Month: gennaio 2024

MANCATA NOTIFICA DEL VERBALE DI VIOLAZIONE AL TRASGRESSORE E PERMANENZA DELLA RESPONSABILITA’ IN SOLIDO: CASS. CIV., II 19/01/24 N° 2057

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LA MANCATA NOTIFICAZIONE DEL VERBALE DI VIOLAZIONE AL TRASGRESSORE DETERMINA LA ESTINZIONE DELLA OBBLIGAZIONE ANCHE NEI CONFRONTI DEL RESPONSABILE IN SOLIDO?

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LA NORMATIVA

Art. 14  “Contestazione e notificazione”

“La violazione, quando è possibile, deve essere contestata immediatamente tanto al trasgressore quanto alla persona che sia obbligata in solido al pagamento della somma dovuta per la violazione stessa.

Se non è avvenuta la contestazione immediata per tutte o per alcune delle persone indicate nel comma precedente, gli estremi della violazione debbono essere notificati agli interessati residenti nel territorio della Repubblica entro il termine di novanta giorni e a quelli residenti all’estero entro il termine di trecentosessanta giorni dall’accertamento.

OMISSIS

L’obbligazione di pagare la somma dovuta per la violazione si estingue per la persona nei cui confronti è stata omessa la notificazione nel termine prescritto

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IL CASO

Viene proposto ricorso in Cassazione censurando la legittimità di ordinanza ingiunzione in quanto la notificazione del verbale di accertamento e contestazione non è mai stata effettuata nei confronti del presunto trasgressore, tale omessa notifica al trasgressore del verbale di accertamento ha determinato la estinzione del presunto illecito amministrativo, sussiste quindi violazione di legge con riferimento alle norme che disciplinano l’obbligo di notificazione al trasgressore e agli obbligati in solido del verbale di accertamento nelle forme previste dall’art. 14 della L. 689/81, il quale prevede che, in mancanza, l’illecito si estingue sia per il trasgressore che per i coobbligati in solido.

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LA CASSAZIONE

La risposta è NEGATIVA, come deciso da CASS. CIV. II 19/01/24 N° 2057  ove si legge in maniera netta e precisa che “…non è esatto che la mancata notifica del verbale al trasgressore, id est all’autore dell’illecito amministrativo, estingua l’obbligazione di pagamento anche nei riguardi del soggetto coobbligato in solido, come ben evidenziato da questa Corte a S.U. con la sentenza n. 22082/17. …”.

Nella richiamata sentenza della Cassazione S.U. n° 22082/17 viene affermata l’autonomia delle posizioni del trasgressore e dell’obbligato solidale per il pagamento della sanzione amministrativa, con la precisazione che quando l’obbligazione del primo viene meno ai sensi dell’art. 14, ultimo comma, della L. 689/81 per mancata tempestiva notificazione del provvedimento sanzionatorio, l’autonoma obbligazione del secondo permane.

Questa la sentenza del 2017: Cass. Sez. Unite Civ., 22/09/17 n° 22082. 

Giovanni Paris

DIRETTIVA DEL MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI EX ART. 142/2 C.D.S. SU ISTITUZIONE “ZONA 30”

Conosciamo le problematiche lamentate e le polemiche sollevate dalla adozione nella Città di Bologna del provvedimento in materia di circolazione stradale che ha istituito nel territorio cittadino la “Zona 30”.

Segnaliamo la emissione di una direttiva del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti in materia e che reca il titolo “Direttiva adottata ai sensi dell’articolo 142, comma 2, del codice della strada di cui al decreto legislativo n. 285 del 1992 sulla disciplina dei limiti di velocità nell’ambito urbano”.

Di questa vengono evidenziati alcuni importanti passaggi ed indicazioni.

DIRETTIVA MINISTERO “ZONA 30” 2024

Giovanni Paris

INDICAZIONE NEL VERBALE DI ACCERTAMENTO DI VIOLAZIONE DELL’IMPORTO DA PAGARE IN MISURA RIDOTTA: CASS. CIV., II, 18/01/24 N° 1919

LA MANCATA INDICAZIONE NEL VERBALE DI ACCERTAMENTO DI VIOLAZIONE DELLA SOMMA DA PAGARE RENDE ILLEGITTIMO IL VERBALE? PUO’ COSTITUIRE TALE SITUAZIONE UNA LESIONE DEL DIRITTO DI DIFESA? ESISTE DIVERSA PREVISIONE NORMATIVA PER LE VIOLAZIONI REGOLATE ESCLUSIVAMENTE DALLA L. 689/81 E PER LE VIOLAZIONI REGOLATE DAL CODICE DELLA STRADA?

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LA NORMATIVA DELLA L. 689/81

Art. 14  L. 689/81 “Contestazione e notificazione”

“La violazione, quando è possibile, deve essere contestata immediatamente tanto al trasgressore quanto alla persona che sia obbligata in solido al pagamento della somma dovuta per la violazione stessa.

Se non è avvenuta la contestazione immediata per tutte o per alcune delle persone indicate nel comma precedente, gli estremi della violazione debbono essere notificati agli interessati residenti nel territorio della Repubblica entro il termine di novanta giorni e a quelli residenti all’estero entro il termine di trecentosessanta giorni dall’accertamento.

OMISSIS”

Art. 16  L. 689/81 “Pagamento in misura ridotta”

È ammesso il pagamento di una somma in misura ridotta pari alla terza parte del massimo della sanzione prevista per la violazione commessa, o, se più favorevole e qualora sia stabilito il minimo della sanzione edittale, pari al doppio del relativo importo oltre alle spese del procedimento, entro il termine di sessanta giorni dalla contestazione immediata o, se questa non vi è stata, dalla notificazione degli estremi della violazione.

OMISSIS”

LA NORMATIVA DEL C.D.S.

Art. 200  C.d.S. “Contestazione e verbalizzazione delle violazioni”

“OMISSIS

2.  Dell’avvenuta contestazione deve essere redatto verbale contenente anche le dichiarazioni che gli interessati chiedono vi siano inserite. Il verbale, che può essere redatto anche con l’ausilio di sistemi informatici, contiene la sommaria descrizione del fatto accertato, gli elementi essenziali per l’identificazione del trasgressore e la targa del veicolo con cui è stata commessa la violazione. Nel regolamento sono determinati i contenuti del verbale.

OMISSIS”

Art. 383  Reg. Esec. C.d.S. “Contestazione – Verbale di accertamento”

“1.  Il verbale deve contenere l’indicazione del giorno, dell’ora e della località nei quali la violazione è avvenuta, delle generalità e della residenza del trasgressore e, ove del caso, l’indicazione del proprietario del veicolo, o del soggetto solidale, degli estremi della patente di guida, del tipo del veicolo e della targa di riconoscimento, la sommaria esposizione del fatto, nonché la citazione della norma violata e le eventuali dichiarazioni delle quali il trasgressore chiede l’inserzione.

2.  L’accertatore deve inoltre fornire al trasgressore ragguagli circa la modalità per addivenire al pagamento in misura ridotta, quando sia consentito, precisando l’ammontare della somma da pagare, i termini del pagamento, l’ufficio o comando presso il quale questo può essere effettuato ed il numero di conto corrente postale o bancario che può eventualmente essere usato a tale scopo. Deve essere indicata l’autorità competente a decidere ove si proponga ricorso.

OMISSIS”

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LA CORTE DI CASSAZIONE

La risposta è NEGATIVA, come possiamo registrare da CASS. CIV., II, 18/01/24 N° 1919 la quale, relativamente alla lamentata mancata indicazione dell’importo da pagare in misura ridotta, conferma che “…questa Corte ha già avuto modo di precisare che «In tema di sanzioni amministrative, l’onere di effettuare il tempestivo pagamento in misura ridotta ad estinzione dell’obbligo si configura e permane anche in difetto di avviso della relativa facoltà, non avendo, d’altronde, nessun obbligo l’accertatore della violazione di dare avviso dell’importo esatto da pagare per estinguere il proprio obbligo»…”.

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ATTENZIONE!! TALE CONCUSIONE VALE SOLO PER LE VIOLAZIONI DISCIPLINATE ESCLUSIVAMENTE DALLA L. 689/81, DAL MOMENTO CHE PER LE VIOLAZIONI ALLE NORME DEL CODICE DELLA STRADA  VANNO APPLICATE LE SPECIFICHE REGOLE PREVISTE PER TALI TIPI DI VIOLAZIONI, E, IN PARTICOLARE, L’ART. 383/2 REG. ESEC. C.D.S., LADDOVE SI PREVEDE CHE:

“2.  L’accertatore deve inoltre fornire al trasgressore ragguagli circa la modalità per addivenire al pagamento in misura ridotta, quando sia consentito, precisando l’ammontare della somma da pagare, i termini del pagamento, l’ufficio o comando presso il quale questo può essere effettuato ed il numero di conto corrente postale o bancario che può eventualmente essere usato a tale scopo. Deve essere indicata l’autorità competente a decidere ove si proponga ricorso.”

Giovanni Paris

ART. 659 C.P. “DISTURBO DELLE OCCUPAZIONI O DEL RIPOSO DELLE PERSONE”: CASS. PEN., III, 17/01/23 N° 2071

Condominio e rumori molesti: quali tutele e conseguenze se la maleducazione  integra reato - Service Group Ancona | Amministrazione condomini

PER IL CONFIGURARSI DEL REATO PREVISTO DALL’ART. 659 COMMA 1 DEL C.P. “DISTURBO DELLE OCCUPAZIONI O DEL RIPOSO DELLE PERSONE” E’ NECESSARIO CHE IL DISTURBO ALLE PERSONE SIA EFFETTIVO O E’ SUFFICIENTE CHA TALE SIA SOLO POTENZIALE, CHE IL NUMERO DELLE PERSONE SIA RILEVANTE E CHE L’AREA INTERESSATA DALLE EMISSIONI SONORE SIA AMPIA?

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LA NORMATIVA

Art. 659 c.p. “Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone”.

