alberghieri e di altre strutture ricreative di comunicare all’autorità locale di pubblica sicurezza le generalità delle persone alloggiate, entro le ventiquattro ore successive al loro arrivo, è sanzionata penalmente dalla disposizione sussidiaria di cui all’art. 17 del TULPS, avendo la legge n. 135 del 2001 riformulato la norma eliminando la sanzione amministrativa che era stata introdotta con la depenalizzazione del d.l. n. 97 del 1995…”

Giovanni Paris

NATURA GIURIDICA DELL’ORDINANZA DI DEMOLIZIONE DI COSTRUZIONE ABUSIVA: CASS. PEN., III, 06/09/22 N° 32753

L’ORDINANZA DI DEMOLIZIONE DI UN MANUFATTO ABUSIVO HA NATURA PENALE?

La risposta è negativa, come stabilito dal pronunciamento della Cass. Pen., III, 06/09/22 n°32753 (scarica e leggi) per il quale “…l’ordine di demolizione non riveste, nel nostro ordinamento, una funzione punitiva, quale elemento di pena da irrogare al colpevole, ma, diversamente, una funzione RIPRISTINATORIA del bene interesse tutelato. La ratio della previsione, infatti, non è quella di sanzionare ulteriormente (rispetto alla pena irrogata) l’autore dell’illecito, ma quella di eliminare le conseguenze dannose della condotta medesima, rimuovendo la lesione del territorio così verificatasi e ripristinando quell’equilibrio urbanistico-edilizio che i vari enti preposti – ciascuno per la propria competenza – hanno voluto stabilire, al punto che tale ordine, quando imposto dall’Autorità giudiziaria in uno con la sentenza di condanna, non si pone in rapporto alternativo con l’omologo ordine emesso dall’autorità amministrativa, ferma restando la necessità di un coordinamento tra le due disposizioni in sede esecutiva. …”.

L’ORDINANZA DI DEMOLIZIONE E’ SOTTOPOSTA A PRESCRIZIONE?

Ugualmente il medesimo consesso stabilisce che “…Proprio perché privo di finalità punitive, l’ordine di demolizione non è soggetto dunque alla prescrizione stabilita dall’art. 173 cod. pen. per le sanzioni penali, né alla prescrizione stabilita dall’art. 28 della legge n. 689 del 1981, che riguarda soltanto le sanzioni pecuniarie con finalità punitiva (cfr. Sez. 3, n. 41475 del 03/05/2016, Rv. 267977), per cui il decorso del tempo tra la condanna della ricorrente e l’esecuzione della demolizione non è elemento di per sé decisivo. …”.

Si vedano, tra le decisioni più recenti e nel medesimo senso, per cui è costantemente affermata, infatti, la natura amministrativa di detta sanzione, che persegue una funzione ripristinatoria e non punitiva, imposta per ragioni di tutela del territorio, come tale sottratta, sia alla disciplina dell’estinzione della sanzione per il decorso del tempo ex art. 173 cod. pen., dal momento che tale norma si riferisce alle sole pene principali e non alle sanzioni amministrative, sia all’estinzione per prescrizione quinquennale ex art. 28 legge n. 689 del 1981 propria delle sanzioni amministrative, riguardante le sole sanzioni pecuniarie con finalità punitiva, anche:

Cass. Pen, III, 31/08/22 n° 31929

Cass. Pen., III, 03/08/22 n° 30601

Cass. Pen, III, 14/04/22 n° 14554

Cass. Pen., III, 13/04/22 n° 14225

Cass. Pen. , VII, 16/03/22 n° 8785

Giovanni Paris

RESPONSABILITA’ DEL GESTORE DI UN PUBBLICO ESERCIZIO PER DISTURBO DELLA QUIETE PUBBLICA – ART. 659 C.P.: CASS. 08/09/22 N° 33096

Bergamo, "stretta" sulla movida: chiusura a mezzanotte e mezza per 9 locali  - BergamoNews

IL GESTORE DI  PUBBLICO ESERCIZIO E’ RESPONSABILE DEL DISTURBO DELLA QUIETE PUBBLICA SE QUESTO VIENE REALIZZATO DAI CLIENTI DEL LOCALE, ANCHE SE GLI SCHIAMAZZI AVVENGONO FUORI DALLO STESSO?

