Month: marzo 2024

IDENTIFICAZIONE DELL’INDAGATO SULLA BASE DELLE SUE DICHIARAZIONI: CASS. PEN., IV, 25/03/24 N° 12179

Gabinetto di Fotosegnalamento | Polizia Locale di Rimini

PUO’ REALIZZARSI LA IDENTIFICAZIONE DELL’INDAGATO SOLO SULLA BASE DELLE SUE DICHIARAZIONI O NECESSITA COMUNQUE PROCEDERE SEMPRE AI RILIEVI PREVISTI DALL’ART. 349 C.P.P.?

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LA NORMATIVA

Art. 651 c.p. “Rifiuto d’indicazioni sulla propria identità personale”

“Chiunque, richiesto da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, rifiuta di dare indicazioni sulla propria identità personale, sul proprio stato, o su altre qualità personali, è punito con l’arresto fino a un mese o con l’ammenda fino a euro 206”

Art. 349 c.p.p. “Identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini e di altre persone”

“1. La polizia giudiziaria procede alla identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini e delle persone in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti.

2. Alla identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini può procedersi anche eseguendo, ove occorra, rilievi dattiloscopici, fotografici e antropometrici nonché altri accertamenti. I rilievi di cui al periodo precedente sono sempre eseguiti quando si procede nei confronti di un apolide, di una persona della quale è ignota la cittadinanza, di un cittadino di uno Stato non appartenente all’Unione europea ovvero di un cittadino di uno Stato membro dell’Unione europea privo del codice fiscale o che è attualmente, o è stato in passato, titolare anche della cittadinanza di uno Stato non appartenente all’Unione europea. In tale caso, la polizia giudiziaria trasmette al pubblico ministero copia del cartellino fotodattiloscopico e comunica il codice univoco identificativo della persona nei cui confronti sono svolte le indagini.

OMISSIS”

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LA SENTENZA

La CASS. PEN., IV, 25/03/24 N° 12179 si rifà all’ “…orientamento dominante nella giurisprudenza di legittimità, per cui…l’identificazione dell’indagato ad opera della polizia giudiziaria è validamente operata sulla base delle dichiarazioni dallo stesso fornite, perché il ricorso ai rilievi dattiloscopici, fotografici o antropometrici, o ad altri accertamenti, si giustifica soltanto in presenza di elementi di fatto che facciano ritenere la falsità delle indicate dichiarazioni…”.

I precedenti giurisprudenziali “…ammettono che, in presenza di concreti elementi che consentano di dubitare della veridicità delle dichiarazioni rese dall’indagato o dall’imputato sulla sua identità, sia necessario ricorrere alle procedure oggettive di identificazione fisica disciplinate dall’art. 349 cod. proc. pen., ma escludono che tale adempimento sia comunque necessario quando le generalità vengano acquisite dall’autorità procedente attraverso tali dichiarazioni, affermando in sostanza che l’indagato o l’imputato sono, fino a prova contraria, legittime fonti della loro identità…”.

La Corte pertanto, in relazione al caso concreto trattato, afferma che “…in carenza di allegazioni concrete per le quali le dichiarazioni dell’indagato non dovrebbero ritenersi sufficienti, l’orientamento interpretativo da ultimo indicato debba essere privilegiato, ritenendo conseguentemente che la motivazione offerta dalla Corte territoriale, secondo la quale l’indicazione dei dati anagrafici unitamente al nome può costituire valido indice della corrispondenza della persona fermata al nominativo fornito agli agenti di polizia giudiziaria, non sia affetta dal vizio lamentato…”.

Giovanni Paris

CONCETTO DI “PRIVATA DIMORA” EX ART. 624-BIS/1 C.P. (FURTO IN ABITAZIONE): CASS. PEN, II, 28/03/24 N° 12982

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COSA SI INTENDE PER “PRIVATA DIMORA” AL FINE DELLA CONFIGURAZIONE DEL REATO PREVISTO DALL’ART. 624-BIS/1 C.P. (FURTO IN ABITAZIONE) E DELLE CIRCOSTANZE AGGRAVANTI PREVISTE PER ALTRI REATI CHE A QUELLO FANNO RIFERIMENTO?

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Si legga il precedente articolo che tratta analoga questione CONCETTO DI “ABITAZIONE”, “PRIVATA DIMORA” E “PERTINENZA” EX ART. 624-BIS/1 C.P. (FURTO IN ABITAZIONE): CASS. PEN, IV, 29/12/23 N° 51596

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LA NORMATIVA

Art. 628 c.p. “Rapina”

“Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, mediante violenza alla persona o minaccia, s’impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da euro 927 a euro 2.500.

Alla stessa pena soggiace chi adopera violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione, per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta, o per procurare a sé o ad altri l’impunità.

La pena è della reclusione da sei a venti anni e della multa da euro 2.000 a euro 4.000:

OMISSIS

3-bis) se il fatto è commesso nei luoghi di cui all’articolo 624-bis o in luoghi tali da ostacolare la pubblica o privata difesa;

OMISSIS”

Art. 624-bis c.p. “Furto in abitazione e furto con strappo”

(Articolo aggiunto dall’art. 2 della L. 128/01)

“Chiunque si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, mediante introduzione in un edificio o in altro luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora o nelle pertinenze di essa, è punito con la reclusione da quattro a sette anni e con la multa da euro 927 a euro 1.500

OMISSIS

La pena è della reclusione da cinque a dieci anni e della multa da euro 1.000 a euro 2.500 se il reato è aggravato da una o più delle circostanze previste nel primo comma dell’articolo 625 ovvero se ricorre una o più delle circostanze indicate all’articolo 61.

OMISSIS”

Art. 625 c.p. “Circostanze aggravanti”

“La pena per il fatto previsto dall’articolo 624 è della reclusione da due a sei anni e della multa da euro 927 a euro 1.500:

(1. se il colpevole, per commettere il fatto, si introduce o si trattiene in un edificio o in un altro luogo destinato ad abitazionesoppresso dall’art. 2 L. 128/01.

2. se il colpevole usa violenza sulle cose o si vale di un qualsiasi mezzo fraudolento;

OMISSIS”

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IL CASO

Un soggetto è stato condannato per i reati, unificati dal vincolo della continuazione di: a) tentata rapina impropria pluriaggravata (dall’essere stata la minaccia commessa con armi e dall’essere stato il fatto commesso in uno dei luoghi di cui all’art. 624-bis cod. pen.), di cui al capo A) dell’imputazione; b) porto aggravato (dal cosiddetto nesso teleologico) fuori della propria abitazione senza giustificato motivo di un coltello, di cui al capo B) dell’imputazione; c) lesioni personali aggravate (sempre dal cosiddetto nesso teleologico), di cui al capo C) dell’imputazione.

Viene presentato ricorso in Cassazione censurando la sussistenza della circostanza aggravante, prevista dall’art. 628/3 n. 3-bis), cod. pen., dell’avere commesso il fatto in uno dei luoghi di cui all’art. 624-bis c.p. . Nel richiamare la nozione di luogo destinato a privata dimora viene rappresentato che la palestra nella quale era stato commesso il fatto non avrebbe le caratteristiche del luogo di privata dimora, atteso che l’azione furtiva con la forzatura di tre cassetti e della macchinetta del caffè, siti nell’atrio della palestra ha avuto a oggetto beni custoditi in luoghi normalmente accessibili al pubblico.

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LA SENTENZA

Il Supremo Consesso con CASS. PEN, II, 28/03/24 N° 12982 ribadisce la nozione di privata dimora penalmente rilevante ai fini del reato di furto in abitazione, rifacendosi al consolidato orientamento interpretativo in forza del quale, ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 624-bis c.p., rientrano nella nozione di privata dimora solamente i luoghi nei quali si svolgono in modo non occasionale atti della vita privata e che non siano accessibili a terzi senza il consenso del titolare (Cass. Pen., Sez. Un., 23/03/17, n° 31345) e questo concetto è applicabile anche ai fini della configurabilità della circostanza aggravante prevista dalla legge per altre fattispecie penali che a quella fanno riferimento.

La Corte ricorda che “…Costituisce un orientamento interpretativo ormai consolidato quello che corrisponde al principio, affermato dalla già citata sentenza…delle Sezioni unite della Corte di cassazione, secondo cui, ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 624-bis cod. pen., rientrano nella nozione di privata dimora esclusivamente i luoghi nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata e che non siano accessibili a terzi senza il consenso del titolare...

…Tale principio si deve ritenere applicabile anche ai fini della configurabilità (o no) della circostanza aggravante del delitto di rapina prevista dal n. 3-bis) del terzo comma dell’art. 628 cod. pen., atteso che tale disposizione fa espresso rinvio alla commissione del fatto di rapina «nei luoghi di cui all’articolo 624 bis» cod. pen. …”

Sulla base di un’interpretazione sia letterale sia sistematica della locuzione – utilizzata in quest’ultimo articolo – «luogo destinato in tutto ci in parte a privata dimora», le Sezioni unite hanno chiarito che, affinché si possa ritenere la sussistenza di un tale luogo, sono indefettibilmente necessari i seguenti tre elementi caratterizzanti:

a) l’utilizzazione del luogo per lo svolgimento di manifestazioni della vita privata (riposo, svago, alimentazione, studio, attività professionale e di lavoro in genere), in modo riservato e al riparo da intrusioni esterne;

b) durata apprezzabile del rapporto tra il luogo e la persona, in modo che tale rapporto sia caratterizzato da una certa stabilità e non da mera occasionalità;

c) non accessibilità del luogo, senza il consenso del titolare. …”.

Da ciò consegue che “…Tale connotazione della nozione di «luogo di privata dimora» comporta che il giudice di merito dovrà analizzare compiutamente i caratteri concreti del luogo, eventualmente anche lavorativo, in cui sono avvenuti il furto o la rapina e, alla luce dei parametri indicati, concludere per la sussistenza (o no) del reato (di furto in abitazione) o dell’aggravante (della rapina) sulla base dell’esistenza (o no) degli elementi che sono stati ritenuti necessari ai fini della configurabilità della fattispecie…”.

Viene sottolineato come “…le Sezioni unite hanno precisato essere indubbio che in tali luoghi l’individuo svolga atti della vita privata, ma che ciò non è sufficiente per affermare che si tratti di luogo di privata dimora (con la conseguente tutela rafforzata in termini di trattamento sanzionatorio), ciò essendo possibile solo qualora i suddetti luoghi abbiano le caratteristiche proprie dell’abitazione, cioè se in essi, o in parte di essi, il soggetto compie atti della vita privata in modo riservato e precludendo l’accesso a terzi (ad esempio: retrobottega; bagni privati o spogliatoi; area riservata di uno studio professionale o di uno stabilimento)…”.

Per il caso specifico trattato, “…come è specificato nella sentenza di primo grado (pag. 3), dalle immagini registrate dalla telecamera di videosorveglianza non risulta che il fatto sia avvenuto in luoghi della palestra aventi le suddette caratteristiche proprie dell’abitazione, cioè in parti di essa in cui il soggetto compie atti della vita privata in modo riservato e precludendo l’accesso a terzi, ma solo in parti della stessa palestra accessibili a un numero indeterminato di persone ,con riferimento ai quali, pertanto, appare fuor di luogo invocare la riservatezza o la necessità di tutela della sfera priva dell’individuo. …”.

