Month: aprile 2023

PERMESSO DI COSTRUIRE E TERMINE DI INIZIO LAVORI: CONSIGLIO DI STATO, VII, 17/04/23 N° 3823

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QUAL E’ IL MOMENTO IN CUI INCOMINCIA A DECORRERE IL TERMINE DI INIZIO DEI LAVORI INDICATO NEL PERMESSO DI COSTRUIRE?

L’art. 15 “Efficacia temporale e decadenza del permesso di costruire” del T.U. Edilizia prevede che:

“1.  Nel permesso di costruire sono indicati i termini di inizio e di ultimazione dei lavori.

2.  Salvo quanto previsto dal quarto periodo, il termine per l’inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l’opera deve essere completata, non può superare tre anni dall’inizio dei lavori. Decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza, venga richiesta una proroga.

OMISSIS”

La sentenza del  CONSIGLIO DI STATO, VI, 17/04/23 N° 3823 si pronuncia sulla questione, affermando che, anche se l’art. 15 del T.U. Edilizia preveda che il termine per l’inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo, la data per l’inizio del decorso del termine decadenziale non è quella di “mera” adozione dell’atto, bensì quella della materiale consegna del provvedimento autorizzativo, dal momento che il permesso di costruire va considerato atto recettizio, in quanto, anche se provvedimento che ha natura ampliativa della sfera giuridica del soggetto destianatario, è però anche provvedimento potenzialmente limitativo delle sfera giuridica del privato nella parte in cui prevede conseguenze giuridiche negative, quale appunto la decadenza del titolo in caso di mancato inizio dei lavori nei termini previsti.

Il Consiglio di Stato osserva che “…In ordine all’efficacia temporale e alla decadenza del permesso di costruire, giova evidenziare che l’art. 15 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, dispone esplicitamente che “il termine per l’inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo”, dovendosi intendere quale data per l’inizio del decorso del termine decadenziale non quella di “mera” adozione dell’atto, bensì quella della materiale consegna del provvedimento autorizzativo, all’esito di comunicazione all’interessato.

Invero, il permesso di costruire, quantomeno ai fini del decorso del suddetto termine, può essere considerato alla stregua di un provvedimento amministrativo recettizio che postula l’avvenuta comunicazione ai diretti interessati, non potendo ritenersi sufficiente, ai fini della sua esistenza, la mera data di emanazione dell’atto

Sul punto, si evidenzia che l’art. 21-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, subordina l’efficacia del provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati alla comunicazione dello stesso al destinatario, atteso che, in assenza della predetta conoscenza, l’atto, seppure validamente costituito, risulterebbe inidoneo a produrre l’effetto giuridico voluto.

Seppure, infatti, il permesso di costruire non è un titolo limitativo della sfera giuridica del privato, e anzi costituisce un atto ampliativo della stessa, la suindicata regola deve essere applicata a quelli che sono effetti negativi sanciti previsti nell’ambito del provvedimento ampliativo, come nel caso delle decadenze connesse all’inizio dei lavori assentiti, stante l’illogicità di far decorrere i termini di decadenza dall’adozione di un provvedimento che non è stato portato a conoscenza del destinatario.

Il permesso di costruire ha natura ampliativa della sfera giuridica del richiedente, per cui è idoneo a produrre i suoi effetti fin dal momento dell’emanazione, indipendentemente dal fatto che sia comunicato all’interessato e che questo abbia materialmente provveduto a ritirarlo; solo limitatamente agli effetti pregiudizievoli che possono derivare dal rilascio del titolo edilizio (ad esempio, decadenza per mancato inizio dei lavori nel termine prescritto) può postularsi una natura recettizia del medesimo.

Di conseguenza non può ritenersi che la scadenza dei termini per l’esecuzione dei lavori possa decorrere dalla data di rilascio del titolo, in quanto l’effetto pregiudizievole derivante dalla decadenza conseguente al mancato inizio dei lavori nel termine prescritto dal titolo autorizzatorio, postula l’avvenuta conoscenza del permesso di costruire nei confronti del destinatario, atteso che lo stesso è idoneo a produrre i suoi effetti fin dal momento della sua emanazione soltanto qualora risulti ampliativo della sfera giuridica del richiedente…

il dies a quo dal quale decorre il termine di ultimazione dei lavori deve essere individuato nella materiale consegna del titolo edilizio, all’esito di una notifica o qualsiasi altra comunicazione che renda l’istante edotto circa l’adozione del titolo autorizzatorio, non potendosi ritenere sufficiente la data di formale adozione del permesso

…la lettera di invito al ritiro del permesso presso gli uffici comunali…non può essere considerata alla stregua di una prova incontrovertibile circa l’avvenuta consegna del titolo, in quanto l’Amministrazione comunale deve allegare la prova attestante l’effettiva conoscenza del provvedimento abilitativo, dal quale sarebbe poi decorso il termine di decadenza dallo ius aedificandi.”