Art. 659 Codice Penale “Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone”.

“Chiunque, mediante schiamazzi o rumori, ovvero abusando di strumenti sonori o di segnalazioni acustiche, ovvero suscitando o non impedendo strepiti di animali, disturba le occupazioni o il riposo delle persone, ovvero gli spettacoli, i ritrovi o i trattenimenti pubblici, è punito con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a euro 309.

Si applica l’ammenda da euro 103 a euro 516 a chi esercita una professione o un mestiere rumoroso contro le disposizioni della legge o le prescrizioni dell’autorità.”

La risposta è affermativa e della questione si è occupata la Suprema Corte che ha emesso la seguente sentenza, nonostante la difesa affermasse che “...Al titolare di un’attività commerciale non può addebitarsi nessun obbligo di vigilanza degli spazi esterni al locale. Il dovere di vigilanza compete esclusivamente all’ente pubblico proprietario dell’area. Il titolare dell’attività commerciale non ha nessun potere di coercizione sugli avventori, che si trovano fuori dal suo locale. …“,  Cass. pen., sez. III, 08/09/22 n° 33096 (scarica e leggi) e nella quale si afferma che “...per la giurisprudenza di questa Corte di Cassazione il titolare di un’attività risponde per non aver impedito gli schiamazzi(Sez. 3 – , Sentenza n. 14750 del 22/01/2020 Cc., dep. 13/05/2020; Sez. F, n. 34283 del 28/07/2015 – dep. 06/08/2015; e nello stesso senso, Sez. 1, n. 48122 del 03/12/2008 – dep. 24/12/2008: risponde del reato di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone il gestore di un pubblico esercizio (nella specie, una pizzeria) che non impedisca i continui schiamazzi provocati degli avventori in sosta davanti al locale anche nelle ore notturne – La Corte ha precisato che la qualità di titolare della gestione dell’esercizio pubblico comporta l’assunzione dell’obbligo giuridico di controllare, con possibile ricorso ai vari mezzi offerti dall’ordinamento come l’attuazione dello “ius excludendi” e il ricorso all’autorità, che la frequenza del locale da parte degli utenti non sfoci in condotte contrastanti con le norme poste a tutela dell’ordine e della tranquillità pubblica. …“.

Giovanni Paris

RICHIESTA DI DOCUMENTI DI IDENTITA’/RICONOSCIMENTO DA PARTE DI ESERCENTI: ATTO LECITO O ABUSO?

IL NOSTRO ORDINAMENTO GIURIDICO PREVEDE CASI NEI QUALI E’ LEGITTIMA O DOVEROSA LA RICHIESTA DA PARTE DI ESERCENTI ATTIVITA’ PROFESSIONALI DI ESIBIZIONE DI DOCUMENTI DI IDENTITA’ O DI IDENTIFICAZIONE?

Prendiamo le mosse da un recente caso che ha “appassionato” gli operatori del diritto, alcune categorie di esercenti e l’opinione pubblica e cioè quello del controllo del possesso della certificazione verde COVID-19 (green pass) da parte dei titolari di una serie di attività economiche, con la possibilità altresì di richiedere la esibizione di un documento di identità/riconoscimento.

Ricordiamo quanto tale situazione sia stata avversata e contestata da parte sia degli operatori individuati e incaricati per i controlli (soggetti privati non pubblici ufficiali), sia da parte degli utenti e clienti delle attività il cui accesso era subordinato al possesso della certificazione verde COVID-19.

La fonte normativa che ha previsto tali forme di controllo e con le modalità indicate è l’art. 13 del D.P.C.M. 17/06/21 “Verifica delle certificazioni verdi COVID-19 emesse dalla Piattaforma nazionale-DGC”, di cui riportiamo i commi 1, 2 e 4.

1.  La verifica delle certificazioni verdi COVID-19 è effettuata mediante la lettura del codice a barre bidimensionale, utilizzando esclusivamente l’applicazione mobile descritta nell’allegato B, paragrafo 4, che consente unicamente di controllare l’autenticità, la validità e l’integrità della certificazione, e di conoscere le generalità dell’intestatario, senza rendere visibili le informazioni che ne hanno determinato l’emissione nonché mediante le ulteriori modalità automatizzate di cui ai successivi commi descritte negli allegati G e H. 