Chiunque, mediante schiamazzi o rumori, ovvero abusando di strumenti sonori o di segnalazioni acustiche, ovvero suscitando o non impedendo strepiti di animali, disturba le occupazioni o il riposo delle persone, ovvero gli spettacoli, i ritrovi o i trattenimenti pubblici, è punito con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a euro 309.

Si applica l’ammenda da euro 103 a euro 516 a chi esercita una professione o un mestiere rumoroso contro le disposizioni della legge o le prescrizioni dell’autorità.

Nell’ipotesi prevista dal primo comma, la contravvenzione è punibile a querela della persona offesa, salvo che il fatto abbia ad oggetto spettacoli, ritrovi o trattenimenti pubblici, ovvero sia commesso nei confronti di persona incapace, per età o per infermità”.

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IL CASO

Due soggetti sono stati condannati per il reato di cui all’art. 659 cod. pen. per aver provocato all’interno del proprio appartamento emissioni rumorose eccedenti la normale tollerabilità.

Viene proposto ricorso in Cassazione rilevando come gli unici soggetti che avevano lamentato rumori molesti provenienti dall’abitazione erano i residenti nell’appartamento sottostante al proprio all’interno del medesimo stabile, senza che nessun altro condomino avesse mai svolto proteste o denunce al riguardo né avesse reso testimonianza in tal senso nell’istruttoria dibattimentale. Viene eccepito che nessun accertamento fosse stato svolto in ordine all’idoneità potenziale della fonte sonora a diffondersi all’interno dello stabile o aliunde, né alle sue caratteristiche, neppure essendo stato verificato se si trattasse di un’emissione costante o occasionale o ricorrente nel tempo, ed in tal caso con quale cadenza, né fosse mai intervenuta la PG ad effettuare ricognizioni o controlli in loco. Si sostiene pertanto l’inidoneità del disturbo, quand’anche ritenuto tale, ad integrare la fattispecie penalmente rilevante prevista dall’art. 659 cod. pen., per il cui perfezionamento occorre, trattandosi di un illecito ricompreso fra quelli di natura “vagante”, che venga leso l’interesse al riposo o a svolgere le proprie occupazioni di una cerchia indeterminata di soggetti, così da arrecare turbamento alla pubblica quiete.

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LA SENTENZA

Risponde sul caso la CASS. PEN., III, 17/01/23 N° 2071 ricordando che “…Occorre considerare che il bene giuridico tutelato dalla contravvenzione in esame è costituito, come emerge dallo stesso nomen della rubrica, dallo svolgimento delle attività e del riposo delle persone che il legislatore intende presidiare da indiscriminate attività di disturbo, le quali, tuttavia, non possono essere identificate, proprio in ragione del plurale figurante nella norma, in un singolo soggetto, pur infastidito in ragione della prossimità della fonte sonora a quella del suo luogo di lavoro o della sua abitazione, bensì da un numero indeterminato di persone le quali soltanto consentono di individuare, al di là della vastità dell’area interessata dalle emissioni o dall’entità del numero dei soggetti lesi, un pregiudizio inferto all’ordine pubblico nella specifica accezione della pubblica quiete. Ciò non toglie che possa trattarsi di soggetti annoverabili in un ambito ristretto, come avviene in un condominio costituito da più palazzine o da più appartamenti ubicati in uno stesso stabile, ma in tal caso è necessaria la produzione di rumori idonei ad arrecare disturbo o a turbare la quiete e le occupazioni non solo degli abitanti dell’appartamento sovrastante o sottostante la fonte di propagazione, ma di una più consistente parte degli occupanti il medesimo edificio, configurandosi, altrimenti, soltanto un illecito civile foriero di un eventuale risarcimento del danno e non certamente una condotta penalmente rilevante ai sensi dell’art. 659 cod. pen. …”,

E’ vero che “…non vale ad escludere la configurabilità del reato la circostanza che solo alcuni dei soggetti potenzialmente lesi dalle emissioni sonore se ne siano lamentati, occorre ciò nondimeno in tal caso l’accertamento sia dell’idoneità delle stesse ad arrecare disturbo non solamente a un singolo ma a un gruppo più vasto di condomini residenti in appartamenti diversamente ubicati nell’edificio, sia della loro diffusività in concreto, tale da superare i limiti della normale tollerabilità di emissioni provenienti da immobili contigui…”.

Pertanto “…le lamentele del singolo possono al più configurare un illecito civile ai sensi dell’art. 844 cod. civ., ma non valgono ad integrare la materialità della contravvenzione de qua che si perfeziona quando le emissioni abbiano l’effetto di arrecare disturbo a una cerchia più ampia di persone, anche a prescindere da quelle che se ne siano in concreto lamentate. …”

La Cassazione conclude per il caso in trattazione che “…difetta quanto all’ipotesi di cui all’art. 659 primo comma cod. pen. il disturbo alla pubblica quiete, ricorrente solo allorquando il rumore molesto è percepito o comunque è percepibile da un numero indistinto di persone e non già, come accertato nel presente processo, dai componenti, anche a prescindere dalla mancata escussione della teste Tagliente, di un solo nucleo familiare residente nella medesima unità abitativa. …”.

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REATO DI PERICOLO PRESUNTO

Il reato in trattazione viene qualificato di “pericolo presunto“. Ma quando si concretizza un tale tipo di reato? Quali sono le caratteristiche che deve avere?

L’ordinamento giuridico punisce, attraverso la previsione di fattispecie di illeciti penali, i comportamenti che vanno a ledere determinati beni o interessi giuridici, questi beni o interessi costituiscono l'”oggetto giuridico” del reato (es. la norma che punisce il reato di furto tutela il bene giuridico “patrimonio”, mentre la norma che punisce il reato di omicidio tutela il bene giuridico “vita”).

Quando viene tenuto un comportamento costituente reato avviene l’offesa del bene o interesse giuridico tutelato dalla norma, tale offesa si qualifica “danno penale o criminale” e costituisce il c.d. “evento giuridico”.

L’offesa determinata dal reato può assumere la forma della “lesione“, quando il bene giuridico viene realmente e irrimediabilmente leso/distrutto o la forma della “messa in pericolo” quando il bene giuridico viene solo minacciato.

In relazione alla distinzione suddetta i reati si classificano “di danno” o “di pericolo” in relazione al tipo di “danno criminale” che si realizza, cioè dal tipo di lesione al bene giuridico (oggetto giuridico) tutelato dalla norma penale, che può essere appunto di effettiva lesione dello stesso e allora avremo i reati di danno o di messa in pericolo di quello e allora avremo i reati di pericolo .

Con la categoria dei reati di pericolo il legislatore, quando ritiene di tutelare beni giuridici considerati particolarmente rilevanti, protegge il bene giuridico coinvolto anche se lo stesso non è stato danneggiato effettivamente in modo irrimediabile, con la sua lesione effettiva, in questi casi l’ordinamento giuridico valuta lo stesso meritevole di tutela in via anticipata, anche quando esso viene solo minacciato (v. es.  art. 186 Codice della Strada “Guida in stato di ebrezza”, tipico reato di pericolo).

Ma come può definirsi il concetto giuridico di “pericolo“? Possiamo dire che pericolo è la probabilità che un “evento temuto” accada, quindi in campo giuridico probabilità di un evento antigiuridico.

I reati di pericolo inoltre si classificano in reati di “pericolo concreto” e reati di pericolo “presunto” (vengono indicati anche di pericolo “astratto”), nei primi il pericolo costituisce elemento costitutivo del reato la cui esistenza va accertata dal giudice, questi tipi di reato pretendono quindi l’accertamento del verificarsi effettivo della situazione di messa in pericolo del bene giuridico tutelato, i secondi non comportano la necessità di tale accertamento in quanto è il legislatore che ha compiuto tale valutazione in astratto, giudicando il tipo di reato come fatto automaticamente pericoloso, opera quindi in tal caso una presunzione automatica senza possibilità di prova contraria, si parla in tal caso di presunzione “iuris et de iure“.

Giovanni Paris

OBBLIGO DI AVVISO ASSISTENZA DIFENSORE IN CASO DI RIFIUTO DI ACCERTAMENTO DEL TASSO ALCOLEMICO: CASS. PEN., IV, 13/12/23 N° 49492

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L’OBBLIGO DI DARE AVVISO AL CONDUCENTE DELLA FACOLTA’ DI FARSI ASSISTERE DA UN DIFENSORE PER SVOLGERE LA PROVA DI ACCERTAMENTO DEL TASSO ALCOLEMICO ESISTE ANCHE NEL CASO VI SIA IL RIFIUTO DI SOTTOPORSI ALLO STESSO?

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LA NORMATIVA

Art. 186  c.d.s. “Guida sotto l’influenza dell’alcool”

“OMISSIS

7.  Salvo che il fatto costituisca più grave reato, in caso di rifiuto dell’accertamento di cui ai commi 3, 4 o 5, il conducente è punito con le pene di cui al comma 2, lettera c). La condanna per il reato di cui al periodo che precede comporta la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per un periodo da sei mesi a due anni e della confisca del veicolo con le stesse modalità e procedure previste dal comma 2, lettera c), salvo che il veicolo appartenga a persona estranea alla violazione. Con l’ordinanza con la quale è disposta la sospensione della patente, il prefetto ordina che il conducente si sottoponga a visita medica secondo le disposizioni del comma 8. Se il fatto è commesso da soggetto già condannato nei due anni precedenti per il medesimo reato, è sempre disposta la sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida ai sensi del capo I, sezione II, del titolo VI.

OMISSIS”

Art. 356 c.p.p. “Assistenza del difensore”

“1. Il difensore della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini ha facoltà di assistere, senza diritto di essere preventivamente avvisato, agli atti previsti dagli articoli 352 e 354 oltre che all’immediata apertura del plico autorizzata dal pubblico ministero a norma dell’articolo 353 comma 2”.

Art. 114 c.p.p. “Avvertimento del diritto all’assistenza del difensore”

“1. Nel procedere al compimento degli atti indicati nell’articolo 356 del codice, la polizia giudiziaria avverte la persona sottoposta alle indagini, se presente, che ha facoltà di farsi assistere dal difensore di fiducia”.