Giovanni Paris

PARCOMETRO CHE NON CONSENTE IL PAGAMENTO ELETTRONICO E LEGITTIMITA’ DEL VERBALE DI INFRAZIONE: CASS. CIV., II, 27/03/24 N° 8313

IL FATTO CHE UN PARCOMETRO NON SIA PREDISPOSTO PER CONSENTIRE IL PAGAMENTO ELETTRONICO (BANCOMAT O CARTA DI CREDITO) DELLA TARIFFA DELLA SOSTA O NON SIA MOMENTANEAMENTE FUNZIONANTE RELATIVAMENTE A TALE MODALITA’, LEGITTIMA AD EFFETTUARE LA SOSTA SENZA PROVVEDERE AL PAGAMENTO E DI CONSEGUENZA L’EVENTUALE VERBALE DI CONTESTAZIONE DELLA VIOLAZIONE AL C.D.S. E’ ILLEGITTIMO?

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LA NORMATIVA

L. 208/15 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)”

Comma 901

“Dal 1° luglio 2016 le disposizioni di cui al comma 4 dell’articolo 15 del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, si applicano anche ai dispositivi di cui alla lettera f) del comma 1 dell’articolo 7 del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285″.

D.L. 179/12 “Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese”

Art. 15  “Pagamenti elettronici”

OMISSIS

4.  A decorrere dal 30 giugno 2014, i soggetti che effettuano l’attività di vendita di prodotti e di prestazione di servizi, anche professionali, sono tenuti ad accettare anche pagamenti effettuati attraverso carte di pagamento, relativamente ad almeno una carta di debito e una carta di credito e alle carte prepagate; tale obbligo non trova applicazione nei casi di oggettiva impossibilità tecnica. Sono in ogni caso fatte salve le disposizioni del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231

OMISSIS”

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IL CASO

Viene elevato verbale di contestazione per violazione dell’art. 157, commi 6 e 8 c.d.s. per sosta di autovettura in area a pagamento senza esposizione del ticket.

Viene proposto ricorso in Cassazione fondato sul fatto che il parcometro non era abilitato al pagamento con carta di credito, come invece imposto dal comma 901 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 che, a far data dal 1 luglio 2016, estendeva l’applicazione delle disposizioni di cui al comma 4 dell’art. 15 D.L. 18 ottobre 2012, n. 179 (convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221) a tutti i soggetti che effettuano le attività di vendita di prodotti e di prestazioni di servizi, inclusa la pubblica amministrazione.

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LA CASSAZIONE

Risponde al quesito CASS. CIV., II, 27/03/24 N° 8313, la quale osserva che esiste il “…consolidato principio per cui è sufficiente la prova della condotta commissiva od omissiva contemplata dalla norma, dovendosi, in tal caso, presumere la sussistenza dell’elemento soggettivo in capo al trasgressore…L’onere della prova che la condotta vietata sia stata posta in essere senza colpa, e di aver fatto “tutto il possibile per osservare la legge”, cosicché “nessun rimprovero possa essergli mosso”, rimane a carico dell’agente…”,

pertanto spetta “…al ricorrente di dare prova dei fatti impeditivi del pagamento, che non si sarebbe comunque esaurita nella dimostrazione del malfunzionamento o non funzionamento del pagamento mediante carta di credito, bensì avrebbe dovuto estendersi alla impossibilità di qualsiasi modalità di pagamento, incluso il versamento del danaro contante, posto che il non essere in possesso di altro mezzo di pagamento (p.e., moneta) non costituisce esimente rispetto alla sosta dell’autovettura in area destinata esclusivamente a parcometro senza esposizione del ticket. ….

La Suprema Corte ha già avuto occasione occasione di occuparsi della questione e con CASS. CIV., VI, 07/01/22 N° 277 si è espressa affermando che “…in materia di sanzioni amministrative vige il principio per cui è sufficiente la prova della condotta commissiva od omissiva contemplata dalla norma, dovendosi, in tal caso, presumere la sussistenza dell’elemento oggettivo in capo al trasgressore…L’onere della prova che la condotta vietata sia stata posta in essere senza colpa, e di aver fatto “tutto il possibile per osservare la legge”, cosicché “nessun rimprovero possa essergli mosso”, rimane a carico dell’agente…”.

Quindi l’unico modo per evitare di essere sanzionati è fornire dimostrazione di aver fatto tutto il possibile per rispettare la legge e cioè di essersi adoperati in tutti i modi possibili per pagare la tariffa.

Giovanni Paris

OBBLIGO DI AVVISARE E DI ATTENDERE IL DIFENSORE PER L’EFFETTUAZIONE DI PROVA ETILOMETRICA: CASS. PEN., IV, 25/03/24 N° 12178

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ESISTE L’OBBLIGO DI:

  • AVVISARE IL DIFENSORE DEL COMPIMENTO DELL’ACCERTAMENTO ETILOMETRICO?
  • ATTENDERE L’ARRIVO DEL DIFENSORE PER PROCEDERE ALL’ACCERTAMENTO ETILOMETRICO?

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LA NORMATIVA

Art. 356 c.p.p. “Assistenza del difensore”

“1. Il difensore della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini ha facoltà di assistere, senza diritto di essere preventivamente avvisato, agli atti previsti dagli articoli 352 e 354 oltre che all’immediata apertura del plico autorizzata dal pubblico ministero a norma dell’articolo 353 comma 2”.

Art. 114 c.p.p. “Avvertimento del diritto all’assistenza del difensore”

“1. Nel procedere al compimento degli atti indicati nell’articolo 356 del codice, la polizia giudiziaria avverte la persona sottoposta alle indagini, se presente, che ha facoltà di farsi assistere dal difensore di fiducia”.

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IL CASO

Un soggetto è stato condannato per il reato previsto dal D.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 186, comma 2, lett. c) e comma 2-sexies, con l’aggravante dell’aver commesso il fatto in orario notturno, per aver guidato in stato di ebbrezza in conseguenza dell’uso di sostanze alcoliche.

La sentenza di appello ha rilevato che doveva ritenersi infondato il motivo di gravame con il quale l’imputato aveva lamentato il mancato avviso al difensore di fiducia, nonostante fosse intervenuta la nomina, ed il mancato avviso all’imputato che poteva farsi assistere dal difensore di fiducia. In particolare, l’avviso della facoltà di farsi assistere dal difensore di fiducia nel compimento dell’alcoltest poteva essere pretermesso ed inoltre non poteva ritenersi sussistente l’obbligo per la polizia giudiziaria di attendere che l’interessato si trovasse in stato psicologico tale da poter comprendere l’avviso della facoltà di farsi assistere da un difensore nel compimento dell’atto, trattandosi di atto urgente ed indifferibile, che non tollera attese.

Viene proposto ricorso in Cassazione censurando la nullità degli accertamenti urgenti con conseguente mancanza di prova legale in ordine allo stato di ebbrezza dell’imputato rilevando che, nel caso di specie, gli operanti non avevano comunicato al difensore di fiducia la facoltà di assistere all’atto irripetibile consistente nell’accertamento etilometrico, inoltre, dalla lettura del verbale di accertamenti urgenti, si evinceva solo che il difensore di fiducia non era presente, ma ciò era avvenuto perché lo stesso non era stato avvisato dell’espletamento dell’atto irripetibile; dunque, a nulla valeva la natura di atto urgente fatta valere dalla sentenza impugnata per giustificare la legittimità del procedimento tecnico.

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LA SENTENZA

La risposta è NEGATIVA per ambedue i quesiti, si legga CASS. PEN., IV, 25/03/24 N° 12178 che afferma la infondatezza del motivo di ricorso “…non sussistendo per la polizia giudiziaria l’obbligo di dare avviso al difensore dì fiducia dell’interessato del compimento dell’atto irripetibile ed urgente (art. 356 cod. proc. pen.). Occorre rammentare che, in tema di guida in stato di ebbrezza, l’avvertimento della facoltà di farsi assistere da un difensore, ai sensi dell’art. 114 disp. att. c.p.p., deve essere rivolto al conducente del veicolo solo nel momento in cui viene avviata la procedura di accertamento strumentate dell’alcolemia, con la richiesta di sottoporsi al relativo test, ma tali avvisi non devono, invece, essere dati al conducente all’atto del compimento di accertamenti preliminari e meramente esplorativi, quali il blow test…”,

ricordando che “…deve ritenersi che gli esami previsti dai commi 4 e 5 dell’art. 186 C.d.S. (accertamento con etilometro, esami clinici presso le strutture sanitarie) per controllare il tasso di alcool nel sangue debbano ricondursi agli atti di polizia giudiziaria urgenti ed indifferibili previsti dall’art. 354, comma 3, del codice di procedura penale…”,

pertanto conseguenzialmente “…va applicato l’art. 114 disp. att. cod. proc. pen., che impone di informare la persona della possibilità di avvalersi dell’assistenza di un difensore, il quale ha facoltà di presenziare alle operazioni senza, peraltro, avere diritto di essere preventivamente avvisato (art. 356 c.p.p.)…”,

aggiungendo infine che “…non è configurabile, a carico della polizia giudiziaria operante, l’obbligo incondizionato di attendere l’arrivo sul luogo del difensore di fiducia avvisato dall’interessato, per il compimento dell’alcoltest, trattandosi di atto di polizia giudiziaria urgente e indifferibile, il cui esito, in quanto legato al decorso del tempo, può essere definitivamente compromesso…”.

Giovanni Paris

INTERVALLO TEMPORALE MASSIMO DI ESECUZIONE DI PROVA ETILOMETRICA: CASS. PEN., VII, 21/03/24 N° 11918, N° 11908, N° 11901

L'etilometro non è revisionato, barista vince la causa

ESISTE UN INTERVALLO TEMPORALE MASSIMO CHE NON PUO’ ESSERE SUPERATO INTERCORRENTE TRA L’ULTIMO ATTO DI GUIDA E LA SOTTOPOSIZIONE AL TEST ALCOLEMICO?

IL CASO

Un soggetto viene condannato per il reato di cui all’art. 186, co. 2, lett. c), C.d.S. .

Viene proposto ricorso in Cassazione censurando la mancanza di elementi probatori validi dai quali desumere che il soggetto guidasse in stato di alterazione causato da abuso di alcool, essendo l’esito del test etilometrico inficiato a causa del considerevole lasso di tempo intercorso tra il suo espletamento e il fermo da parte dell’organo di polizia.

LA CASSAZIONE

Si segnalano tre pronunce CASS. PEN., VII, 21/03/24 N° 11901, CASS. PEN., VII, 21/03/24 N° 11908, CASS. PEN., VII, 21/03/24 N° 11918 che hanno affrontato la questione con medesimo esito.

Si riportano alcuni passaggi della CASS. PEN., VII, 21/03/24 N° 11918, per la quale “…secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in ordine all’intervallo temporale fra la guida e la sottoposizione al test alcolemico, in presenza di un accertamento strumentale del tasso alcolemico conforme alla previsione normativa, grava sull’imputato l’onere di dare dimostrazione di circostanze in grado di privare quell’accertamento di valenza dimostrativa della sussistenza del reato, fermo restando che non integra circostanza utile a tal fine il solo intervallo temporale intercorrente tra l’ultimo atto di guida e l’espletamento dell’accertamento…”,

specificando che “…il decorso di un intervallo temporale tra la condotta di guida incriminata e l’esecuzione del test alcolemico è inevitabile e non incide sulla validità del rilevamento e, tuttavia, che il decorso di un intervallo temporale di alcune ore tra la condotta di guida incriminata e l’esecuzione del test rende necessario verificare, ai fini della sussunzione del fatto in una delle due ipotesi di cui all’art. 186, comma 2, lett. b) e c), C.d.S., la presenza di altri elementi indiziari…”,

ma speficando comunque che quanto sopra richiesto “…non comporta necessariamente che, dato un accertamento strumentale a distanza di un tempo non breve dall’atto di guida (durata invero difficile da determinare una volta per tutte), sia necessario aggiungere elementi indiziari per ottenere il risultato di “prova sufficiente” dell’accusa: si deve, infatti, tenere conto anche della distribuzione degli oneri probatori e se, non v’è alcun dubbio che l’accusa sia tenuta a dare dimostrazione della avveruta integrazione del reato, offrendo la prova di ciascuno e tutti gli elementi essenziali dell’illecito, è altrettanto indubbio che tale prova, per espressa indicazione normativa (e per radicata interpretazione giurisprudenziale), è già data dall’esito di un accertamento strumentale che replichi le cadenze e le modalità previste dal Codice della strada e dal relativo regolamento; la presenza di fattori in grado di compromettere la valenza dimostrativa di quell’accertamento deve essere oggetto di allegazione ad opera dell’imputato, al quale compete di dare la dimostrazione dell’insussistenza dei presupposti del fatto tipico…”.