2.  Alla verifica di cui al comma 1 sono deputati:

a)  i pubblici ufficiali nell’esercizio delle relative funzioni;
b)  il personale addetto ai servizi di controllo delle attività di intrattenimento e di spettacolo in luoghi aperti al pubblico o in pubblici esercizi, iscritto nell’elenco di cui all’art. 3, comma 8, della legge 15 luglio 2009, n. 94;
c)  i soggetti titolari delle strutture ricettive e dei pubblici esercizi per l’accesso ai quali è prescritto il possesso di certificazione verde COVID-19, nonché i loro delegati;
d)  il proprietario o il legittimo detentore di luoghi o locali presso i quali si svolgono eventi e attività per partecipare ai quali è prescritto il possesso di certificazione verde COVID-19, nonché i loro delegati;

4.  L’intestatario della certificazione verde COVID-19 all’atto della verifica di cui al comma 1 dimostra, a richiesta dei verificatori di cui al comma 2, la propria identità personale mediante l’esibizione di un documento di identità.

Le disposizioni normative sembrano veramente chiare, ma probabilmente non è stato così (non si comprende però sinceramente come possa essere stato il contrario), se anche il Ministro dell’Interno ha dichiarato che per l’accesso nei locali quali bar, ristoranti, cinema e teatri i titolari degli stessi avrebbero dovuto controllare il green pass, ma non avrebbero potuto chiedere la carta d’identità ai clienti.

Ma subito dopo, con conseguente smentita di quanto poco prima dichiarato, è stata emessa la Circolare del Ministero dell’Interno del 10/08/21 (scarica e leggi) che ha fatto chiarezza (ma si ripete non ce ne sarebbe stato il bisogno), sul potere/dovere da parte di una serie di soggetti, ancorché non pubblici ufficiali, di procedere al controllo del possesso della certificazione verde COVID-19 e richiedere la esibizione di un documento di identità.

Ma anche il Garante della Privacy, e sappiamo quanto tale autorità sia attenta in materia, in risposta ad un quesito (scarica e leggi) pervenuto dalla Regione Piemonte , ha concluso che “… è consentito il trattamento dei dati personali consistente nella verifica, da parte dei soggetti di cui all’art. 13, c.2, dell’identità dell’intestatario della certificazione verde, mediante richiesta di esibizione di un documento di identità. …”.

Quello che è stato ancor più strano però è stata la “sorpresa” pressoché generale del fatto che sono stati previsti tali adempimenti da parte di soggetti non aventi la qualifica di pubblici ufficiali, quando invece abbiamo casi analoghi previsti dalla normativa vigente, alcuni dei quali ormai in essere da tempo immemorabile.

Vogliamo in questa sede ricordarli, riportando direttamente le disposizioni normative in ordine cronologico di adozione:

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Art. 109 T.U.L.P.S.

“1.  I gestori di esercizi alberghieri e di altre strutture ricettive, comprese quelle che forniscono alloggio in tende, roulotte, nonché i proprietari o gestori di case e di appartamenti per vacanze e gli affittacamere, ivi compresi i gestori di strutture di accoglienza non convenzionali, ad eccezione dei rifugi alpini inclusi in apposito elenco istituito dalla regione o dalla provincia autonoma, possono dare alloggio esclusivamente a persone munite della carta d’identità o di altro documento idoneo ad attestarne l’identità secondo le norme vigenti.

2.  Per gli stranieri extracomunitari è sufficiente l’esibizione del passaporto o di altro documento che sia considerato ad esso equivalente in forza di accordi internazionali, purché munito della fotografia del titolare.”

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Art. 128 T.U.L.P.S.

“I fabbricanti, i commercianti, gli esercenti e le altre persone indicate negli articoli 126 127 non possono compiere operazioni su cose antiche o usate se non con le persone provviste della carta d’identità o di altro documento munito di fotografia, proveniente dall’amministrazione dello Stato.