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IL CASO

Un soggetto viene condannato per il reato previsto dall’art. 186/7 c.d.s. per essersi rifiutato di sottoprsi all’esame etilometrico. Viene presentato ricorso in Cassazione fondata su due censure.

  1. per avere la sentenza impugnata erroneamente affermato la non rilevanza dell’omissione del previo avviso di cui all’art. 114 disp. att. cod. proc. pen. ai fini dell’integrazione del reato di “rifiuto”, rilevando che l’avvertimento della facoltà di farsi assistere da un difensore doveva essere rivolto nel momento in cui era stata avviata la procedura dell’accertamento strumentale del tasso alcolemico.  L’alcoltest è infatti un accertamento sulla persona cui è applicabile l’art. 114 disp. Att. cod. proc. pen., e la polizia giudiziaria è tenuta ad avvertire la persona sottoposta alle indagini della facoltà di farsi assistere da un difensore prima di procedere all’accertamento stesso.
  2. Inoltre si denuncia che la polizia giudiziaria aveva omesso di redigere sia il verbale ex art. 354 c.p.p. . La mancata redazione del verbale dimostrava comel’avviso all’indagato da parte della polizia giudiziaria non fosse stato dato, né, in assenza di verbale, poteva ritenersi idonea a fornire la relativa dimostrazione la testimonianza resa dall’agente di polizia giudiziaria.

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LA CASSAZIONE

Ancora una volta la suprema Corte con CASS. PEN., IV, 13/12/23 N° 49492 , relativamente alla prima censura, consolidando il proprio indirizzo, conferma che “…l’obbligo di dare avviso al conducente della facoltà di farsi assistere da un difensore per l’attuazione dell’alcoltest non sussiste in caso di rifiuto di sottoporsi all’accertamento, in quanto la presenza del difensore e funzionale a garantire che l’atto in questione, in quanto non ripetibile, sia condotto nel rispetto dei diritti della persona sottoposta alle indagini...Ciò in quanto l’avvertimento di cui all’art. 114 disp. att, cod. proc. pen. è previsto nell’ambito del procedimento volto a verificare la presenza delle stato di ebbrezza e l’eventuale presenza del difensore è volta a garantire che il compimento dell’atto in questione, in quanto atto a sorpresa e non ripetibile, sia condotto nel rispetto dei diritti della persona sottoposta alle indagini. Il procedimento, in altri termini è certamente in corso allorquando si registra il rifiuto dell’interessato di sottoporsi all’alcoltest ma a questo punto, e nel momento stesso del rifiuto, viene integrato il fatto reato sanzionato dall’art. 186, comma 7, CdS. Si è osservato ancora che l’art. 354 cod. proc. pen., riguardante gli accertamenti urgenti demandati alla polizia giudiziaria, laddove adopera la locuzione “nel procedere al compimento degli atti”, indica chiaramente che ci si accinge a compiere l’atto, nella specie di rilevazione dell’alcolemia mediante etilometro, e dunque, se ci si sta apprestando a compiere l’atto significa che l’interessato vi ha acconsentito. Il rifiuto eventuale – e con esso il reato istantaneo di cui all’art. 186, comma 7, C.d.S. viene dunque prima. Ritiene inoltre il Collegio che militi a favore di siffatta interpretazione anche il testo dell’art. 379, comma 3 del Regolamento di esecuzione ed attuazione del codice della strada, ove disponendo sull’accertamento della guida in stato di ebbrezza e sulle modalità di verbalizzazione da parte degli operanti, si prevede che: “nel procedere ai predetti accertamenti, ovvero qualora si provveda a documentare il rifiuto opposto dall’interessato, resta fermo in ogni caso il compito dei verbalizzanti di indicare nella notizia di reato, ai sensi dell’articolo 347 del codice di procedura penale, le circostanze sintomatiche dell’esistenza dello stato di ebbrezza, desumibili in particolare dallo stato del soggetto e dalla condotta di guida”. La lettera della norma regolamentare che chiarisce le modalità di effettuazione del test (misurazione della concentrazione di alcool nell’area alveolare, a mezzo di due prove a distanza di almeno cinque minuti), chiarisce altresì, attraverso l’utilizzo della congiunzione disgiuntiva ‘ovvero’, l’alternativa fra l’ipotesi dell’accertamento e quella del rifiuto, sicchè se si deve dare atto delle circostanze sintomatiche ‘nel procedere agli accertamenti’ ovvero in caso di ‘rifiuto opposto dall’interessato’, significa che il rifiuto precede l’inizio del compimento dell’atto, cui è rivolto il procedimento, e per il quale deve realizzarsi la garanzia difensiva di cui all’art. 114 disp. att. cod. proc. pen. …”.

Relativamente alla seconda censura, precisato quanto sopra in termini illuminanti “…l’intenzione legislativa in ordine all’inizio del ‘compimento dell’atto’ assistito, come atto successivo alla constatazione dei sintomi ed al consenso di sottoporsi al test, essendo il rifiuto, che implica la sola constatazione dei sintomi, alternativo al compimento della procedura di accertamento tecnico, in quanto rifiutata, deve ritenersi che l’obbligo di dare avviso non ricorre allorquando il conducente abbia rifiutato di sottoporsi all’accertamento etilometrico, essendo il reato perfezionato nel momento dell’espressione della volontà di sottrarsi all’atto assistito dalla garanzia dell’avviso di farsi assistere da un difensore. Perde, dunque, di consistenza la critica rivolta alla sentenza impugnata, in quanto in assenza dell’obbligo di dare avviso, la sua mancata tempestiva verbalizzazione non assume alcun rilievo. …”.

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I PRECEDENTI

CASS. PEN., IV, 30/03/23 N° 13271

CASS. PEN., IV, 18/10/22 N° 39134

CASSA PEN., IV 10/5/2022 N°. 18404

CASS. PEN.,VII 15/4/2022 N° 14878 

Giovanni Paris

TARGA RIMORCHIO E TARGA RIPETITRICE VEICOLO MOTRICE: ART. 100/3 E 4 CODICE DELLA STRADA

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UN RIMORCHIO, OLTRE CHE LA PROPRIA TARGA, DEVE AVERE POSIZIONATA POSTERIORMENTE ANCHE LA TARGA RIPETITRICE DEL VEICOLO MOTRICE?
 
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LA NORMATIVA
 

Art. 100 c.d.s. “Targhe di immatricolazione degli autoveicoli, dei motoveicoli e dei rimorchi”

“1.  Gli autoveicoli devono essere muniti, anteriormente e posteriormente, di una targa contenente i dati di immatricolazione.

2.  I motoveicoli devono essere muniti posteriormente di una targa contenente i dati di immatricolazione.

3.  I rimorchi devono essere muniti di una targa posteriore contenente i dati di immatricolazione.

OMISSIS

4.  I carrelli appendice, quando sono agganciati ad una motrice, devono essere muniti posteriormente di una targa ripetitrice dei dati di immatricolazione della motrice stessa.

(Il comma 4 è stato modificato dall’art. 11/2 lett. b), L. 120/10 che ha eliminato le parole “I rimorchi e”. Tale modifica si applica, ai sensi dell’art. 11/8 L. 120/10, a decorrere dalla data di entrata in vigore delle modifiche al regolamento di esecuzione al Codice della Strada, adottate con D.P.R. 198/12 (quindi dal 20/02/13),  il quale ha modificato gli artt. 258 e 259 del regolamento, prevedendo le caratteristiche costruttive, dimensionali, fotometriche, cromatiche e di leggibilità delle targhe dei rimorchi degli autoveicoli, tali da renderle conformi a quelle delle targhe di immatricolazione posteriori degli autoveicoli.)

OMISSIS”

Art. 8 D.P.R. 198/12 “Disposizioni transitorie e finali”

“1. Le disposizioni di cui agli articoli da 2 a 7 entrano in vigore a decorrere dal novantesimo giorno successivo alla data di pubblicazione del presente decreto (quindi dal 20/02/13) e, per effetto dell’articolo 11, comma 8, della legge 29 luglio 2010, n. 120, si applicano ai soli rimorchi immatricolati successivamente alla predetta data di entrata in vigore, fatta salva la facoltà di immatricolare nuovamente quelli già immessi in circolazione“.

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IL PARERE MINISTERIALE

Il Ministero dell’Interno ha espresso in materia il parere N° 5126 DEL 27/07/17 fornendo chiarimenti in ordine a una serie di dubbi derivanti dalla modifica normativa che aveva riguardato l’art. 100/4 del Codice della Strada e relativi alla soppressione dell’obbligo di apporre sui rimorchi una targa ripetitrice del veicolo motrice.

DALL’ESAME DEL DATO NORMATIVO FORNITO DAL MINISTERO DELL’INTERNO RISULTANO ALLO STATO VIGENTI DUE REGIMI NORMATIVI RELATIVI ALLA TARGATURA DEI RIMORCHI E CHE HANNO COME ELEMENTO DI DISCRIMINE LA DATA DI IMMATRICOLAZIONE DEL VEICOLO, PRECEDENTE O SUCCESSIVA AL 20/02/13:

  • SE LA IMMATRICOLAZIONE DEL RIMORCHIO E’ PRECEDENTE AL 20/02/13 IL VEICOLO DOVRA’ AVERE LA PROPRIA TARGA E LA TARGA DEL VEICOLO MOTRICE.
  • SE LA IMMATRICOLAZIONE DEL RIMORCHIO DECORRE DAL 20/02/13 IL VEICOLO DOVRA’ AVERE SOLO LA PROPRIA TARGA E NON C’E’ L’OBBLIGO DI COLLOCARE POSTERIORMENTE ALLO STESSO ANCHE LA TARGA DEL VEICOLO MOTRICE.

Giovanni Paris

MANOMISSIONE DI CRONOTACHIGRAFO: CASS. PEN., I, 17/11/23 N° 46444

LA MANOMISSIONE DI UN CRONOTACHIGRAFO COSTITUISCE REATO O ILLECITO AMMINISTRATIVO?