Giovanni Paris

 

COMPETENZA TERRITORIALE POLIZIA LOCALE: LEGGE REGIONE LOMBARDIA 20/05/22 N° 8 E CORTE COSTITUZIONALE DEL 13/04/23 N° 69

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LA LEGGE REGIONALE PUO’ PREVEDERE UNA ESTENSIONE DELLA COMPETENZA TERRITORIALE DELLA POLIZIA LOCALE OLTRE IL TERRITORIO COMUNALE DI APPARTENENZA?

Fino a qualche giorno fa avremmo risposto con sicurezza NO, ma registriamo la sentenza della CORTE COSTITUZIONALE 13/04/23 N° 69 che stravolge, con effetti, possiamo dire, dirompenti, un principio scontato che regola le competenze spaziali della polizia locale e cioè che esse si esercitano all’interno del territorio dell’ente di appartenenza, dichiarando che la legislazione regionale, se va a disciplinare situazioni afferenti alla “sicurezza secondaria, può ridefinire l’ambito territoriale di azione della polizia locale.

La Suprema Corte si è occupata del ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri promosso per questioni di legittimità costituzionale nei confronti di alcune disposizioni della Legge della Regione Lombardia del 20/05/22, n° 8, in riferimento all’art. 117, commi secondo, lettera h), e sesto, della Costituzione, tra le quali quella che prevede, nell’ambito dell’attivazione di “ …servizi di controllo finalizzati a garantire la sicurezza urbana anche con il concorso della polizia locale con particolare riferimento alle aree adiacenti alle stazioni ferroviarie ovvero alle aree di interscambio del trasporto pubblico regionale e locale…, il superamento della barriera funzionale e operativa dei confini territoriali di riferimento del singolo corpo o servizio di polizia locale…”.

LA NORMATIVA NAZIONALE

L. 07/03/86 n° 65 “Legge-quadro sull’ordinamento della polizia municipale”.

Art. 3 Compiti degli addetti al servizio di polizia municipale.

Gli addetti al servizio di polizia municipale esercitano nel territorio di competenza le funzioni istituzionali previste dalla presente legge e collaborano, nell’ambito delle proprie attribuzioni, con le Forze di polizia dello Stato, previa disposizione del sindaco, quando ne venga fatta, per specifiche operazioni, motivata richiesta dalle competenti autorità.

Art. 4 Regolamento comunale del servizio di polizia municipale.

I comuni singoli o associati adottano il regolamento del servizio di polizia municipale, che, in particolare, deve contenere disposizioni intese a stabilire:

omissis

3) che l’ambito ordinario delle attività sia quello del territorio dell’ente di appartenenza o dell’ente presso cui il personale sia stato comandato;

4) che siano osservati i seguenti criteri per i sottoelencati casi particolari:

a) sono autorizzate le missioni esterne al territorio per soli fini di collegamento e di rappresentanza;

b) le operazioni esterne di polizia, d’iniziativa dei singoli durante il servizio, sono ammesse esclusivamente in caso di necessità dovuto alla flagranza dell’illecito commesso nel territorio di appartenenza;

c) le missioni esterne per soccorso in caso di calamità e disastri, o per rinforzare altri Corpi e servizi in particolari occasioni stagionali o eccezionali, sono ammesse previa esistenza di appositi piani o di accordi tra le amministrazioni interessate, e di esse va data previa comunicazione al prefetto.

Art. 57 c.p.p.Ufficiali e agenti di polizia giudiziaria”

omissis

2. Sono agenti di polizia giudiziaria:

omissis

b) i carabinieri, le guardie di finanza, gli agenti di custodia, le guardie forestali e, nell’ambito territoriale dell’ente di appartenenza, le guardie delle province e dei comuni quando sono in servizio.

LA NORMATIVA REGIONALE OGGETTO DI RICORSO

Artt. 3, c. 1°, lett. c) e g), e 11, c. 1°, lett. a), della legge della Regione Lombardia 20/05/22, n° 8.

Art. 3  Modifiche agli articoli 34581517 e 27 della L.R. 6/2015 e norma transitoria.