Essi devono tenere un registro delle operazioni di cui al primo comma che compiono giornalmente, in cui sono annotate le generalità di coloro con i quali le operazioni stesse sono compiute e le altre indicazioni prescritte dal regolamento.

Tale registro deve essere esibito agli ufficiali ed agenti di pubblica sicurezza, ad ogni loro richiesta.

Le persone che compiono operazioni di cui al primo comma con gli esercenti sopraindicati, sono tenute a dimostrare la propria identità nei modi predetti.

L’esercente, che ha comprato cose preziose, non può alterarle o alienarle se non dieci giorni dopo l’acquisto, tranne che si tratti di oggetti comprati presso i fondachieri o i fabbricanti ovvero all’asta pubblica.”

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Art. 1Misure per la sicurezza degli impianti sportivi” D.L. 8-2-2007 n. 8 “Misure urgenti per la prevenzione e la repressione di fenomeni di violenza connessi a competizioni calcistiche, nonchè norme a sostegno della diffusione dello sport e della partecipazione gratuita dei minori alle manifestazioni sportive”.

3-bis. La richiesta di acquisto dei titoli di accesso agli impianti sportivi di cui all’articolo 1-quater del decreto-legge 24 febbraio 2003, n. 28, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2003, n. 88, è corredata dalla presentazione di un valido documento di identità per ogni intestatario di ciascun titolo.

3-ter. Il personale addetto agli impianti sportivi di cui al comma 3-bis accerta la conformità dell’intestazione del titolo di accesso alla persona fisica che lo esibisce, richiedendo la esibizione di un valido documento di identità, e negando l’ingresso in caso di difformità, nonchè a coloro che sono sprovvisti del documento.

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Art. 24  “Norme in materia di gioco” D.L. 6-7-2011 n. 98 “Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria.”

20.  È vietato consentire la partecipazione ai giochi pubblici con vincita in denaro ai minori di anni diciotto.

21.  Il titolare dell’esercizio commerciale, del locale o, comunque, del punto di offerta del gioco che consente la partecipazione ai giochi pubblici a minori di anni diciotto è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro cinque mila a euro venti mila. Indipendentemente dalla sanzione amministrativa pecuniaria e anche nel caso di pagamento in misura ridotta della stessa, la violazione prevista dal presente comma è punita con la chiusura dell’esercizio commerciale, del locale o, comunque, del punto di offerta del gioco da dieci fino a trenta giorni; ai fini di cui al presente comma, il titolare dell’esercizio commerciale, del locale o, comunque, del punto di offerta del gioco, all’interno dei predetti esercizi, identifica i giocatori mediante richiesta di esibizione di un idoneo documento di riconoscimento.

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Art. 14-ter. “Introduzione del divieto di vendita di bevande alcoliche a minori” L. 30-3-2001 n. 125 “Legge quadro in materia di alcol e di problemi alcolcorrelati” (articolo inserito dal comma 3-bis dell’art. 7, D.L. 13/09/12, n. 158 Decreto Balduzzi).

“1. Chiunque vende bevande alcoliche ha l’obbligo di chiedere all’acquirente, all’atto dell’acquisto, l’esibizione di un documento di identità, tranne che nei casi in cui la maggiore età dell’acquirente sia manifesta.”

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Art. 25 del testo unico delle leggi sulla protezione ed assistenza della maternità e infanzia, di cui al regio decreto 24 dicembre 1934, n. 2316 (articolo inserito dal comma 3-bis dell’art. 7, D.L. 13/09/12, n. 158 Decreto Balduzzi).

“1. Chiunque vende prodotti del tabacco ha l’obbligo di chiedere all’acquirente, all’atto dell’acquisto, l’esibizione di un documento di identità, tranne nei casi in cui la maggiore età dell’acquirente sia manifesta.”

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Quindi, niente di nuovo sotto il sole.

Giovanni Paris

LA RESPONSABILITA’ SOLIDALE NELLE VIOLAZIONI IN MATERIA DI AFFISSIONI DI PROPAGANDA ELETTORALE

Affissioni elettorali Veneto | Spread Affissioni

IN CASO DI VIOLAZIONI IN MATERIA DI AFFISSIONI DI PROPAGANDA ELETTORALE SI APPLICA L’ART. 6 ” SOLIDARIETA’ ” DELLA L. 689/81 O LA RESPONSABILITA’ E’ ESCLUSIVAMENTE DELL’AUTORE MATERIALE DELLA VIOLAZIONE?