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LA NORMATIVA

Art. 437 c.p. “Rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro”

“Chiunque omette di collocare impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro, ovvero li rimuove o li danneggia, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.

Se dal fatto deriva un disastro o un infortunio, la pena è della reclusione da tre a dieci anni”

Art. 179 c.d.s.  “Cronotachigrafo e limitatore di velocità”

“1.  Nei casi previsti dal regolamento (CEE) n. 3821/85 e successive modificazioni, i veicoli devono circolare provvisti di cronotachigrafo, con le caratteristiche e le modalità d’impiego stabilite nel regolamento stesso. Nei casi e con le modalità previste dalle direttive comunitarie, i veicoli devono essere dotati altresì di limitatore di velocità.

2.  Chiunque circola con un autoveicolo non munito di cronotachigrafo, nei casi in cui esso è previsto, ovvero circola con autoveicolo munito di un cronotachigrafo avente caratteristiche non rispondenti a quelle fissate nel regolamento o non funzionante, oppure non inserisce il foglio di registrazione o la scheda del conducente, è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 866 ad euro 3.464. La sanzione amministrativa pecuniaria è raddoppiata nel caso che l’infrazione riguardi la manomissione dei sigilli o l’alterazione del cronotachigrafo.

OMISSIS”

Art. 9  L. 689/81 Principio di specialità

“Quando uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, ovvero da una pluralità di disposizioni che prevedono sanzioni amministrative, si applica la disposizione speciale.

Tuttavia quando uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione regionale o delle province autonome di Trento e di Bolzano che preveda una sanzione amministrativa, si applica in ogni caso la disposizione penale, salvo che quest’ultima sia applicabile solo in mancanza di altre disposizioni penali.

OMISSIS”

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IL CASO

Un soggetto è stato condannato per il reato previsto dall’art. 437 c.p. per avere manomesso il cronotachigrafo di un autoarticolato del quale era conducente un dipendente della medesima ditta.
Viene proposto ricorso in Cassazione per violazione di legge in relazione agli artt. 437 cod. pen. e 179 c.d.s. rilevando che l’illecito amministrativo previsto dal codice della strada avrebbe dei caratteri di specialità rispetto alla fattispecie penale prevista dall’art. 437 cod. pen. e che pertanto, considerato che i fatti sono sovrapponibili sotto il profilo naturalistico, alla manomissione del cronotachigrafo dovrebbe applicarsi la disciplina di cui all’art. 9 L. 689/1981.

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LA CASSAZIONE

La sentenza della CASS. PEN., I, 17/11/23 N° 46444 risponde che il fatto costituisce reato e precisamente violazione all’art. 437 c.p., confermando un indirizzo giurisprudenziale ormai consolidato.

Relativamente alla questione riguardante l’esistenza o meno di un conflitto apparente di norme regolanti il medesimo fatto si richiamano due pronunciamenti delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione,  ove si afferma che essa “…deve essere risolta mediante l’applicazione – in via esclusiva – del criterio di specialità previsto dall’art. 15 cod. pen., fondato sulla comparazione della struttura astratta delle fattispecie poste a raffronto, al fine di apprezzare l’implicita valutazione di correlazione tra le norme effettuata dal legislatore…” (Sez. Un., 23/02/17 N° 20664).

Il principio espresso determina che “…nell’ipotesi in cui il concorso sia tra una disposizione penale incriminatrice e una disposizione amministrativa sanzionatoria che apparentemente regolano lo stesso fatto, deve essere applicata esclusivamente – una volta positivamente riconosciuto il conflitto – la disposizione che risulti speciale (rispetto all’altra) all’esito del confronto compiuto tra le rispettive fattispecie astratte…” (Sez. Un., 28/10/10 N° 1963)

Viene richiamato un precedente per un caso sovrapponibile ove si afferma che “…tra gli elementi essenziali della fattispecie astratta oggetto del presente giudizio, punita dall’art. 437 cod. pen. -che incrimina il fatto in sé dell’alterazione o danneggiamento del cronotachigrafo- e la condotta invece sanzionata in via amministrativa dall’art. 179 comma 2 del codice della strada -consistente nella circolazione alla guida di un veicolo privo di cronotachigrafo, ovvero munito di un cronotachigrafo manomesso o alterato, o comunque non rispondente alle caratteristiche tecniche stabilite dalla normativa di settore- non vi è la coincidenza strutturale che costituisce il presupposto dell’applicazione del criterio della specialità sancito dagli artt. 15 cod. pen. e 9 legge n. 689 del 1981.
Alle due fattispecie, pertanto, non si applica il principio di specialità in alcuna delle sue declinazioni, “per specificazione” o “per aggiunta”…che postulano l’esistenza di un nucleo essenziale comune e sovrapponibile tra le due fattispecie astratte, nel senso che, eliminando l’elemento di specificazione ovvero l’elemento aggiuntivo che caratterizza la fattispecie speciale, il fatto deve ricadere nella fattispecie generale, di cui deve presentare tutti gli elementi costitutivi. …”.

Inoltre si ribadisce l’orientamento finora espresso che“…non sussiste alcun rapporto di specialità tra la disposizione di cui all’art. 179 (secondo comma) cod. strada e quella di cui all’art. 437 cod. pen., in quanto è diverso, non solo e non tanto, il bene giuridico tutelato da ognuna – rispettivamente costituiti dalla sicurezza della circolazione stradale (comprensiva di quella degli utenti terzi, diversi da colui che circoli alla guida del veicolo col cronotachigrafo manomesso) e dalla sicurezza dei lavoratori (e dunque in primis dello stesso autore della violazione, se conducente del veicolo) – quanto, soprattutto, è la stessa natura strutturale delle due fattispecie a essere differente, sia sotto l’aspetto soggettivo che oggettivo:

i. il reato di cui all’art. 437 cod.pen. è un delitto di pericolo punito a titolo di dolo, mentre la violazione dell’art. 179 cod. strada è un illecito amministrativo sanzionato indifferentemente a titolo di dolo o colpa, tanto che il conducente è sanzionato per avere circolato alla guida di un veicolo con cronotachigrafo alterato sul solo presupposto della rappresentabilità colposa della relativa manomissione, anche se l’alterazione dello strumento è stata realizzata da un altro soggetto;

ii. la condotta sanzionata dall’art. 179 cod. strada non presuppone, dunque, che l’autore della violazione, consistente nella circolazione alla guida di un veicolo con cronotachigrafo alterato, coincida necessariamente con l’autore della condotta incriminata dall’art. 437 cod. pen., e cioè col soggetto responsabile dell’alterazione, che ben potrebbe essere diverso (e identificarsi, ad esempio, nel datore di lavoro o nel proprietario del veicolo che sia diverso dal conducente);

iii. la condotta di rimozione, alterazione o danneggiamento dello strumento, concretamente idonea a mettere in pericolo la sicurezza del lavoro, punita a titolo di delitto di pericolo dal codice penale, inoltre, prescinde dal fatto materiale costituito dalla messa in circolazione del mezzo ed è pertanto configurabile anche prima e a prescindere dalla messa in circolazione del veicolo….”.

Giovanni Paris

INGIURIA E DIFFAMAZIONE TRAMITE CHAT DI GRUPPO WHATSAPP: CASS. PEN., I, 05/01/24 N° 409

CHAT DI GRUPPO, È DIFFAMAZIONE SE L’OFFESO NON VISUALIZZA IMMEDIATAMENTE IL MESSAGGIO OFFENSIVO

PUO’ COSTITUIRE INGIURIA O DIFFAMAZIONE LA PUBBLICAZIONE DI UN MESSAGGIO OFFENSIVO IN UNA CHAT DI GRUPPO WHATSAPP?

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LA NORMATIVA

Art. 594 c.p. “Ingiuria” (ABROGATO DALL’ART. 1/1 LETT. C) DEL D.LGS. 7/16)

“Chiunque offende l’onore o il decoro di una persona presente è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a euro 516.

Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa.

La pena è della reclusione fino a un anno o della multa fino a euro 1.032 se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato.

Le pene sono aumentate qualora l’offesa sia commessa in presenza di più persone”.

Art. 4 D.Lgs. 7/16 “Illeciti civili sottoposti a sanzioni pecuniarie”

“1.  Soggiace alla sanzione pecuniaria civile da euro cento a euro ottomila:

a)  chi offende l’onore o il decoro di una persona presente, ovvero mediante comunicazione telegrafica, telefonica, informatica o telematica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa;
OMISSIS”
.
Art. 595 c.p. “Diffamazione”
.
“Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 1.032.

Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a euro 2.065.

OMISSIS”

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LA CASSAZIONE

La risposta è AFFERMATIVA, quando il commento denigratorio venga “pubblicato” in una chat di gruppo, ovvero in un gruppo Whatsapp in cui all’interno vi siano almeno altre due persone oltre colui che pubblica l’offesa e l’offeso stesso si avrà ingiuria o diffamazione.

Necessita però un approfondimento per capire quando si ha l’una (ingiuria) o l’altra (diffamazione) fattispecie illecita.

La sentenza della CASS. PEN., I, 05/01/24 N° 409 si pone in linea con i precedenti finora assunti in base ai quali si afferma che:

  • se l’offesa è diretta a persona che la percepisce nell’immediato si avrà ingiuria,
  • se l’offesa non viene percepita dall’utente offeso si avrà diffamazione.

Di seguito alcuni più recenti pronunciamenti che esprimono il principio sopra riportato.

Giovanni Paris

OLTRAGGIO A PUBBLICO UFFICIALE E REQUISITO DELLA PRESENZA DI PIU’ PERSONE: CASS. PEN., VI, 03/01/24 N° 211

IL REQUISITO PREVISTO DALL’ART. 341-BIS C.P. “OLTRAGGIO A PUBBLICO UFFICIALE” DELLA PRESENZA DI PIU’ PERSONE ALL’ATTO DI OFFESA SI CONFIGURA ANCHE CON LA PRESENZA DI ALTRI PUBBLICI UFFICIALI O DI PUBBLICI DIPENDENTI?