1.  Alla legge regionale 1 aprile 2015, n. 6 (Disciplina regionale dei servizi di polizia locale e promozione di politiche integrate di sicurezza urbana) sono apportate le seguenti modifiche:

c)  dopo la lettera l) del comma 1 dell’articolo 5 è aggiunta la seguente:
“l bis) promuove la stipulazione di intese fra la Regione, i competenti organi decentrati dello Stato, gli enti locali e i gestori del servizio di trasporto pubblico regionale e locale, sentite le associazioni dei passeggeri e dei pendolari, al fine di attivare servizi di controllo finalizzati a garantire la sicurezza urbana anche con il concorso della polizia locale con particolare riferimento alle aree adiacenti alle stazioni ferroviarie ovvero alle aree di interscambio del trasporto pubblico regionale e locale, favorendo anche il superamento della barriera funzionale e operativa dei confini territoriali di riferimento del singolo corpo o servizio di polizia locale, nel rispetto del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica) convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 e successive modifiche, della legge 7 aprile 2014, n. 56 (Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni) e della legge regionale 27 giugno 2008, n. 19 (Riordino delle Comunità montane della Lombardia, disciplina delle unioni di comuni lombarde e sostegno all’esercizio associato di funzioni e servizi comunali).”;
g)  al comma 1 dell’articolo 27 è aggiunto, in fine, il seguente periodo: “Il patto locale di sicurezza urbana è, altresì, uno degli strumenti per realizzare le finalità previste dall’articolo 5, comma 1, lettera l bis).”
LA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE
LE MOTIVAZIONI DEL RICORSO
“L’art. 3, comma 1, lettera c), impugnato aggiunge la lettera l-bis) all’art. 5 della legge reg. Lombardia n. 6 del 2015, demandando alla Regione la promozione di intese tra Regione, organi decentrati dello Stato, enti locali e gestori del servizio di trasporto pubblico regionale e locale, con le quali coinvolgere la polizia locale nel garantire la sicurezza urbana, «favorendo anche il superamento della barriera funzionale e operativa dei confini territoriali di riferimento del singolo corpo o servizio di polizia locale».
Il ricorrente accentra la censura su quest’ultima porzione della disposizione, asserendo che essa, in violazione degli artt. 3, 4 e 6 della legge n. 65 del 1986, permetterebbe alla polizia locale di operare oltre i limiti territoriali che il legislatore statale ha determinato.
Difatti, la legge quadro appena citata consente l’esercizio delle funzioni di polizia municipale esclusivamente «nel territorio di competenza» (art. 3), permettendo «missioni esterne» nei soli casi tipizzati dall’art. 4, numero 4), lettere a), b) e c), e senza eccedere l’ambito territoriale delle associazioni tra comuni, che la legge regionale promuove ai sensi del successivo art. 6, secondo comma, numero 3).
Il contrasto tra le previsioni della menzionata legge quadro n. 65 del 1986 e le disposizioni regionali impugnate determinerebbe l’invasione della sfera di competenza legislativa esclusiva statale in materia di ordine pubblico e sicurezza, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost.”
Per la Corte Costituzionale la questione non è fondata.
LE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA
“…La disposizione è impugnata per la sola parte in cui assegna alla polizia locale compiti che eccedono l’ambito territoriale del comune. La censura richiama il tema della sicurezza, delle funzioni e delle competenze riconosciute, in relazione ad essa, ai vari livelli di governo della Repubblica. In via generale, la sicurezza racchiude un complesso di funzioni che assumono significato in relazione a situazioni e luoghi determinati. La giurisprudenza di questa Corte ha inteso, pertanto, distinguere varie dimensioni della sicurezza. In primo luogo (facendo riferimento alla sicurezza interna) la sicurezza in senso stretto, o “primaria”, collegata alla attività di prevenzione e repressione dei reati o volta alla tutela dell’ordine pubblico, affidata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato dall’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., che tuttavia esclude espressamente dal suo ambito la «polizia amministrativa locale»… .
In coerenza con il principio autonomistico di cui all’art. 5 Cost., ha poi rilevato che la tutela della sicurezza può ben assumere una possibile dimensione pluralista. Ad essa, in quanto sintesi di una pluralità di interessi, possono essere affiancate funzioni corrispondenti a plurime e diversificate competenze regionali e locali e alle possibili collaborazioni fra di esse e fra esse e i poteri dello Stato. Alle regioni, in particolare, può essere richiesto di realizzare, coordinare o promuovere azioni volte a migliorare le condizioni di vivibilità dei rispettivi territori, nell’ambito di competenze da esse svolte, o in via “residuale” o in via “concorrente”, fra cui le politiche sociali e sanitarie, taluni vincoli o interventi a tutela della pubblica incolumità, la polizia locale (cosiddetta «sicurezza integrata»).