Giovanni Paris

RIPETIZIONE SEGNALI DI PRESCRIZIONE DOPO OGNI INTERSEZIONE: CONSIGLIO DI STATO, V, 15/03/24 N° 2530

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LUNGO UNA STRADA INTERESSATA DA UNA PRESCRIZIONE DI DIVIETO, OBBLIGO O LIMITAZIONE I RELATIVI SEGNALI DEVONO ESSERE RIPETUTI DOPO OGNI INTERSEZIONE?

LA NORMATIVA

Art. 104 reg. esec. c.d.s. “Disposizioni generali sui segnali di prescrizione”

OMISSIS

2.  Lungo il tratto stradale interessato da una prescrizione i segnali di divieto e di obbligo, nonché quelli di diritto di precedenza, devono essere ripetuti dopo ogni intersezione. Tale obbligo non sussiste per i segnali a validità zonale.

OMISSIS

LA SENTENZA

Il caso trattato dall’organo di giustizia amministrativa non ha avuto ad oggetto un provvedimento sanzionatorio derivante da segnali prescrittivi, ma una situazione per la quale comunque era necessario accertare la presenza della segnaletica stradadale, perchè questo riverberava effetti su altro tipo di provvedimento amministrativo.

Il CONSIGLIO DI STATO, V, 15/03/24 N° 2530, in relazione alla presenza della necessaria segnaletica stradale afferma che il “…divieto non risulta essere stato comunque “ripetuto”, dopo la precedente intersezione stradale, secondo quanto stabilito dall’art. 39 del codice della strada e in particolare del suo regolamento di attuazione il cui art. 104, comma 2, così stabilisce: “Lungo il tratto stradale interessato da una prescrizione i segnali di divieto e di obbligo, nonché quelli di diritto di precedenza, devono essere ripetuti dopo ogni intersezione”. In altre parole i segnali di divieto, dopo ogni incrocio stradale, debbono essere ricollocati ove si intenda confermare una simile prescrizione, pena la loro inopponibilità. Nel caso di specie tali segnali di divieto di fermata non risultano ricollocati, né l’amministrazione dimostra il contrario. Dunque il segnale di divieto non risulta essere validamente presente…”.

APPROFONDIMENTO

Si legga anche il seguente APPROFONDIMENTO nel quale si trattano anche i casi in cui non si applica il dispositivo dell’art. 104/2 reg. esec. c.d.s. per i segnali zonali.

Giovanni Paris

INIDICAZIONI OPERATIVE PER LE ATTIVITA’ DI POLIZIA GIUDIZIARIA RELATIVE ALLA PERSONA OFFESA: DIRETTIVA PROCURA REPUBBLICA ROVIGO DEL 14/02/24 N° 1

Anteprima foto - il palazzo di giustizia

La Procura della Repubblica di Rovigo ha emesso specifica direttiva indirizzata agli organi di polizia giudiziaria, affinché ci sia una puntuale osservanza delle norme di cui al Titolo V del c.p.p., e precisamente degli artt. 90, 90bis e 90bis 1, dettate dal legislatore nell’interesse di una puntuale conoscenza da parte della persona offesa dei suoi diritti e facoltà.

DIRETTIVA DELLA PROCURA DELLA REPUBBLICA DI ROVIGO DEL 14/02/24 N° 1

PERSONA OFFESA/SOGGETTO PASSIVO DEL REATO

Quando si parla di “persona offesa” si tratta del “soggetto passivo” del reato.

Ma chi e’ il “soggetto passivo” del reato?

Soggetto passivo del reato è la persona titolare del bene o interesse giuridico tutelato dalla norma penale e leso dal reato, il codice penale parla di persona offesa”.

Soggetto passivo può essere una singola persona fisica o una persona giuridica, come lo Stato, o una pluralità di persone.

Esempi:

  • nel reato di furto (art. 624 c.p.) soggetto passivo è il detentore della cosa rubata.
  • nel reato, ora abrogato dal d.lgs 7/16, di sottrazione di cosa comune (art. 627 c.p.) soggetti passivi erano coloro che posseggono in comune la cosa.
  • nel reato di fraudolenta distruzione della cosa propria e mutilazione fraudolenta della propria persona (art 642 c.p.). soggetto passivo è la impresa assicuratrice
  • nel reato di falsa testimonianza (art. 372 c.p.) soggetto passivo è lo Stato.

Una delle classificazioni dei reati è quella che prevede i reati plurioffensivi che offendono contemporanemente piu’ soggetti e piu’ oggetti giuridici come ad esempio la calunnia (art 368 c.p.) che offende nello stesso tempo lo stato nel suo interesse alla regolare amministrazione della giustizia e la persona falsamente incolpata.

Giovanni Paris

 

CONDIZIONI PER ADOZIONE DEL FOGLIO DI VIA OBBLIGATORIO E SANZIONI PER SUA VIOLAZIONE: CASS. PEN., I, 04/03/24 N° 9265

Di fogli di via e pericolosità sociale. Intervista all'avv. Serena Tucci -  Osservatorio Repressione

COSA E’ IL “FOGLIO DI VIA OBBLIGATORIO”? QUALI SONO LE CONDIZIONE PER LA SUA ADOZIONE? QUALI SONO LE SANZIONI PREVISTE IN CASO DI SUO INADEMPIMENTO?

LA NORMATIVA

D.Lgs. 06/09/11 n. 159 “Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136″.

Art. 1  “Soggetti destinatari”

1.  I provvedimenti previsti dal presente capo si applicano a:

a)  coloro che debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dediti a traffici delittuosi;
b)  coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose;
c)  coloro che per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, comprese le reiterate violazioni del foglio di via obbligatorio di cui all’articolo 2, nonché dei divieti di frequentazione di determinati luoghi previsti dalla vigente normativa, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica.
.

Art. 2  “Foglio di via obbligatorio”

1.  Qualora le persone indicate nell’articolo 1 siano pericolose per la sicurezza pubblica e si trovino in un comune diverso dai luoghi di residenza o di dimora abituale, il questore, con provvedimento motivato, può ordinare loro di lasciare il territorio del medesimo comune entro un termine non superiore a quarantotto ore, inibendo di farvi ritorno, senza preventiva autorizzazione, per un periodo non inferiore a sei mesi e non superiore a quattro anni. Il provvedimento è efficace nella sola parte in cui dispone il divieto di ritorno nel comune, nel caso in cui, al momento della notifica, l’interessato abbia già lasciato il territorio del comune dal quale il questore ha disposto l’allontanamento.

Art. 76  “Altre sanzioni penali”

OMISSIS

3.  Il contravventore alle disposizioni di cui all’articolo 2, è punito con la reclusione da sei a diciotto mesi e con la multa fino a 10.000 euro.

OMISSIS

IL CASO

Un soggetto è stato riconosciuto colpevole del reato di cui all’art. 76 del D.L.gs 159/11 per avere contravvenuto al divieto impostogli con il foglio di via obbligatorio.

Viene proposto ricorso in Cassazione lamentando l’inosservanza ed erronea applicazione dell’art.1, comma 1, lett. a), b) e c), d.lgs. 159/2011 con vizio di motivazione rispetto alla corretta verifica dell’appartenenza dell’imputato ad una delle categorie di cui alla citata disposizione, nonché in relazione alla affermazione della sua concreta pericolosità sociale. Al riguardo osserva che il provvedimento del Questore non lo aveva classificato in alcuna delle citate categorie normative e che, quindi, il Tribunale nel pronunciare la sentenza di condanna aveva arbitrariamente ascritto l’imputato nella categoria delle persone pericolose per la sicurezza pubblica di cui alla lettera c) di cui al citato art.1, mentre la Corte di appello – in modo apodittico ed avulso dalle risultanze processuali – lo aveva inserito nella categoria delle persone che traggono sostentamento della commissione di reati.

LA SENTENZA

Sul caso CASS. PEN., I, 04/03/24 N° 9265 afferma che “…il provvedimento del Questore…è illegittimo per carenza di motivazione, sicché deve essere disapplicato. …”.

Si ribadisce che è stato “…fissato il principio di diritto, secondo il quale, “in tema di legittimità dell’atto amministrativo e per espressa disposizione normativa, il provvedimento di rimpatrio emesso dal Questore deve essere motivato” e ha spiegato che tanto “comporta che detto provvedimento deve fare riferimento agli elementi di fatto sui quali si basa il giudizio di appartenenza del prevenuto a una delle categorie indicate nella L. n.1423 del 1956, art. 1 (ora d.lgs. 159/2011) ed indicare i motivi che inducono a ritenerlo socialmente pericoloso, non essendovi coincidenza tra la appartenenza ad una delle categorie di cui al citato art. 1 e la pericolosità sociale del soggetto, dovendosi tale elemento desumere da ulteriori circostanze, delle quali si deve dare atto nel provvedimento”…”,

osservando che “…non solo il provvedimento del Questore ha omesso di indicare elementi che suffraghino la appartenenza del ricorrente ad alcuna delle categorie, previste dalla L. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 1, ma addirittura dal tenore del provvedimento neppure è dato evincere a quale delle citate categorie il Questore supponeva che l’odierno ricorrente appartenesse. …”.

Giovanni Paris

MODIFICHE AL DISCIPLINARE PER LE SCORTE TECNICHE ALLE COMPETIZIONI CICLISTICHE SU STRADA: CIRCOLARE MINISTERO DELL’INTERNO N° 300/STRAD/1/0000008933.U/2024 DEL 21/03/2024

ASA, QUALE FUTURO?

Ministero dell’Interno

“Disciplina delle competizioni ciclistiche su strada – Modifiche al disciplinare per le scorte tecniche alle competizioni ciclistiche, approvato con provvedimento del 5 febbraio 2024”

CIRCOLARE N° 300/STRAD/1/0000008933.U/2024 DEL 21/03/24

IL PROVVEDIMENTO

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E TRASPORTI DEL 05/02/24 “MODIFICHE AL DISCIPLINARE PER LE SCORTE TECNICHE ALLE COMPETIZIONI CICLISTICHE SU STRADA”

LE PRECEDENTI CIRCOLARI

Si riportano le circolari citate nella circolare del 21/03/24.

Circ. n. 300/STRAD/1/0000005784.U/2023 del 15/02/23

Circ. n. 300/A/6989/20/116/1/1 del 29/09/20

Circ. n. 300/A/10164/19/116/1/1 del 27/11/19

Giovanni Paris

DECRETO MINISTERIALE SU MODALITA’ DI COLLOCAZIONE E USO AUTOVELOX

Autovelox, la sentenza che cambia tutto: quando la multa può essere  annullata

Bozza del decreto del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, di concerto con il Ministro dell’Interno, relativo alle modalità di collocazione e uso dei dispositivi o mezzi tecnici di controllo, finalizzati al rilevamento a distanza delle violazioni delle norme di comportamento di cui all’articolo 142 del c.d.s.