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LA NORMATIVA

Art. 341-bis c.p. “Oltraggio a pubblico ufficiale”

Chiunquein luogo pubblico o aperto al pubblico e in presenza di più persone, offende l’onore ed il prestigio di un pubblico ufficiale mentre compie un atto d’ufficio ed a causa o nell’esercizio delle sue funzioni è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.

La pena è aumentata se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato. Se la verità del fatto è provata o se per esso l’ufficiale a cui il fatto è attribuito è condannato dopo l’attribuzione del fatto medesimo, l’autore dell’offesa non è punibile.

Ove l’imputato, prima del giudizio, abbia riparato interamente il danno, mediante risarcimento di esso sia nei confronti della persona offesa sia nei confronti dell’ente di appartenenza della medesima, il reato è estinto”.

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BREVE COMMENTO

Il reato di oltraggio a pubblico ufficiale è stato reintrodotto dall’art. 1/8 della L. 94/09 recante disposizioni in materia di sicurezza pubblica prevedendo l’art. 341-bis c.p. .

Tale tipo di reato era disciplinato dall’art. 341 c.p., abrogato con la L. 205/99.

La nuova fattispecie penale riprende parzialmente la formulazione del precedente art. 341 c.p., con importanti novità rispetto a quello.

In effetti vengono introdotti nuovi elementi di tipicità quali elementi costitutivi della fattispecie penale:

  • il compimento dell’offesa in luogo pubblico o aperto al pubblico,
  • il compimento dell’offesa in presenza di più persone,
  • la contestualità tra l’offesa al pubblico ufficiale e il compimento da parte di questi di un atto di ufficio ed a causa o nell’esercizio delle sue funzioni.

Da sottolineare che l’art. 1/1 lett. c) del D.Lgs 150/22 (c.d. riforma Cartabia), ha modificato l’art. 131-bis c.p., che disciplina l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, includendo in questa esclusione anche il delitto di oltraggio. L’art. 131-bis/3 n. 2), prevede che l’offesa non possa ritenersi di particolare tenuità “per i delitti previsti dagli articoli 336, 337 e 341 bis, quando il fatto è commesso nei confronti di un ufficiale o agente di pubblica sicurezza o di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria nell’esercizio delle proprie funzioni.

Relativamente alle espressioni offensive rivolte al pubblico ufficiale, il reato si configura anche quando le stesse possano essere udite dai presenti, in quanto già questa potenzialità costituisce un aggravio psicologico che può compromettere la prestazione del pubblico ufficiale, recando disturbo e sviandolo mentre compie un atto del suo ufficio, facendogli avvertire condizioni avverse, per lui e per la pubblica amministrazione di cui fa parte, e ulteriori rispetto a quelle ordinarie.

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LA GIURISPRUDENZA

La risposta alla domanda, sulla base della elaborazione interpretativa giurisprudenziale che fino ad ora si è formata, è stata AFFERMATIVA, con alcune precisazioni. Se le persone presenti sono altri pubblici ufficiali, è necessario che essi si trovino in quella circostanza spaziale e temporale non per lo stesso motivo d’ufficio in relazione al quale la condotta oltraggiosa sia posta in essere dall’agente.

IMPORTANTE!! Si segnala però il pronunciamento della CASS. PEN., VI, 03/01/24 N° 211, che si mostra particolarmente importante in quanto non condivide il ragionamento che sorregge l’affermazione del suddetto principio, ma non in senso riduttivo, bensì ampliativo delle situazioni in cui il reato può realizzarsi, basandosi su una considerazione “…di carattere dirimente, poiché basata sull’esame del dato normativo testuale. Al di là dell’articolato ragionamento che sorregge l’affermazione del principio qui non condiviso, resta il fatto che la sua applicazione determina l’introduzione nella fattispecie astratta di un elemento di distinzione, rappresentato dalla diversa qualifica soggettiva dei soggetti presenti al fatto oltraggioso (in presenza di più persone), che la legge semplicemente non contempla. …”.

Tradotto: al fine delle verifica del requisito della presenza di più persone, per il configurarsi del reato non si deve andare ad accertare la qualifica delle stesse, se “civili” o “pubblici ufficiali” e, in questo caso, se impegnati nel compimento dello stesso atto/funzione del pubblico ufficiale destinatario dell’oltraggio, questo la norma non lo richiede, basta che vi siano più soggetti presenti al fatto.

Esiste un brocardo latino che recita “ubi lex non distinguit, nec nos distinguere debemus” (quando la legge non distingue, neanche noi possiamo farlo), che tradotto in termini guiridici significa che nella interpretazione di una norma se la legge non pone distinzioni, nessuna distinzione nella sua applicazione può essere operata da chi applica la stessa. Ebbene si può dire che la Suprema Corte abbia fatto uso di tale principio giuridico.

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L’ORIENTAMENTO NON CONDIVISO

Di seguito si riportano alcuni pronunciamenti della Suprema Corte con i quali viene espresso il principio di diritto “riduttivo” e non condiviso dalla sentenza sopra riportata, secondo cui, ai fini dell’integrazione del delitto di oltraggio, la condotta offensiva nei confronti del pubblico ufficiale, consistente nell’offesa all’onore ed al prestigio dello stesso, deve avvenire alla presenza di almeno due persone, requisito numerico minimo perché possano ravvisarsi «più persone», individuando i soggetti che possono essere ricompresi fra le «più persone», tra le quali non possono computarsi quei soggetti che, pur non direttamente attinti dall’offesa, assistano alla stessa nello svolgimento delle loro funzioni, essendo integrato il requisito della pluralità di persone unicamente da persone estranee alla pubblica amministrazione (ossia dai “civili”), ovvero da persone che, pur rivestendo la qualifica di pubblico ufficiale, siano presenti in quel determinato contesto spazio-temporale non per lo stesso motivo d’ufficio in relazione al quale la condotta oltraggiosa sia posta in essere dall’agente.

Sulla base di tale interpretazione l’oltraggio a pubblico ufficiale può perfezionarsi anche in presenza di altri pubblici ufficiali non destinatari diretti dell’offesa, ma è necessario che si tratti di pubblici ufficiali presenti sul posto non in quanto intenti, non impegnati nel compimento dell’atto d’ufficio che ha generato o nel cui contesto si è realizzata la condotta oltraggiosa.

Giovanni Paris

CONCETTO DI “ABITAZIONE”, “PRIVATA DIMORA” E “PERTINENZA” EX ART. 624-BIS/1 C.P. (FURTO IN ABITAZIONE): CASS. PEN, IV, 29/12/23 N° 51596

Furto in abitazione: la proprietaria dorme, i ladri entrano in casa -  Telenord.it

COSA SI INTENDE PER “PRIVATA DIMORA” E “PERTINENZA” AL FINE DELLA CONFIGURAZIONE DEL REATO PREVISTO DALL’ART. 624-BIS/1 C.P. (FURTO IN ABITAZIONE)?

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LA NORMATIVA

Art. 624-bis c.p. “Furto in abitazione e furto con strappo”

(Articolo aggiunto dall’art. 2 della L. 128/01)

“Chiunque si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, mediante introduzione in un edificio o in altro luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora o nelle pertinenze di essa, è punito con la reclusione da quattro a sette anni e con la multa da euro 927 a euro 1.500

OMISSIS

La pena è della reclusione da cinque a dieci anni e della multa da euro 1.000 a euro 2.500 se il reato è aggravato da una o più delle circostanze previste nel primo comma dell’articolo 625 ovvero se ricorre una o più delle circostanze indicate all’articolo 61.

OMISSIS”

Art. 625 c.p. Circostanze aggravanti

“La pena per il fatto previsto dall’articolo 624 è della reclusione da due a sei anni e della multa da euro 927 a euro 1.500:

(1. se il colpevole, per commettere il fatto, si introduce o si trattiene in un edificio o in un altro luogo destinato ad abitazione) soppresso dall’art. 2, L. 128/01.

2. se il colpevole usa violenza sulle cose o si vale di un qualsiasi mezzo fraudolento;

OMISSIS”

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IL CASO

Un soggetto viene condannato per il reato di cui all’ art. 624-bis c.p. con l’aggravante prevista dall’art. 625 c.p., n. 2, per essersi impossessato di alcuni beni riposti all’interno della cantina di pertinenza di un appartamento, dopo aver danneggiato la serratura della porta della cantina con oggetti atti allo scasso, poi rinvenuti in suo possesso. Fatto aggravato dall’essere stato con commesso con violenza sulle cose.

Viene proposto ricorso per Cassazione avverso la sentenza deducendo la violazione degli artt. 624 e 624-bis c.p. in quanto la cantina nella quale si era consumato il furto non poteva considerarsi pertinenza dell’abitazione in ragione della assenza del requisito della contiguità rispetto all’abitazione. La Corte di Appello aveva ritenuto che il soggetto per sottrarre i beni si era introdotto in un locale che, benché disabitato, era pertinenza di una privata dimora in quanto adibito a deposito di effetti personali e quindi allo svolgimento di un atto della vita privata, non aperto al pubblico e non accessibile a terzi senza il consenso del titolare.

Osservando altresì che il concetto di pertinenza deve essere relazionato con la ratio ispiratrice dell’art. 624-bis c.p., con il quale si è voluto sanzionare in modo rafforzato il comportamento di chi può arrecare pericolo all’incolumità della persona offesa poiché si introduce in un luogo da questa abitualmente frequentato.

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LA SENTENZA

Si segnala la sentenza della CASS. PEN, IV, 29/12/23 N° 51596 che si occupa di qualificare i concetti di “privata dimora” e di “pertinenza” richiamati dall’art. 624-bis c.p. e che si qualifica per il preciso intervento interpretativo e per la dovizia di richiami giurisprudenziali e la elencazione di luoghi che hanno avuto il riconoscimento del carattere di “privata dimora”.