L’art. 118, terzo comma, Cost. ha assegnato alla legge statale la disciplina del coordinamento fra le funzioni di Stato e regioni nel campo della sicurezza. In attuazione di tale norma costituzionale, il d.l. n. 14 del 2017, come convertito, ha dato base legislativa al menzionato campo della «sicurezza integrata» che viene individuata nell’«insieme degli interventi assicurati dallo Stato, dalle Regioni, dalle Province autonome di Trento e Bolzano e dagli enti locali, nonché da altri soggetti istituzionali, al fine di concorrere, ciascuno nell’ambito delle proprie competenze e responsabilità, alla promozione e all’attuazione di un sistema unitario e integrato di sicurezza per il benessere delle comunità territoriali» (art. 1, comma 2). Ferme le competenze legislative esclusive dello Stato in materia di ordine pubblico e sicurezza, le linee generali delle politiche pubbliche per la promozione della sicurezza integrata sono adottate dal Governo con accordo sancito su proposta del Ministro dell’interno in sede di Conferenza unificata (art. 2, comma 1). In attuazione di dette linee generali, lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano possono concludere specifici accordi, sulla base dei quali adottare, nell’ambito delle proprie competenze e funzioni, iniziative e progetti volti a interventi di promozione della «sicurezza integrata» (art. 3, comma 1). Inoltre, nel rispetto delle menzionate linee generali, con accordo sancito in sede di Conferenza Stato-città e autonomie locali sono adottate linee guida, sulla cui base possono essere sottoscritti patti fra prefetti e questori, tramite cui individuare, in relazione alla specificità dei contesti, interventi per la «sicurezza urbana» (art. 5, comma 1).
Quest’ultima viene individuata nel «bene pubblico che afferisce alla vivibilità e al decoro delle città» da perseguire attraverso interventi di riqualificazione o recupero di zone degradate (art. 4).
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, dunque, la disciplina di un’attività, per quanto connessa al contrasto di fenomeni di degenerazione dell’ordinata e pacifica convivenza, può venire esercitata a livello decentrato, se tale da potere essere collegata, nel rispetto della legge dello Stato, a funzioni di interesse regionale o locale… .
Il ricorrente non postula che i compiti previsti dalle norme impugnate afferiscano alla funzione di prevenire e reprimere reati, con la quale si persegue la menzionata «sicurezza primaria»…, ma reputa che non spetterebbe al legislatore regionale determinare la sfera di competenza territoriale del corpo di polizia locale, preposto alla cosiddetta «sicurezza secondaria»…, in deroga ai limiti tracciati dalla legge statale, che ha formulato i principi fondamentali della materia.
Tuttavia, questa Corte ha già riconosciuto che, con la riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, la competenza legislativa in tema di polizia amministrativa locale, che era “concorrente”, è divenuta “residuale”, e appartiene perciò alla regione, come reso chiaro dall’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., che assegna allo Stato la potestà legislativa esclusiva quanto a «ordine pubblico e sicurezza,ad esclusione della polizia amministrativa locale» (ex multis, sentenze n. 129 del 2021, n. 236 del 2020, n. 116 del 2019, n. 141 del 2012 e n. 167 del 2010).
Quanto premesso non comporta che l’insieme degli interessi corrispondenti a tale materia sia rimesso al solo assetto normativo che gli conferisca la legge regionale, poiché le stesse competenze residuali non restano insensibili alle norme poste in essere dallo Stato nell’ambito delle proprie competenze legislative trasversali.
L’art. 118 Cost. assicura che l’esercizio delle funzioni di polizia locale sia soggetto alle forme di coordinamento con la materia dell’ordine pubblico e della sicurezza, che spetta al legislatore statale individuare.
Nel caso di specie, però, la definizione della competenza territoriale, all’interno della Regione, propria di ciascun corpo di polizia amministrativa locale, non incontra alcun limite dettato da disposizioni statali, posto che tale competenza, sul presupposto che le funzioni attribuite siano circoscritte alla «sicurezza secondaria», non interseca profili connessi alla repressione e prevenzione dei reati.
Ne consegue che le disposizioni poste dal legislatore statale a titolo di principi fondamentali di una materia in precedenza a riparto “concorrente”, con la legge quadro n. 65 del 1986, hanno cessato per tale parte di essere opponibili alla sopravvenuta legislazione regionale che, nell’ambito della competenza “residuale”, abbia ridefinito, per un caso particolare afferente alla cosiddetta «sicurezza secondaria», l’ambito territoriale di azione dei corpi di polizia locale. …“.
Giovanni Paris