TESTO DEL DECRETO “AUTOVELOX” CON ALLEGATI

Ed il parere di Anci con osservazioni e perplessità.

PARERE ANCI DECRETO “AUTOVELOX”

Giovanni Paris

DISPOSIZIONI PER LA TUTELA DELLA SICUREZZA DEL PERSONALE SCOLASTICO: L. 04/03/24 N° 25

Conegliano. Prof umiliato da bulli e cacciato dalla classe. Video ripreso  con il cellulare. Il docente è morto 3 mesi fa - Positanonews

Si segnala la pubblicazione in G.U. della L. 04/03/24 n° 25 “Modifiche agli articoli 61, 336 e 341-bis del codice penale e altre disposizioni per la tutela della sicurezza del personale scolastico” che mira a tutelare la sicurezza del personale scolastico a fronte di sempre più frequenti episodi di violenza nei confronti dei docenti.

L. 04/03/24 n° 25

La normativa prevede:

  • l’istituzione di un apposito osservatorio nazionale,
  • la promozione di informazione,
  • l’istituzione della Giornata nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti del personale scolastico individuata il 15 dicembre di ogni anno.

Inoltre è stato previsto un intervento modificativo/integratico al codice penale, precisamente con l’aggiunta di:

  • una circostanza aggravante all’art. 61 c.p. “Circostanze aggravanti comuni”;
  • una aggravante all’art. 336 c.p. “Violenza o minaccia a un pubblico ufficiale”;
  • una aggravante all’art. 341-bis c.p. “Oltraggio a pubblico ufficiale”.

Giovanni Paris

ART. 255/1 D.LGS. 152/06 ABBANDONO E DEPOSITO INCONTROLLATI DI RIFIUTI MODIFICATO DA ART. 6-TER D.L. 105/23: DIRETTIVA PROCURA REPUBBLICA PARMA DEL 15/03/24 N° 10

L'associazione carabinieri a supporto degli uffici della Procura di Parma -  la Repubblica

Si segnala la DIRETTIVA DELLA PROCURA DELLA REPUBBLICA DI PARMA DEL 15/03/24 N° 10 che, in considerazione di avvenute richieste di chiarimenti da parte di alcuni organi di Polizia giudiziaria interessati alla concreta applicazione della nuova normativa, all’esito dei necessari approfondimenti e previa verifica di direttive adottate da altre Procure, interviene con una lettura più sistematica recando chiarimenti normativi relativamente alle modifiche al D.Lgs. 152/06 in materia di abbandono e deposito incontrollati di rifiuti.

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LA NORMATIVA

L’art. 6-ter del D.L. 105/23 “Disposizioni urgenti in materia di processo penale, di processo civile, di contrasto agli incendi boschivi, di recupero dalle tossicodipendenze, di salute e di cultura, nonché in materia di personale della magistratura e della pubblica amministrazione” ha modificato l’art. 255/1 del D.Lgs. 152/06 prevedendo che:

Fatto salvo quanto disposto dall’articolo 256, comma 2, chiunque, in violazione delle disposizioni degli articoli 192, commi 1 e 2, 226, comma 2, e 231, commi 1 e 2, abbandona o deposita rifiuti ovvero li immette nelle acque superficiali o sotterranee è punito con l’ammenda da mille euro a diecimila euro. Se l’abbandono riguarda rifiuti pericolosi, la pena è aumentata fino al doppio.”

trasformando in tal modo la violazione da illecito amministrativo a illecito penale.

La precedente versione dell’art. 255/1 del D.Lgs. 152/06 recitava:

“Fatto salvo quanto disposto dall’articolo 256, comma 2, chiunque, in violazione delle disposizioni di cui agli articoli 192, commi 1 e 2, 226, comma 2, e 231, commi 1 e 2, abbandona o deposita rifiuti ovvero li immette nelle acque superficiali o sotterranee è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da trecento euro a tremila euro. Se l’abbandono riguarda rifiuti pericolosi, la sanzione amministrativa è aumentata fino al doppio”.

Pertanto ora l’abbandono e il deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo realizzato da un semplice cittadino costituisce reato, come quello effettuato da un titolare d’impresa o responsabile di ente, come previsto dall’art. 256/2 D.Lgs. 152/06, il quale prevede che:

“1.  Fuori dai casi sanzionati ai sensi dell’articolo 29-quattuordecies, comma 1, chiunque effettua una attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione di cui agli articoli 208209210211212214215 e 216 è punito:

a)  con la pena dell’arresto da tre mesi a un anno o con l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro se si tratta di rifiuti non pericolosi;
b)  con la pena dell’arresto da sei mesi a due anni e con l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro se si tratta di rifiuti pericolosi.

2.  Le pene di cui al comma 1 si applicano ai titolari di imprese ed ai responsabili di enti che abbandonano o depositano in modo incontrollato i rifiuti ovvero li immettono nelle acque superficiali o sotterranee in violazione del divieto di cui all’articolo 192, commi 1 e 2.”

Giovanni Paris

DIMENSIONE DEGLI STALLI DI SOSTA: PARAGRAFO 3.4.7 DEL D.M. 6792/01 E PARERE MINISTERO TRASPORTI DEL 25/06/09 N° 65235

Stalli di sosta a spina di pesce in via Industriale | Sicilians

IL CODICE DELLA STRADA PREVEDE LE DIMENSIONI CHE DEVONO AVERE GLI STALLI DI SOSTA?

LA NORMATIVA

Art. 40  c.d.s. “Segnali orizzontali”

“1.  I segnali orizzontali, tracciati sulla strada, servono per regolare la circolazione, per guidare gli utenti e per fornire prescrizioni od utili indicazioni per particolari comportamenti da seguire.

2.  I segnali orizzontali si dividono in:

OMISSIS

f)  strisce di delimitazione degli stalli di sosta o per la sosta riservata;
OMISSIS
.
Art. 149  reg. esec. c.d.s. “Strisce di delimitazione degli stalli di sosta o per la sosta riservata”

“1.  La delimitazione degli stalli di sosta è effettuata mediante il tracciamento sulla pavimentazione di strisce della larghezza di 12 cm formanti un rettangolo, oppure con strisce di delimitazione ad L o a T, indicanti l’inizio, la fine o la suddivisione degli stalli entro i quali dovrà essere parcheggiato il veicolo.

2.  La delimitazione degli stalli di sosta mediante strisce (fig. II.444) è obbligatoria ovunque gli stalli siano disposti a spina (con inclinazione di 45° rispetto all’asse della corsia adiacente agli stalli) ed a pettine (con inclinazione di 90° rispetto all’asse della corsia adiacente agli stalli); è consigliata quando gli stalli sono disposti longitudinalmente (parallelamente all’asse della corsia adiacente agli stalli).

OMISSIS

IL CODICE DELLA STRADA ED IL SUO REGOLAMENTO NON PREVEDONO SPECIFICHE DISPOSIZIONI SULLE DIMENSIONI CHE DEVONO AVERE GLI STALLI DI SOSTA.

IL MINISTERO

E’ il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti che al PARAGRAFO 3.4.7 “REGOLAZIONE DELLA SOSTA” DEL D.M. 05/11/01 N° 6792 “Norme funzionali e geometriche per la costruzione delle strade” indica le dimensioni degli stalli di sosta.

Inoltre con il parere del 25/06/09 n° 0065235, espresso a risposta ad una istanza inoltrata dall’asssociazione “Coordinamento Nazionale dei Camperisti”, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha affrontato ampiamente il tema della sosta, del parcheggio e della relativa segnaletica stradale e ha trattato anche la questione delle dimensioni degli stalli di sosta.

Il Ministero in proposito scrive che “…Le prescrizioni normative riguardo le dimensioni minime degli stalli di sosta si rinvengono nell’allegato tecnico al D.M. Infrastrutture e Trasporti 5 novembre 2001, n. 6792, recante norme funzionali e geometriche per la costruzione delle strade, che al paragrafo 3.4.7 così dispone: Gli stalli devono essere delimitati con segnaletica orizzontale; la profondità della fascia stradale da loro occupata è di 2,00 m per la sosta longitudinale, di 4,80 m per la sosta inclinata a 45° e di 5,00 m per quella perpendicolare al bordo della carreggiata. La larghezza del singolo stallo è di 2,00 m (eccezionalmente di 1,80 m per la sosta longitudinale, con una lunghezza occupata di 5,00 m; è di 2,30 m. per la sosta trasversale.

Nell’applicare la normativa in questione è opportuno tenere in considerazione che le misure di cui trattasi sono indicate come misure minime. Nel caso specifico degli stalli di sosta longitudinali lungo le strade, al fine di consentire la possibilità di sosta a tutti i veicoli e di ottimizzare le superfici di parcamento disponibili, senza incorrere in probabili vizi di legittimità del relativo provvedimento amministrativo, in special modo per eccesso di potere, si ritiene necessario realizzare stalli di sosta delimitati unicamente per larghezza, in modo che tutti, a prescindere dal veicolo che utilizzano possono fruire dell’area di sosta. Nel caso di stalli di sosta inclinati o perpendicolari alla corsia di marcia, è invece auspicabile adottare una profondità degli stessi coerente con la possibilità di garantire la sosta alle tipologie di veicoli cui si intende consentirla.

Infatti è impregiudicata la facoltà per l’ente proprietario della strada di limitare la sosta a determinate categorie di veicoli qualora le caratteristiche della strada, le condizioni di traffico, ed altre motivate esigenze lo rendano opportuno e necessario. …”.

Giovanni Paris

COLLOCAZIONE OBBLIGATORIA DEL CROCIFISSO TRAMITE ORDINANZA SINDACALE CONTINGIBILE ED URGENTE: CONSIGLIO DI STATO, II, 18/03/24 N° 2567

L'esposizione del crocifisso nelle aule italiane - Gilda Venezia

E’ LEGGITTIMA LA EMISSIONE DI UNA ORDINANZA SINDACALE CONTINGIBILE ED URGENTE CHE PREVEDA LA COLLOCAZIONE OBBLIGATORIA DEL CROCIFISSO NEGLI UFFICI PUBBLICI?

QUALI SONO I PRESUPPOSTI PER LA EMISSIONE DI UNA ORDINANZA SINDACALE CONTINGIBILE ED URGENTE?

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INQUADRAMENTO GENERALE

Le ordinanze di urgente necessità sono, secondo la definizione data da Massimo Severo Giannini provvedimenti amministrativi innominati, che si inventano e si adottano in caso di necessità allorché le norme non contemplano altro strumento d’urgenza per provvedere ad un interesse pubblico.

Esse costituiscono espressione di un potere derogatorio libero nel contenuto, in quanto provvedimenti medianti i quali, nelle situazioni di urgente necessità, le autorità amministrative indicate dalla legge possono porre in essere statuizioni di vario contenuto.

DEFINIZIONE

Non si rintraccia nel nostro ordinamento giuridico una definizione normativa di ordinanza contingibile ed urgente, quindi è possibile proporne una che è il frutto della elaborazione dottrinale e giurisprudenziale.

Tentiamo di fornire una definizione la più esaustiva, chiara e completa dei suoi elementi essenziali e caratteri.

Possiamo dire che l’ordinanza contingibile ed urgente di competenza del Sindaco è:

quel provvedimento amministrativo, adeguatamente motivato, di indole straordinaria, atipico, espressione di un potere extra ordinem, libero nel contenuto, con efficacia limitata nel tempo e che deve comunque rispettare le norme costituzionali ed i principi generali dell’ordinamento, che il Sindaco emette in qualità di Ufficiale di Governo in casi di necessità ed urgenza derivanti da eventi eccezionali ed imprevedibili al fine di evitare o eliminare pericoli per l’incolumità dei cittadini, quando non è possibile provvedere con i mezzi ordinari posti a disposizione dall’ordinamento giuridico.