“…La L. 26 marzo 2001, n. 128, art. 624 bis c.p., art. 2 innovando rispetto alla previsione contenuta nell’art. 625 c.p., n. 1, che indicava quale aggravante del furto la condotta realizzatasi attraverso la introduzione o l’intrattenersi in un edificio destinato ad altrui “abitazione”, prevede – configurandola quale fattispecie autonoma di reato, al fine di sottrarla al giudizio di bilanciamento, e sanzionandola con pena più severa – la condotta dell’impossessamento mediante introduzione in un luogo destinato a “privata dimora” ovvero nelle sue pertinenze. La locuzione utilizzata ha recepito in parte i risultati della precedente elaborazione giurisprudenziale sulla nozione di “abitazione”, già presente nel soppresso n. 1, dell’art. 625 c.p. e tuttora ripreso nella rubrica della nuova norma…”.

Di fatto, già prevista nella previgente disposizione, “…la nozione di abitazione, evocando quella del luogo finalizzato a soddisfare esigenze della vita domestica e familiare, aveva consentito di includervi anche locali che, pur non comunicando direttamente con l’abitazione, sono tuttavia destinati a soddisfare esigenze della vita domestica e familiarecome le autorimesse,…i cortili i quali, pur non essendo adibiti a vera e propria abitazione, costituiscono parte integrante del luogo abitato per essere destinati, con carattere di indispensabile strumentalità, all’attuazione delle esigenze della vita abitativa,…le scale,…il negozio intercomunicante con alcuni vani adibiti ad abitazione,…un’area privata di pertinenza dell’abitazione condotta in locazione dallo stesso autore del fatto,…la stanza d’ospedale destinata all’uso del personale paramedico,…uno spazio di una abitazione distinto e appartato dalla zona nella quale l’autore del furto era stato autorizzato ad accedere, essendo necessario distinguere, in funzione del consenso espresso dal soggetto passivo, tra i diversi locali che compongono l’abitazione…”.

Viene direttamente richiamata una sentenza del 2014 che “…aveva sottolineato come, a maggior ragione, la rilevanza di luoghi non strettamente riconducibili al concetto di abitazione emergesse dalla formulazione della nuova norma, essendo quella di “privata dimora” nozione più ampia e comprensiva di quella di “abitazione” (come è dimostrato anche dalla formulazione dell’art. 614 c.p., ove sono entrambi presenti), in essa rientrando tutti quei luoghi non pubblici nei quali le persone si trattengono per compiere, anche in modo transitorio e contingente, atti della loro vita privata ovvero attività di carattere culturale, professionale e politico. Si era, infatti, ritenuto che vi rientrassero, gli studi professionali, gli spazi di esercizi commerciali o di stabilimenti industriali nei quali la persona offesa possa svolgere, anche in modo contingente, atti di vita privata,… compreso anche un pubblico esercizio, nelle ore di chiusura, utilizzato dal proprietario per lo svolgimento di un’attività lavorativa, sia pure inerente alla gestione del locale stesso,…la portineria di un condominio,…le aree condominiali, anche quando le stesse non siano nella disponibilità esclusiva dei singoli condomini,…il cortile condominiale, che costituisca pertinenza di una privata dimora,…uno studio odontoiatrico,…l’interno di un campo da tennis inserito in un complesso alberghiero,…una baracca adibita a spogliatoio in un cantiere edile,…l’area di uno stabilimento adibita a deposito merci, considerato che lo stabilimento rappresenta uno degli snodi fondamentali in cui si svolge la vita privata dell’imprenditore, atteso che i beni prodotti devono essere necessariamente depositati al suo interno al fine di organizzare e stabilire quantità correlate all’andamento prevedibile della domanda nonché cadenze e prezzi di vendita…”.

Inoltre si evidenza che non si richiedeva che, “…per poter esser ritenuto “destinato a privata dimora”, il luogo dal quale fossero stato sottratte le cose fosse munito di particolari accorgimenti per impedire l’ingresso del pubblico, essendo sufficiente che si trattasse di area distinta e appartata e come tale facilmente riconoscibile, o per la sua effettiva utilizzazione o per le modalità della sua sistemazione (per esempio l’arredamento) da cui fosse desumibile lo scopo abitativo o comunque la destinazione a privata occupazione…”.

Si prosegue indicando che è stato “…ritenuto privata dimora, ai fini del disposto dell’art. 624 bis c.p., la sagrestia, in quanto funzionale allo svolgimento di attività complementari a quelle di culto, servente non solo l’edificio sacro, ma la stessa casa canonica; nonchè…che, parimenti,…corretta la qualificazione ex art. 624 bis c.p. del furto commesso all’interno di un palazzo di giustizia, in un locale adibito a spogliatoio degli avvocati: trattavasi, infatti, di luogo in cui gli avvocati si trattenevano, seppure soltanto temporaneamente, per compiere atti della propria vita quotidiana, e che non poteva definirsi come pubblico o aperto al pubblico per il solo fatto che fosse accessibile a più di un avvocato,…qualificato nei detti termini un locale destinato a ripostiglio posto all’interno di un esercizio commerciale, ancorché non munito di particolari accorgimenti per impedire l’ingresso del pubblico,…ritenuto costituire privata dimora agli effetti della norma citata il locale di servizio posto nel retro di una farmacia, la cui porta era rimasta socchiusa, durante l’orario di apertura,…ritenuto integrare il delitto di furto in abitazione la condotta di colui che commetta il furto all’interno di un campo da tennis inserito in un complesso alberghiero, considerato che esso costituisce pertinenza dell’albergo e luogo nel quale i soggetti che ivi si trattengono, anche solo per svolgere attività ludica, pongono in essere atti relativi alla loro sfera privata. …”.

Viene poi ricordato che “…Della questione dei limiti applicativi della norma in esame sono state investite le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Sez. U, n. 31345 del 23/03/2017) che, per quanto concerne lo specifico profilo che qui rileva, hanno messo in evidenza il requisito della stabilità della presenza personale, escludendosi la qualifica di privata dimora in relazione a quei luoghi in cui il soggetto si trovi occasionalmente e transitoriamente.

Pur constatando l’ampio campo semantico rilevante ai fini della identificazione del concetto di “privata dimora”, le Sezioni Unite hanno rifiutato l’impostazione logico-interpretativa che ampliava la fattispecie astratta includendovi tanto i luoghi che erano strutturati in guisa da inibire l’accesso al pubblico (portoni, saracinesche o altri meccanismi) quanto i luoghi adibiti ad atti della vita privata (specificandosi che atti della vita privata non erano soltanto quelli della vita intima o familiare, ma anche quelli dell’attività professionale o lavorativa, o quelli posti in essere a contatto con altri soggetti, quali l’acquisto di merce in un supermercato, la fruizione di una prestazione professionale, il compimento di operazioni bancarie). Il Supremo consesso ha, dunque, sposato un significato restrittivo, muovendo dalla lettera del testo normativo, ritenendo che nella previsione dell’art. 624 bis c.p. debbano includersi i luoghi che siano stati adibiti “in modo apprezzabile sotto il profilo cronologico allo svolgimento di atti della vita privata, non limitati questi ultimi soltanto a quelli della vita familiare e intima (propri dell’abitazione)”, nonchè i luoghi che, ancorchè non destinati allo svolgimento della vita familiare o domestica, abbiano, comunque, le caratteristiche dell’abitazione….”.

Si osserva che si deve “…individuare nel domicilio, inteso come luogo in cui sia inibito l’accesso ad estranei e che sia tale da garantire la riservatezza, il bene giuridico tutelato dalla norma, con la precisazione che il luogo deve essere tale da giustificare la tutela di questo anche quando la persona è assente. Elemento discriminante, in tal senso, è il requisito della stabilità, “perchè è solo questa, anche se intesa in senso relativo, che può trasformare un luogo in un domicilio, nel senso che può fargli acquistare un’autonomia rispetto alla persona che ne ha la titolarità”.

Pertanto si può ritenere che “…che per poter sussumere il fatto nell’ipotesi delittuosa contemplata dall’art. 624 bis c.p. dovessero concorrere indefettibilmente tre elementi:

a) l’utilizzazione del luogo per lo svolgimento di manifestazioni della vita privata (riposo, svago, alimentazione, studio, attività professionale e di lavoro in genere), in modo riservato ed al riparo da intrusioni esterne;

b) la durata apprezzabile del rapporto tra il luogo e la persona, in modo che tale rapporto sia caratterizzato da una certa stabilità e non da mera occasionalità;

c) la non accessibilità del luogo, da parte di terzi, senza il consenso del titolare.

Infine si osserva che “…che il frequente uso nel lessico del legislatore penale di espressioni vaghe, quale è nel caso in esame il termine “privata dimora”, impone all’interprete il compito di definirne il significato. Si tratta, in particolare, di definire il contenuto offensivo tipico dell’ipotesi delittuosa onde comprendere se la condotta contestata presenti un disvalore sufficiente a giustificarne la collocazione entro la fattispecie disciplinata con maggior rigore, giustifichi la maggiore gravità del fatto e l’incremento della sanzione che ne deriva. Il principio di offensività che deve guidare l’interprete nell’individuazione del fatto tipico sanzionato dal legislatore penale, regola altresì l’interpretazione di elementi connotanti il fatto in termini di maggior allarme sociale, cosicché si possa “cogliere nel lessico legale una portata che esprima fenomenologie significative, che giustifichino l’accresciuta severità sanzionatoria”…L’interpretazione della locuzione “privata dimora” offerta dalla giurisprudenza di legittimità è, dunque, espressione della ratio della norma, che è quella della tutela “forte” del domicilio “in quanto proiezione spaziale della persona, cioè ambito primario e imprescindibile della libera estrinsecazione della personalità individuale”, e correlativamente la tutela dei beni di particolare rilievo personale che vi si trovano.

In conclusione la Suprema Corte applicando tali principi al caso concreto “…ritiene che sia dirimente il riferimento in entrambe le pronunce di merito alla identificazione di un’area riservata alla sfera privata della persona offesa, correttamente qualificando in termini di privata dimora la cantina in quanto adibita a deposito di effetti personali…e con accesso precluso a terzi da una serratura, nell’occasione tagliata. …”.