OBBLIGO AVVISO ASSISTENZA DIFENSORE E RIFIUTO DI ACCERTAMENTO DEL TASSO ALCOLEMICO: CASS. PEN., IV, 30/03/23 N° 13271

 Saper dire di no è necessario perché molto spesso è un modo di aiutare

SUSSISTE L’OBBLIGO DI DARE AVVISO AL CONDUCENTE DELLA FACOLTA’ DI FARSI ASSISTERE DA UN DIFENSORE PER SVOLGERE LA PROVA DI ACCERTAMENTO DEL TASSO ALCOLEMICO ANCHE NEL CASO VI SIA IL RIFIUTO DI SOTTOPORSI ALLO STESSO?

Sulla questione è stato pubblicato un precedente articolo dal titolo RIFIUTO DI ACCERTAMENTO DEL TASSO ALCOLEMICO E OBBLIGO AVVISO ASSISTENZA DIFENSORE nel quale si riportava l’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale in forza del quale l’obbligo di fornire avviso al conducente della facoltà di farsi assistere da un difensore per lo svolgimento dell’accertamento del tasso alcolemico NON sussiste in caso di rifiuto di sottoporsi all’accertamento.

Registriamo la seguente ulteriore sentenza sull’argomento CASS. PEN., IV, 30/03/23 N° 13271 nella quale si afferma che “…Costituisce…ius receptum, nella giurisprudenza di questa suprema Corte, essendo stato ormai da tempo superato il precedente orientamento ermeneutico in senso contrario, il principio secondo cui, ove si proceda per il reato di guida in stato di ebbrezza, l’obbligo di dare avviso al conducente della facoltà di farsi assistere da un difensore per l’esecuzione del test di accertamento dell’eventuale stato di ebbrezza non ricorre qualora l’imputato abbia rifiutato di sottoporsi all’accertamento stesso…“.

Giovanni Paris

CONTROLLI POLIZIA LOCALE PER L’ACCERTAMENTO DELLA RESIDENZA: CASS. CIV., I, 30/03/23, N° 8982

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NEL CASO UN CITTADINO RICHIEDA LA RESIDENZA E SIA ASSENTE IN ALCUNI PERIODI DELLA GIORNATA PER MOTIVI DI LAVORO E’ POSSIBILE CHE L’ACCERTAMENTO DEMANDATO ALLA POLIZIA LOCALE AVVENGA SULLA BASE DI APPUNTAMENTO?

LA NORMATIVA

L’art. 43 “Domicilio e residenza” del Codice Civile dispone:

“Il domicilio di una persona è nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi.

La residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale”.

L’art 19 “Accertamenti richiesti dall’ufficiale di anagrafe” del D.P.R. 30/05/8989 N° 223 “Approvazione del nuovo regolamento anagrafico della popolazione residente” prevede che:

“1. Gli uffici di cui all’art. 4, comma terzo, della legge 24 dicembre 1954, n. 1228, sono tenuti a fornire all’ufficiale di anagrafe le notizie da esso richieste per la regolare tenuta dell’anagrafe della popolazione residente.

2. L’ufficiale di anagrafe è tenuto a verificare la sussistenza del requisito della dimora abituale di chi richiede l’iscrizione o la mutazione anagrafica. Gli accertamenti devono essere svolti a mezzo degli appartenenti ai corpi di polizia municipale o di altro personale comunale che sia stato formalmente autorizzato, utilizzando un modello conforme all’apposito esemplare predisposto dall’Istituto nazionale di statistica.

3. Ove nel corso degli accertamenti emergano discordanze con la dichiarazione resa, l’ufficiale di anagrafe segnala quanto è emerso alla competente autorità di pubblica sicurezza.”.

IL PROVVEDIMENTO DELLA CORTE DI CASSAZIONE

Il caso è stato affrontato da CASS. CIV., I, 30/03/23 N° 8982 la quale, dopo aver indicato che “…la residenza di una persona, stando all’art. 43 c.c., è determinata dall’abituale e volontaria dimora in un determinato luogo, che si caratterizza per l’elemento oggettivo della permanenza e per l’elemento soggettivo dell’intenzione di abitarvi stabilmente, rivelata dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle normali relazioni sociali;…

evidenziando “…che tali considerazioni assumono una valenza ancor più pregnante nell’epoca attuale che è caratterizzata da una pluralità di centri di interesse personali, da una più agevole e rapida possibilità di spostamento da una località all’altra e da nuove e alternative modalità di svolgimento della prestazione lavorativa;…”

ha affermato che

“…- tuttavia, la verifica dell’effettività della residenza dichiarata – ossia l’accertamento che un soggetto abbia realmente stabilito la propria dimora abituale in una determinata località e che non vi si rechi solo nei periodi dell’anno in cui il soggiorno si caratterizzi come più conveniente, ma vi torni abitualmente, in modo sistematico, una volta assolti gli impegni lavorativi o di studio – impone il ricorso a controlli che, se da un lato, devono essere svolti in modo non incompatibile con l’esigenza di ogni cittadino di poter attendere quotidianamente alle proprie occupazioni (che, come accennato, non necessariamente devono avere un radicamento nel luogo in cui si è deciso di stabilire la propria residenza), dall’altro, non necessariamente richiedono che siano previamente concordati con l’interessato, in quanto, diversamente, si vanificherebbe la ratio della norma;