FONDAMENTO

La attribuzione di tale potere trova il suo fondamento logico nel fatto che l’ordinamento giuridico, pur prevedendo e regolamentando moltissime situazioni di necessità ed urgenza, non può disciplinare compiutamente tutti i casi, per cui in tali situazioni ove l’autorità non fosse dotata del potere di ordinanza si troverebbe costretta a non agire per non violare il principio della legalità oppure ad agire illegittimamente per porre rimedio alle situazioni medesime.

DEROGA TIPICITA’

Le ordinanze contingibili ed urgenti sono espressione di un potere straordinario ed eccezionale per il quale l’ordinamento fissa solo alcuni elementi: l’organo competente, i presupposti (necessità ed urgenza), mentre lascia all’autorità amministrativa una ampia sfera discrezionale circa la determinazione del contenuto, rappresentando così una restrizione del principio di legalità, prevedendo un genere di provvedimento ATIPICO.

Quindi esse sono provvedimenti che comunque osservano il principio di legalità, (perché trovano fondamento esclusivo nella legge), ma costituiscono una eccezione rispetto alla regola della tipicità e deroga al principio della riserva di legge (perché impongono obblighi non previsti per legge, si “crea” diritto), potendo altresì emanare disposizioni derogatorie della normativa vigente.

PRESUPPOSTI

Si è detto che l’ordinamento conferisce il potere di emettere ordinanze di necessità quando concorrono i presupposti della contingibilità ed urgenza.

Cosa indicano tali concetti?

Prima di tutto va chiarito che essi sono riferiti non al provvedimento, ma ai fatti che ne determinano e legittimano la emanazione.

CONTINGIBILITA’: essa è conosciuta anche con il termine di NECESSITA’, indica l’esistenza di un fatto di indole straordinaria, inconsueta, accidentale, quindi imprevista o imprevedibile, da ciò una situazione di emergenza che rende necessario un intervento a sua disciplina.

URGENZA: indica che l’intervento deve essere immediatamente realizzato stante la imminenza di una situazione di pericolo di danno reale ed attuale a cui si impone di ovviare, senza possibilità di aspettare.

INESISTENZA DI STRUMENTI GIURIDICI ORDINARI

Bisogna aggiungere che da sole la contingibilità e l’urgenza in sé non legittimano l’emissione di una ordinanza di necessità, ma ciò può avvenire solo quando non è possibile altrimenti provvedere adeguatamente con i mezzi ordinari previsti dall’ordinamento, quindi ogni qual volta la situazione è possibile fronteggiarla con rimedi ordinari previsti per legge non è possibile far ricorso all’ordinanza contingibile ed urgente.

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LA NORMATIVA

Articolo 50  T.U.E.L. “Competenze del sindaco e del presidente della provincia”

“OMISSIS

5.  In particolare, in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale le ordinanze contingibili e urgenti sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale. Le medesime ordinanze sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale, in relazione all’urgente necessità di interventi volti a superare situazioni di grave incuria o degrado del territorio, dell’ambiente e del patrimonio culturale o di pregiudizio del decoro e della vivibilità urbana, con particolare riferimento alle esigenze di tutela della tranquillità e del riposo dei residenti, anche intervenendo in materia di orari di vendita, anche per asporto, e di somministrazione di bevande alcoliche e superalcoliche. Negli altri casi l’adozione dei provvedimenti d’urgenza, ivi compresa la costituzione di centri e organismi di referenza o assistenza, spetta allo Stato o alle regioni in ragione della dimensione dell’emergenza e dell’eventuale interessamento di più ambiti territoriali regionali.

OMISSIS”

Articolo 54  T.U.E.L. Attribuzioni del sindaco nelle funzioni di competenza statale

“OMISSIS

4.  Il sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta con atto motivato provvedimenti, anche contingibili e urgenti nel rispetto dei princìpi generali dell’ordinamento, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana. I provvedimenti di cui al presente comma sono preventivamente comunicati al prefetto anche ai fini della predisposizione degli strumenti ritenuti necessari alla loro attuazione.

4-bis.  I provvedimenti adottati ai sensi del comma 4 concernenti l’incolumità pubblica sono diretti a tutelare l’integrità fisica della popolazione, quelli concernenti la sicurezza urbana sono diretti a prevenire e contrastare l’insorgere di fenomeni criminosi o di illegalità, quali lo spaccio di stupefacenti, lo sfruttamento della prostituzione, la tratta di persone, l’accattonaggio con impiego di minori e disabili, ovvero riguardano fenomeni di abusivismo, quale l’illecita occupazione di spazi pubblici, o di violenza, anche legati all’abuso di alcool o all’uso di sostanze stupefacenti.

OMISSIS”

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IL CASO

Un Sindaco ha emesso una ordinanza, ai sensi degli articoli 50 e 54 del d. lgs. n. 267 del 2000, con la quale ha previsto l’immediata affissione del crocifisso in tutti gli uffici pubblici presenti nel territorio comunale, prevedendo al contempo una sanzione a carico dei trasgressori. L’ordinanza fu poi successivamente revocata.

Vi è da segnalare che in base alla sentenza del 18 marzo del 2011 della Corte Edu in materia di simboli religiosi ogni stato membro è titolare di un margine di apprezzamento quanto al luogo della loro esposizione, dovendosi al contempo escludere che il crocifisso rappresenti un elemento di indottrinamento, incompatibile, in quanto tale, con la libera espressione del pensiero.

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IL CONSIGLIO DI STATO

Sappiamo che nessuna autorità può prevedere la imposizione di obblighi, divieti e limitazioni se non nei limiti in cui questo è previsto dalla legge, questo si chiama PRINCIPIO DI LEGALITA’, quindi nessuno, tranne gli organi specificamente preposti, può essere “creatore” o “inventore” del diritto.

Il CONSIGLIO DI STATO, II, 18/03/24 N° 2567 che si è occupato della vicenda premette che “…Nel nostro ordinamento, a garanzia della sfera giuridico-patrimoniale dei consociati, vigono il principio di legalità ed il principio di tipicità dei provvedimenti amministrativi. Per tale ragione, le fattispecie nelle quali la legge ammette che un atto amministrativo possa avere contenuto atipico sono da ritenersi eccezionali e, per tali motivi, di stretta interpretazione. …”

Nello specifico “…Nel caso dei poteri contingibili e urgenti attribuiti al Sindaco – che, presentando un contenuto atipico, rientrano in quest’ultima categoria – onde ulteriormente restringerne l’operatività, il T.U.E.L. prevede specifici requisiti per il relativo esercizio. …”.

Si osserva che “…Il provvedimento impugnato ha giustificato la prescrizione con cui imponeva l’esposizione del crocifisso negli uffici pubblici con l’urgenza di “preservare le attuali tradizioni ovvero mantenere negli edifici pubblici di questo comune la presenza del crocifisso quale simbolo fondamentale dei valori civili e culturali del nostro paese”. All’evidenza la motivazione ora richiamata non rientra, neppure indirettamente, in alcuno dei presupposti di fatto che avrebbero legittimato l’esercizio del relativo potere. E poiché oltre a quanto osservato, in tema di provvedimenti contingibili e urgenti, “soltanto a fronte di una puntuale rappresentazione della situazione di grave pericolo attuale, suffragata da istruttoria e motivazione adeguate, si può giustificare l’eccezionale deroga al principio di tipicità degli atti amministrativi ed alla disciplina vigente, attuata mediante l’utilizzazione di provvedimenti “extra ordinem”…ne deriva che il provvedimento impugnato è stato emesso in difetto di attribuzioni e che pertanto, in accoglimento del gravame, deve ritenersi per tali ragioni illegittimo. …”.

Inoltre “…non risulta che il sindaco, prima di emettere la misura, abbia effettuato alcun ragionevole bilanciamento tra gli interessi in gioco coinvolti nella decisione amministrativa. …”,

come affermato, sebbene con specifico riferimento al crocifisso affisso nelle aule scolastiche, dalle Sezioni Unite della Cassazione per le quali “…tale valutazione andava esperita perché “il R.D. n. 965 del 1924, art. 118 , che comprende il crocifisso tra gli arredi scolastici, deve essere interpretato in conformità alla Costituzione e alla legislazione che dei principi costituzionali costituisce svolgimento e attuazione, nel senso che la comunità scolastica può decidere di esporre il crocifisso in aula con valutazione che sia frutto del rispetto delle convinzioni di tutti i componenti della medesima comunità, ricercando un “ragionevole accomodamento” tra eventuali posizioni difformi”. (In questo senso la Suprema Corte, con la sentenza n. 24414 del 9 settembre del 2021 che ha dichiarato illegittima una circolare del dirigente scolastico che, nel richiamare tutti i docenti della classe al dovere di rispettare e tutelare la volontà degli studenti, espressa a maggioranza in una assemblea, di vedere esposto il crocifisso nella loro aula, non ricerchi un ragionevole accomodamento con la posizione manifestata dal docente dissenziente). …”.

Giovanni Paris

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Si leggano anche:

Giovanni Paris

CAUSA DI NON PUNIBILITA’ PER ATTO ARBITRARIO DEL SOGGETTO PUBBLICO (ART. 393-BIS C.P.): CASS. PEN., VI, 06/03/24 N° 9687

Jesi / Nuovi agenti alla Polizia Locale, raffica di interventi per la  sicurezza stradale - QdM Notizie

QUANDO SI DETERMINA LA CAUSA DI GIUSTIFICAZIONE PREVISTA DALL’ART. 393-BIS C.P.? IN COSA CONSISTONO GLI ATTI ARBITRARI CHE ECCEDONO I LIMITI DELLE ATTRIBUZIONI DEL SOGGETTO PUBBLICO OPERANTE? SONO CONSIDERATI ATTI ARBITRARI LA SCONVENIENZA E LA VILLANIA DELLE MODALITA’ COMPORTAMENTALI DEL SOGGETTO PUBBLICO?

LA NORMATIVA

Art. 393-bis c.p. “Causa di non punibilità”

“Non si applicano le disposizioni degli articoli 336, 337, 338, 339, 339-bis, 341-bis, 342 e 343 quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio ovvero il pubblico impiegato abbia dato causa al fatto preveduto negli stessi articoli, eccedendo con atti arbitrari i limiti delle sue attribuzioni”.

La disposizione è stata introdotta dall’art. 1/9 della L. 94/09 “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica”, mentre l’art. 1/10 ha abrogato l’art. 4 del D.Lgs.Lgt. 288/44, che prevedeva la cosiddetta legittima reazione agli atti arbitrari del pubblico ufficiale.

LA SENTENZA

La CASS. PEN., VI, 06/03/24 N° 9687 viene a indicare le caratteristiche che deve possedere l’azione del soggetto pubblico e che la qualifica come atto arbitrario, sostanzialmente questo è un comportamento tenuto in esecuzione di legittime pubbliche funzioni, ma connotato per una carenza di corripondenza tra le modalità impiegate e le finalità per le quali è attribuita la funzione stessa, violando pertanto i doveri di correttezza e civiltà, affermando che  “…in linea con l’interpretazione offerta dal Giudice delle leggi (Corte cost., n. 140 del 1998), la giurisprudenza di questa Corte ritiene che la reazione del privato può dirsi giustificata a fronte di un comportamento oggettivamente illegittimo del pubblico agente che si presenti disfunzionale rispetto al fine per cui il potere è conferito, anche solo per le modalità scorrette, incivili e sconvenienti di attuazione…”.