Giovanni Paris

CONDIZIONI PER EMISSIONE DI ORDINANZA SINDACALE CONTINGIBILE ED URGENTE: CONSIGLIO DI STATO, V, 03/01/24 N° 105

QUALI SONO I PRESUPPOSTI PER LA EMISSIONE DI UNA ORDINANZA SINDACALE CONTINGIBILE ED URGENTE?

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INQUADRAMENTO GENERALE

Le ordinanze di urgente necessità sono, secondo la definizione data da M.S. Giannini provvedimenti amministrativi innominati, che si inventano e si adottano in caso di necessità allorché le norme non contemplano altro strumento d’urgenza per provvedere ad un interesse pubblico.

Esse costituiscono espressione di un potere derogatorio libero nel contenuto, in quanto provvedimenti medianti i quali, nelle situazioni di urgente necessità, le autorità amministrative indicate dalla legge possono porre in essere statuizioni di vario contenuto.

DEFINIZIONE

Non si rintraccia nel nostro ordinamento giuridico una definizione normativa di ordinanza contingibile ed urgente, quindi è possibile proporne una che è il frutto della elaborazione dottrinale e giurisprudenziale.

Tentiamo di fornire una definizione la più esaustiva, chiara e completa dei suoi elementi essenziali e caratteri.

Possiamo dire che l’ordinanza contingibile ed urgente di competenza del Sindaco è:

quel provvedimento amministrativo, adeguatamente motivato, di indole straordinaria, atipico, espressione di un potere extra ordinem, libero nel contenuto, con efficacia limitata nel tempo e che deve comunque rispettare le norme costituzionali ed i principi generali dell’ordinamento, che il Sindaco emette in qualità di Ufficiale di Governo in casi di necessità ed urgenza derivanti da eventi eccezionali ed imprevedibili al fine di evitare o eliminare pericoli per l’incolumità dei cittadini, quando non è possibile provvedere con i mezzi ordinari posti a disposizione dall’ordinamento giuridico.

FONDAMENTO

La attribuzione di tale potere trova il suo fondamento logico nel fatto che l’ordinamento giuridico, pur prevedendo e regolamentando moltissime situazioni di necessità ed urgenza, non può disciplinare compiutamente tutti i casi, per cui in tali situazioni ove l’autorità non fosse dotata del potere di ordinanza si troverebbe costretta a non agire per non violare il principio della legalità oppure ad agire illegittimamente per porre rimedio alle situazioni medesime.

DEROGA TIPICITA’

Le ordinanze contingibili ed urgenti sono espressione di un potere straordinario ed eccezionale per il quale l’ordinamento fissa solo alcuni elementi: l’organo competente, i presupposti (necessità ed urgenza), mentre lascia all’autorità amministrativa una ampia sfera discrezionale circa la determinazione del contenuto, rappresentando così una restrizione del principio di legalità, prevedendo un genere di provvedimento ATIPICO.

Quindi esse sono provvedimenti che comunque osservano il principio di legalità, (perché trovano fondamento esclusivo nella legge), ma costituiscono una eccezione rispetto alla regola della tipicità e deroga al principio della riserva di legge (perché impongono obblighi non previsti per legge, si “crea” diritto), potendo altresì emanare disposizioni derogatorie della normativa vigente.

PRESUPPOSTI

Si è detto che l’ordinamento conferisce il potere di emettere ordinanze di necessità quando concorrono i presupposti della contingibilità ed urgenza.

Cosa indicano tali concetti?

Prima di tutto va chiarito che essi sono riferiti non al provvedimento, ma ai fatti che ne determinano e legittimano la emanazione.

CONTINGIBILITA’: essa è conosciuta anche con il termine di NECESSITA’, indica l’esistenza di un fatto di indole straordinaria, inconsueta, accidentale, quindi imprevista o imprevedibile, da ciò una situazione di emergenza che rende necessario un intervento a sua disciplina.

URGENZA: indica che l’intervento deve essere immediatamente realizzato stante la imminenza di una situazione di pericolo di danno reale ed attuale a cui si impone di ovviare, senza possibilità di aspettare.

INESISTENZA DI STRUMENTI GIURIDICI ORDINARI

Bisogna aggiungere che da sole la contingibilità e l’urgenza in sé non legittimano l’emissione di una ordinanza di necessità, ma ciò può avvenire solo quando non è possibile altrimenti provvedere adeguatamente con i mezzi ordinari previsti dall’ordinamento, quindi ogni qual volta la situazione è possibile fronteggiarla con rimedi ordinari previsti per legge non è possibile far ricorso all’ordinanza contingibile ed urgente.

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LA NORMATIVA

Articolo 50  T.U.E.L. “Competenze del sindaco e del presidente della provincia”

“OMISSIS

5.  In particolare, in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale le ordinanze contingibili e urgenti sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale. Le medesime ordinanze sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale, in relazione all’urgente necessità di interventi volti a superare situazioni di grave incuria o degrado del territorio, dell’ambiente e del patrimonio culturale o di pregiudizio del decoro e della vivibilità urbana, con particolare riferimento alle esigenze di tutela della tranquillità e del riposo dei residenti, anche intervenendo in materia di orari di vendita, anche per asporto, e di somministrazione di bevande alcoliche e superalcoliche. Negli altri casi l’adozione dei provvedimenti d’urgenza, ivi compresa la costituzione di centri e organismi di referenza o assistenza, spetta allo Stato o alle regioni in ragione della dimensione dell’emergenza e dell’eventuale interessamento di più ambiti territoriali regionali.

OMISSIS”

Articolo 54  T.U.E.L. Attribuzioni del sindaco nelle funzioni di competenza statale

“OMISSIS

4.  Il sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta con atto motivato provvedimenti, anche contingibili e urgenti nel rispetto dei princìpi generali dell’ordinamento, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana. I provvedimenti di cui al presente comma sono preventivamente comunicati al prefetto anche ai fini della predisposizione degli strumenti ritenuti necessari alla loro attuazione.

4-bis.  I provvedimenti adottati ai sensi del comma 4 concernenti l’incolumità pubblica sono diretti a tutelare l’integrità fisica della popolazione, quelli concernenti la sicurezza urbana sono diretti a prevenire e contrastare l’insorgere di fenomeni criminosi o di illegalità, quali lo spaccio di stupefacenti, lo sfruttamento della prostituzione, la tratta di persone, l’accattonaggio con impiego di minori e disabili, ovvero riguardano fenomeni di abusivismo, quale l’illecita occupazione di spazi pubblici, o di violenza, anche legati all’abuso di alcool o all’uso di sostanze stupefacenti.

OMISSIS”

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IL CONSIGLIO DI STATO

La sentenza del CONSIGLIO DI STATO, V, 03/01/24 N° 105 rammenta “...che le ordinanze di necessità e urgenza sono espressione di un potere amministrativoextra ordinem, volto a fronteggiare situazioni di urgente necessità: esse presuppongono, pertanto, l’impossibilità o l’inutilità del ricorso agli strumenti ordinari previsti dalla legislazione vigente, a fronte della necessità di fronteggiare una situazione, non tipizzata dalla legge, di pericolo concreto, o anche solo potenziale…; la sussistenza di tale pericolo deve emergere da un’istruttoria adeguata e da una congrua motivazione, tali da giustificare la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi…”,

indicando che “…I presupposti che consentono il legittimo esercizio del potere di ordinanza ex art. 54 del D.Lgs. n. 267 del 2000 sono quelli (i) della contingibilità, intesa nell’accezione di necessità che implica l’insussistenza di rimedi tipici e nominati per fronteggiare efficacemente il pericolo, oppure nella inadeguatezza di quelli esistenti a fronteggiare il pericolo in maniera adeguata e tempestiva; nonché (ii) dell’urgenza, consistente nella materiale impossibilità di differire l’intervento ad altra data e dell’interesse pubblico da salvaguardare…”,

con richiamo della consolidata giurisprudenza in base alla quale “…i presupposti per l’adozione dell’ordinanza contingibile e urgente risiedono nella sussistenza di un pericolo irreparabile ed imminente per la pubblica incolumità, non altrimenti fronteggiabile con i mezzi ordinari apprestati dall’ordinamento, nonché nella provvisorietà e la temporaneità dei suoi effetti, nella proporzionalità del provvedimento, non essendo pertanto possibile adottare ordinanze contingibili e urgenti per fronteggiare situazioni prevedibili e permanenti o quando non vi sia urgenza di provvedere, intesa come assoluta necessità di porre in essere un intervento non rinviabile, a tutela della pubblica incolumità…”.

Infine si chiarisce che “…come statuito dal Consiglio di Stato, sez. I – 30/7/2018, n. 1983, il potere in esame, attribuito al Sindaco dagli artt. 50 e 54 del D.Lgs. n. 267 del 2000, può essere utilizzato non solo a fronte di un pericolo reale, ma anche di una situazione di rischio potenziale, al fine di prevenire l’inveramento di un evento dannoso. Inoltre, la tutela della pubblica incolumità si realizza non solo attraverso l’eliminazione delle minacce dei pericoli, ma anche attraverso l’adozione delle opportune misure di prevenzione. …”.

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Si leggano anche:

Giovanni Paris

DISCIPLINA ORARI DELLE SALE GIOCHI E DEGLI APPARECCHI CON VINCITA DI DENARO: CONSIGLIO DI STATO, V, 07/12/23 N° 10632

San Lazzaro, chiuse due sale slot. “Poi via le macchinette dai bar"

DOMANDE:

1. IL COMUNE HA LA FACOLTÀ DI REGOLARE GLI ORARI DI APERTURA DEI LOCALI DOVE SI TROVANO APPARECCHI DI INTRATTENIMENTO E SVAGO CON VINCITA IN DENARO?

2. L’INOSSERVANZA DELL’ORDINANZA CHE DISPONGA LIMITAZIONI DI ORARIO DI APERTURA DEI LOCALI SUDDETTI PUÒ ESSERE PUNITA AI SENSI DELL’ART. 7 BIS T.U.E.L.?