In via preliminare bisogna distinguere il momento in cui avviene la affissione:

  • se questa avviene in un periodo diverso da quello previsto per le consultazioni elettorali e disciplinato dalla L. 04/04/56 n° 212 “Norme per la disciplina della propaganda elettorale”,
  • se questa avviene invece nel periodo previsto e disciplinato dalla legge sopra citata. 

PRIMA SITUAZIONE

Al di fuori del periodo temporale in cui le affissioni di propaganda elettorale devono essere fatte negli appositi spazi destinati a tal scopo ai sensi della L. 212/56, è possibile la affissione di materiale di propaganda politica o elettorale negli spazi destinati alle normali affissioni.

In tal caso possono verificarsi le violazioni alla specifica normativa di settore, per le cui violazioni si applicano le disposizioni della L. 689/81, compreso l’art. 6 “Solidarietà” della L. 689/81.

La giurisprudenza della Corte di Cassazione formatasi negli ultimi anni ha elaborato i termini in cui il suddetto principio può applicarsi in caso di violazioni in materia di pubbliche affissioni aventi ad oggetto materiali di propaganda elettorale.

Si vedano:

Cass. Civ., II, 31/07/19 n. 20707

Cass. Civ, II, 20/11/19 n. 30248

Cass. Civ., II, 16/12/21 n. 40328

Cass. Civ., II, 06/07/21 n. 19075

Cass. Civ., II, 22/06/22 n. 20129

SECONDA SITUAZIONE

L’ art. 8 della L. L. 04/04/56 n° 212 “Norme per la disciplina della propaganda elettorale” prevede che:

“Chiunque sottrae o distrugge stampati, giornali murali od altri, o manifesti di propaganda elettorale previsti dall’art. 1, destinati all’affissione o alla diffusione o ne impedisce l’affissione o la diffusione ovvero stacca, lacera o rende comunque illeggibili quelli già affissi negli spazi riservati alla propaganda elettorale a norma della presente legge, o, non avendone titolo, affigge stampati, giornali murali od altri o manifesti negli spazi suddetti è punito con la reclusione fino ad un anno e con la multa da lire 100.000 a lire 1.000.000. Tale disposizione si applica anche per i manifesti delle pubbliche autorità concernenti le operazioni elettorali.

omissis

Chiunque affigge stampati, giornali murali od altri, o manifesti di propaganda elettorale previsti dall’art. 1 fuori degli appositi spazi è punito……. .”

Successivamente il comma 17 dell’art15 L. 10/12/93, n° 515 ha disposto che in caso di violazione delle disposizioni contenute nel presente articolo si applichi, in luogo delle sanzioni penali, la sanzione amministrativa pecuniaria da lire duecentomila (€ 103,00) a lire due milioni (€ 1.032,00).

L’art. 15 comma 19 della L. 515/93 ha previsto inoltre che per l’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie previste per le violazioni alla L. 212/56 si applicano le disposizioni generali contenute nelle sezioni I e II del capo I della L. 689/81, salvo quanto diversamente disposto.

ATTENZIONE!! L’art. 1, comma 482 della L. 30/12/04, n° 311 aggiunse all’art. 8 un comma che così disponeva: “È responsabile esclusivamente colui che materialmente è colto in flagranza nell’atto di affissione. Non sussiste responsabilità solidale”, pertanto non rendendo applicabile alle fattispecie disciplinate dallo stesso l’art. 6 “Solidarietà” della L. 689/81.

Questo comma però è stato poi abrogato dall’art. 1, comma 176, della L. 27/12/06 n° 296, cosicchè è tornato ad essere applicabile l’art. 6 della L. 689/81.

Non si riscontrano pronunciamenti giurisprudenziali aventi ad oggetto la applicazione del principio di responsabilità solidale e i termini, le condizioni della sua applicazione alle violazioni della L. 212/56, ma si ritiene di poter fare riferimento al contenuto dei principi espressi nelle sentenze sopra indicate.

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Giovanni Paris