Si legga CORTE COSTITUZIONALE DEL 23/04/98 N° 140 per la quale la convenienza e la urbanità dei modi debbono ritenersi in ogni caso dovere dei pubblici ufficiali e, di conseguenza, la mera scorrettezza e la villania delle modalità con cui gli atti del pubblico ufficiale, anche se di per sé non difformi dalle norme di legge, vengono compiuti, si traducono in un eccesso dai limiti delle sue attribuzioni e vanno considerati atti arbitrari.

Giovanni Paris

ART. 187 C.D.S. GUIDA IN STATO DI ALTERAZIONE PER USO DI SOSTANZE STUPEFACENTI: DIRETTIVA PROCURA REPUBBLICA PARMA DEL 01/02/24 N° 8

Guida sotto l'effetto di stupefacenti – art. 187 – Polizia Locale di Pescara

QUALI SONO GLI ELEMENTI QUALIFICANTI LA CONDOTTA DEL REATO PREVISTO DALL’ART. 187 C.D.S. “GUIDA IN STATO DI ALTERAZIONE PSICO-FISICA PER USO DI SOSTANZE STUPEFACENTI”?

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LA NORMATIVA

Art. 187  c.d.s. “Guida in stato di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti”

“1.  Chiunque guida in stato di alterazione psico-fisica dopo aver assunto sostanze stupefacenti o psicotrope è punito con l’ammenda da euro 1.500 ad euro 6.000 e l’arresto da sei mesi ad un anno. All’accertamento del reato consegue in ogni caso la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da uno a due anni. Se il veicolo appartiene a persona estranea al reato, la durata della sospensione della patente è raddoppiata. Per i conducenti di cui al comma 1 dell’articolo 186-bis, le sanzioni di cui al primo e al secondo periodo del presente comma sono aumentate da un terzo alla metà. Si applicano le disposizioni del comma 4 dell’articolo 186-bis. La patente di guida è sempre revocata, ai sensi del capo II, sezione II, del titolo VI, quando il reato è commesso da uno dei conducenti di cui alla lettera d) del citato comma 1 dell’articolo 186-bis, ovvero in caso di recidiva nel triennio. Con la sentenza di condanna ovvero di applicazione della pena a richiesta delle parti, anche se è stata applicata la sospensione condizionale della pena, è sempre disposta la confisca del veicolo con il quale è stato commesso il reato, salvo che il veicolo stesso appartenga a persona estranea al reato. Ai fini del sequestro si applicano le disposizioni di cui all’articolo 224-ter.

1-bis.  Se il conducente in stato di alterazione psico-fisica dopo aver assunto sostanze stupefacenti o psicotrope provoca un incidente stradale, le pene di cui al comma 1 sono raddoppiate e, fatto salvo quanto previsto dal settimo e dall’ottavo periodo del comma 1, la patente di guida è sempre revocata ai sensi del capo II, sezione II, del titolo VI. È fatta salva in ogni caso l’applicazione dell’articolo 222.

OMISSIS”

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ATTENZIONE!! Il reato in questione si configura non in forza di una presunzione derivante dalla assunzione di sostanza stupefacente, ma pretende un accertamento positivo dello stato di alterazione conseguente a quella assunzione, la norma intende punire non semplicemente la guida dopo avere assunto una sostanza stupefacente, ma la guida in stato di alterazione indotto dalla sostanza stupefacente. La condotta tipica del reato richiede quindi due elementi qualificanti: l’assunzione di sostanza stupefacente e lo stato di alterazione provocato da quella.

Ecco allora la essenzialità di accertare lo stato di alterazione e che nella comunicazione di notizia di reato e negli atti allegati non si fornisca solo la prova della assunzione di sostanza stupefacente, ma emerga anche lo stato di alterazione, che non può essere provato solo sulla base delle analisi svolte, che valgono solo a provare la pregressa assunzione.

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LA CASSAZIONE

La Suprema Corte è chiara su quanto sopra esposto, ultimo pronunciamento risulta essere CASS. PEN., VII, 06/03/24 n° 9549 ove si legge che, coerentemente con l’indirizzo della consolidata giurisprudenza, “…in tema di guida sotto l’influenza di sostanze stupefacenti, lo stato di alterazione può essere provato valorizzando dati sintomatici relativi alla condizione soggettiva dei conducente, rilevati al momento del fatto, dimostrativi della pregressa assunzione di stupefacente, ed atti a corroborare l’esito positivo dell’esame sui liquidi biologiciNel caso di specie, lo stato di alterazione…è accertato sia dall’espletamento di una specifica analisi medica sia dai dati sintomatici rilevati dagli agenti al momento del fatto (occhi eccessivamente ludici e pupille dilatate, atteggiamento nervoso ed irrequieto)…”.

Si legga anche l’articolo GUIDA SOTTO L’EFFETTO DI SOSTANZE STUPEFACENTI. CASS. PEN., IV, 19/02/24 N° 7199

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LA DIRETTIVA

Al fine di non vanificare il lavoro svolto dagli organi di polizia, evitare di avanzare richieste di archiviazione per mancanza di elementi di reità o di assistere ad assoluzioni in sede di giudizio la Procura della Repubblica di Parma ha emesso sull’argomento apposita DIRETTIVA DEL 01/02/24 N° 8 con specifiche linee guida operative.

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LE MODIFICHE AL CODICE DELLA STRADA

Risulta che è attualmente in discussione un disegno di legge che prevede la eliminazione del requisito dello stato di alterazione al fine della configurabilità del reato previsto dall’art. 187 c.d.s., in modo tale che sia sufficiente a tal fine la sola positività agli esami che accertino la assunzione di sostanza stupefacente.

Giovanni Paris

RUMORI CONDOMINIALI E ART. 659 C.P. “DISTURBO DELLE OCCUPAZIONI O DEL RIPOSO DELLE PERSONE”: CASS. PEN., III, 22/02/24 N° 7717

Condominio parziale: cos'è, come funziona, ripartizione spese - Subito

NEL CASO DI RUMORI CONDOMINIALI QUANDO PUO’ CONFIGURARSI IL REATO PREVISTO DALL’ART. 659 COMMA 1 DEL C.P. “DISTURBO DELLE OCCUPAZIONI O DEL RIPOSO DELLE PERSONE?

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LA NORMATIVA

Art. 659 c.p. “Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone”.

Chiunque, mediante schiamazzi o rumori, ovvero abusando di strumenti sonori o di segnalazioni acustiche, ovvero suscitando o non impedendo strepiti di animali, disturba le occupazioni o il riposo delle persone, ovvero gli spettacoli, i ritrovi o i trattenimenti pubblici, è punito con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a euro 309.

Si applica l’ammenda da euro 103 a euro 516 a chi esercita una professione o un mestiere rumoroso contro le disposizioni della legge o le prescrizioni dell’autorità.

Nell’ipotesi prevista dal primo comma, la contravvenzione è punibile a querela della persona offesa, salvo che il fatto abbia ad oggetto spettacoli, ritrovi o trattenimenti pubblici, ovvero sia commesso nei confronti di persona incapace, per età o per infermità”.

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IL CASO

Un soggetto è stato ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 659 c.p. per rumori provocati all’interno di un condominio.

Viene proposto ricorso in cassazione deducendo violazione dell’art. 659 c.p. e vizio di motivazione per travisamento della prova, argomentando che secondo la giurisprudenza della Suprema Corte il reato in questione è configurabile all’interno di un edificio condominiale laddove i rumori arrechino disturbo non solo agli occupanti degli appartamenti inferiori o superiori rispetto alla fonte di propagazione, ma anche ad una consistente parte dei condomini; inoltre, il teste le cui dichiarazioni erano state richiamate in sentenza per suffragare l’ipotesi accusatoria, aveva dichiarato che il suo appartamento era sottostante a quello ove erano stati effettuati i lavori di ristrutturazione e che i rumori prodotti non avevano recato disturbo nè a lui nè alla moglie.

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LA SENTENZA

La CASS. PEN., III, 22/02/24 N° 7717 osserva che il giudice “…ha basato l’affermazione di responsabilità…su argomentazioni carenti, limitandosi ad affermare, in maniera assertiva, che le risultanze processuali rendevano evidente la responsabilità dell’imputato, senza argomentare in ordine alla idoneità dei rumori a disturbare le occupazioni o il riposo delle persone. …”.

Difatti “…Giova ricordare che ai fini della configurabilità della contravvenzione di cui all’art. 659 cod. pen., non sono necessarie né la vastità dell’area interessata dalle emissioni sonore, né il disturbo di un numero rilevante di persone, essendo sufficiente che i rumori siano idonei ad arrecare disturbo ad un gruppo indeterminato di persone, anche se raccolte in un ambito ristretto, come un condominio…”.

Quindi “…perché sussista la contravvenzione di cui all’art. 659 cod. pen. relativamente ad attività che si svolge in ambito condominiale, è necessaria la produzione di rumori idonei ad arrecare disturbo o a turbare la quiete e le occupazioni non solo degli abitanti dell’appartamento sovrastante o sottostante la fonte di propagazione, ma di una più consistente parte degli occupanti il medesimo edificio…”,

sottolineando che “…l’attitudine dei rumori a disturbare il riposo o le occupazioni delle persone non va necessariamente accertata mediante perizia o consulenza tecnica, ma ben può il giudice fondare il suo convincimento su elementi probatori di diversa natura, quali le dichiarazioni di coloro che sono in grado di riferire le caratteristiche e gli effetti dei rumori percepiti, sì che risulti oggettivamente superata la soglia della normale tollerabilità…”.

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I PRECEDENTI

Precedenti conformi si hanno con:

CASS. PEN., V, 04/07/23 N° 28768 per la quale “…l’affermazione di responsabilità per il reato di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone non implica, attesa la natura di illecito di pericolo presunto, la prova dell’effettivo disturbo di più persone, essendo sufficiente l’idoneità della condotta a disturbarne un numero indeterminato...”,

e ricorda che “…Ai fini della configurabilità della contravvenzione di cui all’art. 659 cod. pen., non sono necessarie né la vastità dell’area interessata dalle emissioni sonore, né il disturbo di un numero rilevante di persone, essendo sufficiente che i rumori siano idonei ad arrecare disturbo ad un gruppo indeterminato di persone, anche se raccolte in un ambito ristretto, come un condominio….”.

CASS. PEN., III, 17/01/23 N° 2071 ricordando che “…Occorre considerare che il bene giuridico tutelato dalla contravvenzione in esame è costituito, come emerge dallo stesso nomen della rubrica, dallo svolgimento delle attività e del riposo delle persone che il legislatore intende presidiare da indiscriminate attività di disturbo, le quali, tuttavia, non possono essere identificate, proprio in ragione del plurale figurante nella norma, in un singolo soggetto, pur infastidito in ragione della prossimità della fonte sonora a quella del suo luogo di lavoro o della sua abitazione, bensì da un numero indeterminato di persone le quali soltanto consentono di individuare, al di là della vastità dell’area interessata dalle emissioni o dall’entità del numero dei soggetti lesi, un pregiudizio inferto all’ordine pubblico nella specifica accezione della pubblica quiete. Ciò non toglie che possa trattarsi di soggetti annoverabili in un ambito ristretto, come avviene in un condominio costituito da più palazzine o da più appartamenti ubicati in uno stesso stabile, ma in tal caso è necessaria la produzione di rumori idonei ad arrecare disturbo o a turbare la quiete e le occupazioni non solo degli abitanti dell’appartamento sovrastante o sottostante la fonte di propagazione, ma di una più consistente parte degli occupanti il medesimo edificio, configurandosi, altrimenti, soltanto un illecito civile foriero di un eventuale risarcimento del danno e non certamente una condotta penalmente rilevante ai sensi dell’art. 659 cod. pen. …”,

E’ vero che “…non vale ad escludere la configurabilità del reato la circostanza che solo alcuni dei soggetti potenzialmente lesi dalle emissioni sonore se ne siano lamentati, occorre ciò nondimeno in tal caso l’accertamento sia dell’idoneità delle stesse ad arrecare disturbo non solamente a un singolo ma a un gruppo più vasto di condomini residenti in appartamenti diversamente ubicati nell’edificio, sia della loro diffusività in concreto, tale da superare i limiti della normale tollerabilità di emissioni provenienti da immobili contigui…”.