3. IN CASO DI VIOLAZIONE PUÒ ESSERE ANCHE DISPOSTA CON ORDINANZA DEL SINDACO LA SANZIONE DELLA SOSPENSIONE DELL’ATTIVITÀ AI SENSI DELL’ART. 10 T.U.L.P.S.?

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LA NORMATIVA

Art. 50  “Competenze del Sindaco e del Presidente della Provincia” T.U.E.L.

“OMISSIS

“7.  Il sindaco, altresì, coordina e riorganizza, sulla base degli indirizzi espressi dal consiglio comunale e nell’ambito dei criteri eventualmente indicati dalla regione, gli orari degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici, nonché, d’intesa con i responsabili territorialmente competenti delle amministrazioni interessate, gli orari di apertura al pubblico degli uffici pubblici localizzati nel territorio, al fine di armonizzare l’espletamento dei servizi con le esigenze complessive e generali degli utenti”.

OMISSIS”

Art. 10 T.U.L.P.S.

“Le autorizzazioni di polizia possono essere revocate o sospese in qualsiasi momento, nel caso di abuso della persona autorizzata”.

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Questioni a cui viene data risposta nella sentenza del CONSIGLIO DI STATO, V, 07/12/23 N° 10632 nella quale si afferma:

  • relativamente alla prima domanda che “...Il Comune ha facoltà di regolare gli orari di apertura dei locali dove si trovano degli apparecchi di intrattenimento e svago con vincita in denaro, di cui all’art. 110, comma 6 lett. b) del T.U.L.P.S. ai sensi dell’art. 50, comma 7, T.U.E.L. e tale facoltà è ancora più opportuno esercitare quando di tratta di fissare gli orari di apertura di esercizi che siano autorizzati a tenere al loro interno apparecchi che consentono vincite e che sono particolarmente ricercati da persone che sono esposte agli effetti della ludopatia. …”,
  • relativamente alla seconda domanda che “…L’inosservanza dell’ordinanza che disponga limitazioni di orario in tal senso ben può essere sanzionata ai sensi dell’art. 7 bis T.U.E.L. …”,
  • relativamente alla terza domanda che “…Non può, invece, disporsi sulla base di una semplice ordinanza del Sindaco anche la sanzione della sospensione dell’attività per un certo tempo. La Corte di Cassazione con la sentenza 19696/2022 ha ribadito che il potere sanzionatorio di cui all’art. 1 l. 689/1981 è soggetto a riserva di legge relativa che deve predeterminare i presupposti per il suo esercizio, predeterminazione che non può essere contenuta in un provvedimento amministrativo. In conseguenza di ciò ha annullato l’ordinanza-ingiunzione con la quale il Comune aveva applicato la sanzione accessoria della sospensione per sette giorni del funzionamento degli apparecchi installati in una sala giochi, per non avere la società rispettato i limiti di orario disposti con ordinanza della giunta comunale. Si tratta di un caso sovrapponibile a quello in esame in questa sede ove l’unica differenza risiede nella circostanza che il caso esaminato dalla cassazione nasce da un ordinanza-ingiunzione emessa ai sensi della l. 689/1981, mentre nella presente vicenda si è scelto di emanare un’ordinanza senza riferimento alla l. 689/1981. Il provvedimento non può giustificarsi neanche ai sensi dell’art. 10 T.U.L.P.S. poiché le sanzioni nei confronti delle ordinanze di polizia ai sensi del r.d. 773/1931 possono essere irrogate solo dall’autorità che concedono tali autorizzazioni, nel caso di specie la Questura...”.

Viene altresì evidenziato come l’ordinanza che aveva disposto la sospensione dell’attività non richiamava affatto alcuna norma per giustificare il suo potere di infliggere la sanzione accessoria.

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Sulla legittimità della adozione di ordinanza sindacale di regolazione degli orari di attivita’ di gioco lecito si legga anche l’articolo ORDINANZA DI LIMITAZIONE ORARIO ATTIVITA’ DI GIOCO LECITO: CONSIGLIO DI STATO, V, 19/07/23 N° 7078

Giovanni Paris

GUIDA SENZA PATENTE DI SOGGETTO SOTTOPOSTO A MISURA DI PREVENZIONE: CASS. PEN., I, 14/12/23 N° 49788

Patente di guida: come chiedere il rinnovo a Livorno

LA CONDUZIONE DI VEICOLO SENZA PATENTE DI GUIDA DA PARTE DI SOGGETTO SOTTOPOSTO A MISURA DI PREVENZIONE COSTITUISCE ILLECITO AMMINISTRATIVO O REATO?

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LA NORMATIVA

Art. 116 c.d.s.  “Patente e abilitazioni professionali per la guida di veicoli a motore”

“OMISSIS

15.  Chiunque conduce veicoli senza aver conseguito la corrispondente patente di guida è punito con l’ammenda da 2.257 euro a 9.032 euro; la stessa sanzione si applica ai conducenti che guidano senza patente perché revocata o non rinnovata per mancanza dei requisiti fisici e psichici.

OMISSIS”

Art. 73  “Violazioni al codice della strada” D.Lgs. 06/09/11 n° 159 “Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136”

“1.  Nel caso di guida di un autoveicolo o motoveicolo, senza patente, o dopo che la patente sia stata negata, sospesa o revocata, la pena è dell’arresto da sei mesi a tre anni, qualora si tratti di persona già sottoposta, con provvedimento definitivo, a una misura di prevenzione personale”.

La fattispecie suddetta può dirsi assorbita dalle modifiche normative che hanno riguardato l’art. 116/15 c.d.s. e pertanto affermare che anch’essa è stata depenalizzata?

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IL CASO

Un soggetto è stato condannato per la contravvenzione ex art. 73 D. Lgs. n. 159 del 2011 perché – sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di P.S. con obbligo di soggiorno – veniva colto alla guida di motociclo senza avere mai conseguito la patente di guida.

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LA SENTENZA

Si riscontra un prevalente orientamento giurisprudenziale di legittimità in forza del quale la​ ​guida​ ​di un veicolo senza​ ​patente​ ​o con​ ​patente​ ​negata, sospesa o​ ​revocata, da parte di un soggetto già sottoposto, con provvedimento definitivo, a una misura di prevenzione personale costituisce ancora reato, qualificandosi quindi come fattispecie speciale rispetto all’ipotesi dell’art. 116/15 c.d.s., che non trova quindi applicazione. Possiamo dire che siamo di fronte a un reato “extra c.d.s.”.

Tale orientamento è stato confermato da CASS. PEN., I, 14/12/23 N° 49788 per la quale “…È noto che la depenalizzazione del reato di guida senza patente di cui all’art. 116 cod. strada a seguito del d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 8 non si estende all’ipotesi in cui la guida senza patente venga attuata da persona sottoposta a misura di prevenzione personale, in relazione alla quale l’art. 73 D. Lgs. n. 159 del 2011 prevede un autonomo reato…“,

trattandosi “…di reato proprio di colui il quale sia già sottoposto, con provvedimento definitivo, a una misura di prevenzione personale…e che ha superato il vaglio di costituzionalità: invero, la Corte costituzionale con la sentenza n. 211 del 2022 ha spiegato che nella fattispecie di cui all’art. 73 d. Igs. n. 159 del 2011, sottoposta al suo scrutinio, non è ravvisabile un’ipotesi di responsabilità d’autore, e ha espressamente affermato che «le misure di prevenzione personale, sia se applicate dall’Autorità amministrativa, sia se adottate dall’Autorità Giudiziaria, presuppongono la riconducibilità della persona a una delle categorie di destinatari previste dal Codice antimafia, l’attualità della pericolosità sociale del destinatario della misura e la pericolosità sociale effettiva della persona per la sicurezza pubblica»…”.

Precedente più recente si segnala con CASS. PEN., VI, 09/03/23 N° 10050 la quale afferma che  “…la depenalizzazione del reato di guida senza patente di cui all’art. 116 cod. strada a seguito del d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 8 non si estende all’ipotesi in cui la guida senza patente venga posta in essere da persona sottoposta a misura di prevenzione personale, in relazione alla quale l’art. 73 del digs. 6 settembre 2011, n. 159 prevede un autonomo reato…”,

ricordando anch’essa che la norma suddetta ha subito il vaglio di legittimità costituzionale da parte del Giudice delle Leggi, il quale con sentenza del 18/09/22 n° 211 ha ritenuto non fondata la questione di legittimità con riferimento ai parametri costituzionali.

La Corte Costituzionale  “…Ha escluso che nella fattispecie delineata dalla norma incriminatrice di cui all’art. 73 del d.lgs. 159 del 2011 sia ravvisabile una ipotesi di “responsabilità penale d’autore” poiché la perdurante rilevanza penale della condotta di guida in assenza del titolo abilitativo, invece depenalizzata per coloro che non sono sottoposti a misure di prevenzione (salva l’ipotesi della “recidiva” nell’illecito amministrativo che rimane reato), si ricollega alla violazione di una regola specifica, qual è quella desumibile dall’art. 120 cod. strada, e non semplicemente al generico obbligo di «vivere onestamente» e di «rispettare le leggi»… . Presupposto della fattispecie penale è, invece, la mancanza del titolo abilitativo alla guida quale conseguenza dell’applicazione della misura di prevenzione personale; presupposto che trova il suo specifico riferimento normativo nella disposizione di cui all’art. 120 cod. strada. …”

e che “…la violazione della regola, che vieta di guidare autoveicoli e motoveicoli senza patente al soggetto sottoposto a misura di prevenzione personale, è espressione di una valutazione discrezionale del legislatore, il quale ha ritenuto sussistere un quid pluris di pericolosità per il fatto che colui che sia sottoposto con provvedimento definitivo ad una misura di prevenzione personale possa circolare alla guida di un veicolo. …”

Pertanto è legittima la perdurante sanzionabilità penale della condotta di guida senza patente ravvisabile in capo a persona sottoposta a misura di prevenzione.