“…affinchè siano contemperate, da un lato, l’esigenza del Comune di poter svolgere i propri controlli nel modo più idoneo, e anche a prevenire ogni possibile abuso, e, dall’altro, quella del cittadino di poter attendere serenamente alle proprie occupazioni nei termini sopra illustrati, vi deve essere una leale collaborazione tra i due soggetti, caratterizzata dall‘onere del richiedente la residenza di indicare, fornendone adeguata motivazione, i momenti in cui sarà certa la sua assenza dalla propria abitazione, in modo tale da consentire al Comune di programmare i propri controlli “a sorpresa” in quelli residui;

– da ciò consegue che non è plausibile la tesi secondo cui l’unica modalità con cui il Comune può esercitare il proprio potere di controllo del requisito della residenza sia quella del previo accordo con il richiedente in ordine al momento di esecuzione dell’accesso;…”.

Quindi possibilità da parte del cittadino di indicare i periodi temporali di assenza certa, ma impossibilità di concordare appuntamento preciso per i necessari controlli che potranno avvenire a sorpresa nei periodi temporali diversi da quelli sopra indicati.

Giovanni Paris

PROROGA E DECADENZA DEL PERMESSO DI COSTRUIRE: CONSIGLIO DI STATO, IV, 16/03/23, N° 2757

PROROGA SCADENZA DOCUMENTI (EMERGENZA CORONAVIRUS) - Comune Borgo d'Ale

QUAL E’ IL TERMINE ENTRO IL QUALE PUO’ ESSERE RICHIESTA LA PROROGA DEL PERMESSO DI COSTRUIRE?

L’art. 15 del T.U. Edilizia Efficacia temporale e decadenza del permesso di costruire” prevede:

“1.  Nel permesso di costruire sono indicati i termini di inizio e di ultimazione dei lavori.

2.  Salvo quanto previsto dal quarto periodo, il termine per l’inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l’opera deve essere completata, non può superare tre anni dall’inizio dei lavori. Decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza, venga richiesta una proroga. La proroga può essere accordata, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare del permesso, oppure in considerazione della mole dell’opera da realizzare, delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, o di difficoltà tecnico-esecutive emerse successivamente all’inizio dei lavori, ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari. Per gli interventi realizzati in forza di un titolo abilitativo rilasciato ai sensi dell’articolo 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, il termine per l’inizio dei lavori è fissato in tre anni dal rilascio del titolo. (92)

2-bis.  La proroga dei termini per l’inizio e l’ultimazione dei lavori è comunque accordata qualora i lavori non possano essere iniziati o conclusi per iniziative dell’amministrazione o dell’autorità giudiziaria rivelatesi poi infondate.

3.  La realizzazione della parte dell’intervento non ultimata nel termine stabilito è subordinata al rilascio di nuovo permesso per le opere ancora da eseguire, salvo che le stesse non rientrino tra quelle realizzabili mediante segnalazione certificata di inizio attività ai sensi dell’articolo 22. Si procede altresì, ove necessario, al ricalcolo del contributo di costruzione.

4.  Il permesso decade con l’entrata in vigore di contrastanti previsioni urbanistiche, salvo che i lavori siano già iniziati e vengano completati entro il termine di tre anni dalla data di inizio.”.

La norma è chiara: la richiesta di proroga del permesso di costruire deve essere presentata prima della sua scadenza.

Conferma scontata intervenuta con la sentenza del CONSIGLIO DI STATO, IV, 16/03/23 N° 2757 per la quale “…alla luce del tenore testuale delle norme sancite dall’art. 15, commi 2 e 2-bis, del t.u. edilizia, non può dirsi irrilevante la tardività della istanza di proroga, essendo necessario che essa venga richiesta prima della decorrenza del termine ultimo per la fine dei lavori;

…invero, risponde ad un principio generale dell’ordinamento, la regola secondo cui la richiesta di proroga del termine per il compimento di una certa attività deve essere richiesta prima della scadenza del termine medesimo, per esigenze di chiarezza, di trasparenza e di pubblicità, a garanzia delle parti e, più in generale, dei terzi; la presentazione della richiesta di proroga è infatti funzionale ad evidenziare la sussistenza e la perduranza dell’interesse del privato alla realizzazione dell’intervento programmato, sia nei rapporti con l’Amministrazione che aveva rilasciato il titolo, sia rispetto ai terzi che, per ragioni di vicinitas, potrebbero avere un qualche interesse ad opporsi all’altrui iniziativa edificatoria;

…diversamente dalla proroga dei termini – intesa quale provvedimento di secondo grado che modifica, ancorché parzialmente, il complesso degli effetti giuridici delineati dall’atto originario, accedendo all’originaria concessione ed operando uno spostamento in avanti del suo termine finale di efficacia – il rinnovo della concessione implica il rilascio di un nuovo ed autonomo titolo, subordinato ad una nuova ed autonoma verifica dei presupposti richiesti dalle norme urbanistiche vigenti al momento del rilascio, in tal modo presupponendo la sopravvenuta inefficacia dell’originario titolo abilitativo. …”.