Pertanto “…le lamentele del singolo possono al più configurare un illecito civile ai sensi dell’art. 844 cod. civ., ma non valgono ad integrare la materialità della contravvenzione de qua che si perfeziona quando le emissioni abbiano l’effetto di arrecare disturbo a una cerchia più ampia di persone, anche a prescindere da quelle che se ne siano in concreto lamentate. …”

La Cassazione conclude che “…difetta quanto all’ipotesi di cui all’art. 659 primo comma cod. pen. il disturbo alla pubblica quiete, ricorrente solo allorquando il rumore molesto è percepito o comunque è percepibile da un numero indistinto di persone e non già, come accertato nel presente processo, dai componenti, anche a prescindere dalla mancata escussione della teste Tagliente, di un solo nucleo familiare residente nella medesima unità abitativa. …”.

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Giustizia, troppe le esistenze stropicciate prima di sapere di non aver  commesso il fatto - Il Quotidiano del Sud

REATO DI PERICOLO PRESUNTO

Il reato in trattazione viene qualificato di “pericolo presunto“. Ma quando si concretizza un tale tipo di reato? Quali sono le caratteristiche che deve avere?

L’ordinamento giuridico punisce, attraverso la previsione di fattispecie di illeciti penali, i comportamenti che vanno a ledere determinati beni o interessi giuridici, questi beni o interessi costituiscono l'”oggetto giuridico” del reato (es. la norma che punisce il reato di furto tutela il bene giuridico “patrimonio”, mentre la norma che punisce il reato di omicidio tutela il bene giuridico “vita”).

Quando viene tenuto un comportamento costituente reato avviene l’offesa del bene o interesse giuridico tutelato dalla norma, tale offesa si qualifica “danno penale o criminale” e costituisce il c.d. “evento giuridico”.

L’offesa determinata dal reato può assumere la forma della “lesione“, quando il bene giuridico viene realmente e irrimediabilmente leso/distrutto o la forma della “messa in pericolo” quando il bene giuridico viene solo minacciato.

In relazione alla distinzione suddetta i reati si classificano “di danno” o “di pericolo” in relazione al tipo di “danno criminale” che si realizza, cioè dal tipo di lesione al bene giuridico (oggetto giuridico) tutelato dalla norma penale, che può essere appunto di effettiva lesione dello stesso e allora avremo i reati di danno o di messa in pericolo di quello e allora avremo i reati di pericolo .

Con la categoria dei reati di pericolo il legislatore, quando ritiene di tutelare beni giuridici considerati particolarmente rilevanti, protegge il bene giuridico coinvolto anche se lo stesso non è stato danneggiato effettivamente in modo irrimediabile, con la sua lesione effettiva, in questi casi l’ordinamento giuridico valuta lo stesso meritevole di tutela in via anticipata, anche quando esso viene solo minacciato (v. es.  art. 186 Codice della Strada “Guida in stato di ebrezza”, tipico reato di pericolo).

Ma come può definirsi il concetto giuridico di “pericolo“? Possiamo dire che pericolo è la probabilità che un “evento temuto” accada, quindi in campo giuridico probabilità di un evento antigiuridico.

I reati di pericolo inoltre si classificano in reati di “pericolo concreto” e reati di pericolo “presunto” (vengono indicati anche di pericolo “astratto”), nei primi il pericolo costituisce elemento costitutivo del reato la cui esistenza va accertata dal giudice, questi tipi di reato pretendono quindi l’accertamento del verificarsi effettivo della situazione di messa in pericolo del bene giuridico tutelato, i secondi non comportano la necessità di tale accertamento in quanto è il legislatore che ha compiuto tale valutazione in astratto, giudicando il tipo di reato come fatto automaticamente pericoloso, opera quindi in tal caso una presunzione automatica senza possibilità di prova contraria, si parla in tal caso di presunzione “iuris et de iure“.

Giovanni Paris

ART. 650 C.P. E VIOLAZIONE DI NORMA REGOLAMENTARE: CASS. PEN., I, 22/02/24 N° 7859

LA VIOLAZIONE DI UNA NORMA REGOLAMENTARE O DI UNA ORDINANZA INDIRIZZATA A UNA PLURALITA’ INDETERMINATA (GENERALITA’) DI SOGGETTI PUO’ INTEGRARE IL REATO PREVISTO DALL’ART. 650 C.P.?

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LA NORMATIVA

Art. 650 c.p. “ Inosservanza dei provvedimenti dell’autorità”

Chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall’autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica o d’ordine pubblico o d’igiene, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a euro 206.

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IL CASO

Un soggetto è stato penalmente condannato per il reato previsto dall’art. 650 c.p. per violazione a una norma del regolamento penitenziario.

Viene proposto ricorso in Cassazione deducendo la violazione dell’art. 650 c.p. in quanto una norma regolamentare non integra gli estremi del provvedimento dell’Autorità dato per ragioni di giustizia o sicurezza pubblica, ovvero d’ordine pubblico o di igiene, pertanto ritenendo la natura non provvedimentale del regolamento.

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LA SENTENZA

La CASS. PEN., I, 22/02/24 N° 7859 ritiene che “…Per provvedimento dell’autorità, ai sensi dell’art. 650 cod. pen. «deve intendersi ogni atto con il quale l’autorità impone a una o più persone determinate una particolare condotta, omissiva o commissiva, ispirata da una contingenza presente e transeunte. Pertanto, poiché l’art. 650 cod. pen. contiene una norma esclusivamente sanzionatoria della inosservanza dei provvedimenti individuali esso non è applicabile alla inosservanza di leggi, regolamenti o ordinanza dell’autorità concernenti la generalità dei cittadini….

Per quanto sopra “…L’integrazione del reato di cui all’art. 650 cod. pen. implica, dunque, che l’inosservanza abbia ad oggetto «un ordine specifico impartito ad un soggetto determinato, in occasione di eventi o circostanze tali da far ritenere necessario che proprio quel soggetto ponga in essere una certa condotta, ovvero si astenga da una certa condotta; e ciò per ragioni di sicurezza o di ordine pubblico, o di igiene o di giustizia; che l’inosservanza riguardi un provvedimento adottato in relazione a situazioni non prefigurate da alcuna specifica previsione normativa che comporti una specifica ed autonoma sanzione».

Si è allora detto che non ha le caratteristiche sopra indicate (e quindi la sua inosservanza non può integrare il reato di cui all’art. 650) una disposizione a carattere regolamentare e contenente una disposizione dettata in via preventiva ed indirizzata ad una generalità di soggetti…“.

Si leggano anche, in senso conforme:

Giovanni Paris

RIFIUTO DI INDICAZIONI SULLA IDENTITA’ PERSONALE: CASS. PEN., VI, 21/02/24 N° 7673

La nostra polizia locale, un'eccellenza" - La Voce di Rovigo

IN CASO DI AVVENUTO RIFIUTO DA PARTE DI UN SOGGETTO DI DARE INDICAZIONI SULLA PROPRIA IDENTITA’ PERSONALE, IL FATTO CHE LO STESSO SI “RAVVEDA” E TALI INDICAZIONI VENGANO FORNITE SUCCESSIVAMENTE O CHE IL SOGGETTO SIA CONOSCIUTO DAL PUBBLICO UFFICIALE IMPEDISCE IL CONFIGURARSI DEL REATO PREVISTO DALL’ART. 651 C.P.?

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LA NORMATIVA

Art. 651 c.p.  “ Rifiuto d’indicazioni sulla propria identità personale”

“Chiunque, richiesto da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, rifiuta di dare indicazioni sulla propria identità personale, sul proprio stato, o su altre qualità personali, è punito con l’arresto fino a un mese o con l’ammenda fino a euro 206″.

La disposizione punisce le condotte di intralcio all’attività di accertamento della identità personale svolta dai pubblici ufficiali.

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LA SENTENZA

Si conferma con  CASS. PEN., VI, 21/02/24 N° 7673 il consolidato orientamento per cui “…il reato di cui all’art. 651 cod. pen. si perfeziona con il semplice rifiuto di fornire al pubblico ufficiale indicazioni circa la propria identità personale, per cui è irrilevante che tali indicazioni vengano successivamente fornite o che l’identità del soggetto sia facilmente accertata per la conoscenza personale da parte del pubblico ufficiale o per altra ragione…”.

E, in ordine alla seconda casistica, si osserva “…come l’obbligo di rispondere alla richiesta di identificazione deve essere adempiuto anche in caso di conoscenza della persona richiesta da parte del pubblico ufficiale, giacché tale circostanza non implica che questi conosca con certezza le generalità e gli altri estremi necessari per la completa ed esatta individuazione del soggetto…”.

Si leggano anche:

Giovanni Paris

LEGGE 6/24 IN MATERIA DI DISTRUZIONE, DETURPAMENTO, IMBRATTAMENTO BENI CULTURALI O PAESAGGISTICI – MODIFICA ARTT. 518-DUODECIES, 635 E 639 C.P. : DIRETTIVA PROCURA REPUBBLICA DI PARMA DEL 06/02/24 N° 9

 

Essere o non essere madre, i diritti civili secondo la Procura di Parma

La L. 22/01/24 n° 6 recante “Disposizioni sanzionatorie in materia di distruzione, dispersione, deterioramento, deturpamento, imbrattamento e uso illecito di beni culturali o paesaggistici e modifiche agli articoli 518-duodecies, 635 e 639 del codice penale” è entrata in vigore il 08/02/24.

Di seguito gli articoli del codice penale modificati.

Art. 518-duodecies c.p. “Distruzione, dispersione, deterioramento, deturpamento, imbrattamento e uso illecito di beni culturali o paesaggistici”

“Chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende in tutto o in parte inservibili, ove previsto,o non fruibili beni culturali o paesaggistici propri o altrui è punito con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da euro 2.500 a euro 15.000.

Chiunque, fuori dei casi di cui al primo comma, deturpa o imbratta beni culturali o paesaggistici propri o altrui, ovvero destina beni culturali a un uso incompatibile con il loro carattere storico o artistico ovvero pregiudizievole per la loro conservazione o integrità, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 1.500 a euro 10.000.

La sospensione condizionale della pena è subordinata al ripristino dello stato dei luoghi o all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato ovvero alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per un tempo determinato, comunque non superiore alla durata della pena sospesa, secondo le modalità indicate dal giudice nella sentenza di condanna”.

Art. 635 c.p. “Danneggiamento”

“Chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili cose mobili o immobili altrui con violenza alla persona o con minaccia ovvero in occasione del delitto previsto dall’articolo 331, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.