Quindi, decaduto il permesso di costruire, non va richiesta la proroga del titolo, ma il rinnovo.

Giovanni Paris

ORDINANZA DEMOLIZIONE PER ABUSO IN ZONA VINCOLATA: CONSIGLIO DI STATO, VI, 03/04/23 N° 3410

Contributi per 3 milioni di euro ai Comuni per la demolizione di opere  abusive – www.anci.it

IN CASO DI ABUSO EDILIZIO IN ZONA SOTTOPOSTA A VINCOLO E’ ILLEGITTIMO IL PROVVEDIMENTO DI DEMOLIZIONE ADOTTATO DOPO MOLTI ANNI DI DISTANZA DAL SOPRALLUOGO? E’ NECESSARIA UNA PUNTUALE MOTIVAZIONE SULLA ESISTENZA DI UN INTERESSE PUBBLICO AL RIPRISTINO DELLO STATO DEI LUOGHI? E’ OBBLIGATORIA LA COMUNICAZIONE DELL’AVVIO DEL PROCEDIMENTO?

L’Art. 27 comma 2 “Vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia” del T.U. Edilizia D.P.R. 380/01 recita:

Il dirigente o il responsabile, quando accerti l’inizio o l’esecuzione di opere eseguite senza titolo su aree assoggettate, da leggi statali, regionali o da altre norme urbanistiche vigenti o adottate, a vincolo di inedificabilità, o destinate ad opere e spazi pubblici ovvero ad interventi di edilizia residenziale pubblica di cui alla legge 18 aprile 1962, n. 167, e successive modificazioni ed integrazioni, nonché in tutti i casi di difformità dalle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi. Qualora si tratti di aree assoggettate alla tutela di cui al regio decreto 30 dicembre 1923, n. 3267, o appartenenti ai beni disciplinati dalla legge 16 giugno 1927, n. 1766, nonché delle aree di cui al decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, il dirigente provvede alla demolizione ed al ripristino dello stato dei luoghi, previa comunicazione alle amministrazioni competenti le quali possono eventualmente intervenire, ai fini della demolizione, anche di propria iniziativa. Per le opere abusivamente realizzate su immobili dichiarati monumento nazionale con provvedimenti aventi forza di legge o dichiarati di interesse particolarmente importante ai sensi degli articoli 6 e 7 del D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, o su beni di interesse archeologico, nonché per le opere abusivamente realizzate su immobili soggetti a vincolo o di inedificabilità assoluta in applicazione delle disposizioni del titolo II del D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, il Soprintendente, su richiesta della regione, del comune o delle altre autorità preposte alla tutela, ovvero decorso il termine di 180 giorni dall’accertamento dell’illecito, procede alla demolizione, anche avvalendosi delle modalità operative di cui ai commi 55 e 56 dell’articolo 2 della legge 23 dicembre 1996, n. 662.”.

Alle domande sopra proposte troviamo puntuale risposta nella recente sentenza del CONSIGLIO DI STATO, VI, 03/04/23 N° 3410.

Il Collegio tiene a premettere, circa la natura del provvedimento repressivo, che “…la demolizione dei manufatti abusivamente realizzati non è prevista quale «intervento di urgenza» teso ad interrompere l’esecuzione di un intervento in atto ma come misura repressiva predisposta dall’ordinamento in presenza di una accertata violazione della disciplina edilizia e urbanistica rilevante ai sensi dell’art. 27 del d.P.R. n. 380/2001. …”,

 

e prosegue affermando

 

SUL TEMPO TRASCORSO ACCERTAMENTO/ADOZIONE

“L’adozione della misura ripristinatoria, in presenza di una realizzazione in assenza di titolo abilitativo (nel caso di specie in area vincolata a sensi del D.M. 15 dicembre 1959) integra, pertanto, un atto dovuto espressione di un potere vincolato che non risente del tempo trascorso dall’accertamento dell’abuso,…”

 

SULLA MOTIVAZIONE

“…né richiede, come sostenuto dall’appellante, «una puntuale motivazione sull’interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi», né alcuna considerazione dell’affidamento ingeneratosi in capo all’autore. …”

“…«che l’attività di repressione degli abusi edilizi non costituisce attività discrezionale, ma del tutto vincolata» e che «la repressione dell’abuso corrisponde per definizione all’interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi illecitamente alterato, con la conseguenza che essa è già dotata di un’adeguata e sufficiente motivazione, consistente nella descrizione delle opere abusive e nella constatazione della loro abusività»

…che il decorso del tempo dalla realizzazione dell’abuso in assenza di una tempestiva contestazione da parte dell’amministrazione non può radicare in capo all’autore alcun affidamento tutelabile al mantenimento dell’opera

 

SULL’OBBLIGO DI COMUNICAZIONE AVVIO DEL PROCEDIMENTO

“…che in tema di abusi edilizi, l’atto repressivo «non deve essere preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento, trattandosi di una misura sanzionatoria per l’accertamento dell’inosservanza di disposizioni urbanistiche secondo un procedimento di natura vincolata precisamente tipizzato dal legislatore e rigidamente disciplinato dalla legge per reprimere un abuso edilizio…”

 

Giovanni Paris

PRESUPPOSTI ADOZIONE FOGLIO DI VIA OBBLIGATORIO: CONSIGLIO DI STATO, III, 03/04/23, N° 3407

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QUALI SONO LE CONDIZIONI PER LA EMISSIONE DI UN FOGLIO DI VIA OBBLIGATORIO?

ll D.Lgs. 6-9-2011 n. 159, “Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136.”, prevede:

Art. 1  Soggetti destinatari

“I provvedimenti previsti dal presente capo si applicano a:

a)  coloro che debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dediti a traffici delittuosi;

b)  coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose;

c)  coloro che per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, comprese le reiterate violazioni del foglio di via obbligatorio di cui all’articolo 2, nonché dei divieti di frequentazione di determinati luoghi previsti dalla vigente normativa, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica.”

Art. 2  Foglio di via obbligatorio

Qualora le persone indicate nell’articolo 1 siano pericolose per la sicurezza pubblica e si trovino fuori dei luoghi di residenza, il questore può rimandarvele con provvedimento motivato e con foglio di via obbligatorio, inibendo loro di ritornare, senza preventiva autorizzazione ovvero per un periodo non superiore a tre anni, nel comune dal quale sono allontanate.“.

I presupposti giuridici che stanno a fondamento della emissione di un tale provvedimento ci vengono ricordati dalla sentenza del CONSIGLIO DI STATO, III, 03/04/23 N° 3407 con la quale si ricorda che “..Il foglio di via obbligatorio, previsto dall’art. 2 del d.lgs. n. 159/2011, rientra nell’ambito delle misure di prevenzione personali, evidentemente volte a prevenire reati socialmente pericolosi e non già a reprimerli. Il presupposto per l’applicazione della misura di prevenzione in esame è dunque la pericolosità del soggetto destinatario, da verificare attraverso la probabilità che egli possa in futuro adottare comportamenti particolarmente offensivi per l’ordine pubblico. …”

e che

“…l’Amministrazione è chiamata a compiere una valutazione tecnica in ordine alla pericolosità del soggetto, che deve essere desunta da elementi di fatto, specifici e concreti, idonei a suffragare un giudizio prognostico sulla probabilità che il soggetto commetta reati che offendono o mettono in pericolo la tranquillità e la sicurezza pubblica. …”

sottolineando come

“In particolare…assumono rilievo centrale, sul piano istruttorio e motivazionale, il profilo soggettivo, relativo alla dedizione del soggetto alla commissione dei reati, e quello oggettivo, inerente alla attitudine offensiva dei medesimi reati nei confronti dei beni nominativamente individuati dal legislatore e cioè, per quanto di interesse, quelli della sicurezza e della tranquillità pubblica. …”.

Ebbene, pur essendo il provvedimento in discussione discrezionale, ciò non esonera dalla necessità che lo stesso sia sostenuto da una precisa e circostanziata valutazione della pericolosità del soggetto desumibile da elementi di fatto, specifici e concreti, quando questo non avviene il provvedimento si espone alla declaratoria di illegittimità, difatti “…il giudice amministrativo è chiamato a valutare la consistenza dei fatti posti a fondamento della determinazione dell’Autorità questorile in ordine alla sussistenza del requisito della pericolosità cui è subordinata l’adozione del foglio di via obbligatorio, di modo che il suo sindacato sull’esercizio della funzione amministrativa consenta non solo di vagliare l’esistenza o meno di questi fatti, ma di apprezzare la ragionevolezza e la proporzionalità delle prognosi inferenziale che l’autorità amministrativa trae da essi. In questa logica, assumono primaria importanza l’istruttoria procedimentale, diretta all’acquisizione dei fatti e alla selezione degli interessi in gioco, e la motivazione del provvedimento amministrativo, che costituisce essenzialmente il luogo di rappresentazione delle risultanze istruttorie e di verifica del rispetto dei principi di ragionevolezza e proporzionalità. …”.

Giovanni Paris