Alla stessa pena soggiace chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili le seguenti cose altrui:

1. edifici pubblici o destinati a uso pubblico o all’esercizio di un culto o immobili compresi nel perimetro dei centri storici, ovvero immobili i cui lavori di costruzione, di ristrutturazione, di recupero o di risanamento sono in corso o risultano ultimati o altre delle cose indicate nel numero 7) dell’articolo 625;

2. opere destinate all’irrigazione;

3. piantate di viti, di alberi o arbusti fruttiferi, o boschi, selve o foreste, ovvero vivai forestali destinati al rimboschimento;

4. attrezzature e impianti sportivi al fine di impedire o interrompere lo svolgimento di manifestazioni sportive.

Chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili cose mobili o immobili altrui in occasione di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa fino a 10.000 euro.

Per i reati di cui ai commi precedenti, la sospensione condizionale della pena è subordinata all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, ovvero, se il condannato non si oppone, alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per un tempo determinato, comunque non superiore alla durata della pena sospesa, secondo le modalità indicate dal giudice nella sentenza di condanna.

Nei casi previsti dal primo comma il delitto è punibile a querela della persona offesa. Si procede tuttavia d’ufficio se il fatto è commesso in occasione del delitto previsto dall’articolo 331 ovvero se la persona offesa è incapace, per età o per infermità”.

Art. 639 c.p. Deturpamento e imbrattamento di cose altrui

“Chiunque, fuori dei casi preveduti dall’articolo 635, deturpa o imbratta cose mobili altrui è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a euro 309.

Se il fatto è commesso su beni immobili o su mezzi di trasporto pubblici o privati, si applica la pena della reclusione da uno a sei mesi o della multa da 300 a 1.000 euro. Se il fatto è commesso su teche, custodie e altre strutture adibite all’esposizione, protezione e conservazione di beni culturali esposti in musei, pinacoteche, gallerie e altri luoghi espositivi dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente e istituto pubblico, si applica la pena della reclusione da uno a sei mesi o della multa da 300 a 1.000 euro.

Nei casi di recidiva per le ipotesi di cui al secondo comma si applica la pena della reclusione da tre mesi a due anni e della multa fino a 10.000 euro.

Chiunque, fuori dei casi preveduti dall’articolo 635, deturpa o imbratta cose mobili o immobili altrui in occasione di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico è punito con le pene di cui ai commi precedenti, raddoppiate.

Nei casi previsti dal secondo comma si procede d’ufficio.

Con la sentenza di condanna per i reati di cui al secondo e terzo comma il giudice, ai fini di cui all’articolo 165, primo comma, può disporre l’obbligo di ripristino e di ripulitura dei luoghi ovvero, qualora ciò non sia possibile, l’obbligo di sostenerne le spese o di rimborsare quelle a tal fine sostenute, ovvero, se il condannato non si oppone, la prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per un tempo determinato comunque non superiore alla durata della pena sospesa, secondo le modalità indicate nella sentenza di condanna.

LA DIRETTIVA DELLA PROCURA DI PARMA

La Procura della Repubblica di Parma ha emanato la direttiva n° 9 del 06/02/24 “Legge 22 gennaio 2024, n. 6 (“Disposizioni sanzionatorie in materia di distruzione, dispersione, deterioramento, deturpamento, imbrattamento e uso illecito di beni culturali o paesaggistici e modifiche agli articoli 518-duodecies, 635 e 639 del codice penale”) – Linee guida operative”  

La nuova normativa si caratterizza per due aspetti:

  1. in primo luogo, la creazione di un vero e proprio doppio binario punitivo, mediante la previsione -accanto alle sanzioni penali- di sanzioni amministrative a carico degli autori delle condotte illecite;
  2. in secondo luogo, la modifica di alcuni articoli del codice penale (518-duodecies, 635, 639).

Giovanni Paris

STALLO CARICO E SCARICO PER FARMACIA: PARERE MINISTERO TRASPORTI DEL 11/10/11 N° 5014

I posteggi per carico e scarico merci diventano “a tempo” La Nuova Sardegna

Un comune ha formulato il seguente quesito:

E’ POSSIBILE LA REALIZZAZIONE DI UNO STALLO DI SOSTA PER CARICO E SCARICO DESTINATO AI CLIENTI DI UNA FARMACIA?

LA NORMATIVA

Art. 7  c.d.s. “Regolamentazione della circolazione nei centri abitati”

“1.  Nei centri abitati i comuni possono, con ordinanza del sindaco:

OMISSIS

d)  riservare limitati spazi alla sosta, a carattere permanente o temporaneo, ovvero anche solo per determinati periodi, giorni e orari:

OMISSIS
.
5)   dei veicoli per il carico e lo scarico delle merci nelle ore stabilite;
.
OMISSIS”
.
IL PARERE MINISTERIALE

.

Si segnala che della particolare questione il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti si era già espresso con il risalente PARERE DEL 11/10/11 N° 5014 con cui si afferma che non può essere prevista la istituzione di uno stallo di carico e scarico con le finalità suddette in quanto non soddisfa un pubblico interesse, ma solo le esigenze particolari della clientela di un esercizio commerciale.

Giovanni Paris

REQUISITO DELLA PRESENZA DI PIU’ PERSONE NELL’OLTRAGGIO A PUBBLICO UFFICIALE: CASS. PEN., VII, 12/02/24 N° 6113

Torino, droga in casa della maestra che insultò i poliziotti - Corriere.it

IL REQUISITO PREVISTO DALL’ART. 341-BIS C.P. “OLTRAGGIO A PUBBLICO UFFICIALE” DELLA PRESENZA DI PIU’ PERSONE ALL’ATTO DI OFFESA SI CONFIGURA ANCHE CON LA PRESENZA DI ALTRI PUBBLICI UFFICIALI O DI PUBBLICI DIPENDENTI?

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LA NORMATIVA

Art. 341-bis c.p. “Oltraggio a pubblico ufficiale”

Chiunquein luogo pubblico o aperto al pubblico e in presenza di più persone, offende l’onore ed il prestigio di un pubblico ufficiale mentre compie un atto d’ufficio ed a causa o nell’esercizio delle sue funzioni è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.

La pena è aumentata se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato. Se la verità del fatto è provata o se per esso l’ufficiale a cui il fatto è attribuito è condannato dopo l’attribuzione del fatto medesimo, l’autore dell’offesa non è punibile.

Ove l’imputato, prima del giudizio, abbia riparato interamente il danno, mediante risarcimento di esso sia nei confronti della persona offesa sia nei confronti dell’ente di appartenenza della medesima, il reato è estinto”.

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BREVE COMMENTO

Il reato di oltraggio a pubblico ufficiale è stato reintrodotto dall’art. 1/8 della L. 94/09 recante disposizioni in materia di sicurezza pubblica prevedendo l’art. 341-bis c.p. .

Tale tipo di reato era disciplinato dall’art. 341 c.p., abrogato con la L. 205/99.

La nuova fattispecie penale riprende parzialmente la formulazione del precedente art. 341 c.p., con importanti novità rispetto a quello.

In effetti vengono introdotti nuovi elementi di tipicità quali elementi costitutivi della fattispecie penale:

  • il compimento dell’offesa in luogo pubblico o aperto al pubblico,
  • il compimento dell’offesa in presenza di più persone,
  • la contestualità tra l’offesa al pubblico ufficiale e il compimento da parte di questi di un atto di ufficio ed a causa o nell’esercizio delle sue funzioni.

Da sottolineare che l’art. 1/1 lett. c) del D.Lgs 150/22 (c.d. riforma Cartabia), ha modificato l’art. 131-bis c.p., che disciplina l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, includendo in questa esclusione anche il delitto di oltraggio. L’art. 131-bis/3 n. 2), prevede che l’offesa non possa ritenersi di particolare tenuità “per i delitti previsti dagli articoli 336, 337 e 341 bis, quando il fatto è commesso nei confronti di un ufficiale o agente di pubblica sicurezza o di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria nell’esercizio delle proprie funzioni.

Relativamente alle espressioni offensive rivolte al pubblico ufficiale, il reato si configura anche quando le stesse possano essere udite dai presenti, in quanto già questa potenzialità costituisce un aggravio psicologico che può compromettere la prestazione del pubblico ufficiale, recando disturbo e sviandolo mentre compie un atto del suo ufficio, facendogli avvertire condizioni avverse, per lui e per la pubblica amministrazione di cui fa parte, e ulteriori rispetto a quelle ordinarie.

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LA GIURISPRUDENZA

La risposta alla domanda, sulla base della elaborazione interpretativa giurisprudenziale che fino ad ora si è formata, è stata AFFERMATIVA, con alcune precisazioni. Se le persone presenti sono altri pubblici ufficiali, è necessario che essi si trovino in quella circostanza spaziale e temporale non per lo stesso motivo d’ufficio in relazione al quale la condotta oltraggiosa sia posta in essere dall’agente.

Ultimo arresto giurisprudenziale in tal senso viene da CASS. PEN., VII. 12/02/24 N° 6113 per la quale “…il reato di cui all’art. 341-bis cod. pen. in relazione al requisito della pluralità di persone presenti, è integrato dalla presenza di persone che, pur rivestendo la qualifica di pubblico ufficiale, siano presenti in quel determinato contesto spazio temporale non per lo stesso motivo d’ufficio in relazione al quale la condotta oltraggiosa sia posta in essere dall’agente…”.

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L’ORIENTAMENTO DELLA CASSAZIONE

Di seguito si riportano alcuni pronunciamenti della Suprema Corte con i quali viene espresso il principio secondo cui, ai fini dell’integrazione del delitto di oltraggio, la condotta offensiva nei confronti del pubblico ufficiale, consistente nell’offesa all’onore ed al prestigio dello stesso, deve avvenire alla presenza di almeno due persone, requisito numerico minimo perché possano ravvisarsi «più persone», individuando i soggetti che possono essere ricompresi fra le «più persone», tra le quali non possono computarsi quei soggetti che, pur non direttamente attinti dall’offesa, assistano alla stessa nello svolgimento delle loro funzioni, essendo integrato il requisito della pluralità di persone unicamente da persone estranee alla pubblica amministrazione (ossia dai “civili”), ovvero da persone che, pur rivestendo la qualifica di pubblico ufficiale, siano presenti in quel determinato contesto spazio-temporale non per lo stesso motivo d’ufficio in relazione al quale la condotta oltraggiosa sia posta in essere dall’agente.

Sulla base di tale interpretazione l’oltraggio a pubblico ufficiale può perfezionarsi anche in presenza di altri pubblici ufficiali non destinatari diretti dell’offesa, ma è necessario che si tratti di pubblici ufficiali presenti sul posto non in quanto intenti, non impegnati nel compimento dell’atto d’ufficio che ha generato o nel cui contesto si è realizzata la condotta oltraggiosa.

ATTENZIONE!! Si segnala però il pronunciamento della CASS. PEN., VI, 03/01/24 N° 211, che si mostra particolarmente importante in quanto non condivide il ragionamento che sorregge l’affermazione del suddetto principio, ma non in senso riduttivo, bensì ampliativo delle situazioni in cui il reato può realizzarsi, basandosi su una considerazione “…di carattere dirimente, poiché basata sull’esame del dato normativo testuale. Al di là dell’articolato ragionamento che sorregge l’affermazione del principio qui non condiviso, resta il fatto che la sua applicazione determina l’introduzione nella fattispecie astratta di un elemento di distinzione, rappresentato dalla diversa qualifica soggettiva dei soggetti presenti al fatto oltraggioso (in presenza di più persone), che la legge semplicemente non contempla. …”.

Tradotto: al fine delle verifica del requisito della presenza di più persone, per il configurarsi del reato non si deve andare ad accertare la qualifica delle stesse, se “civili” o “pubblici ufficiali” e, in questo caso, se impegnati nel compimento dello stesso atto/funzione del pubblico ufficiale destinatario dell’oltraggio, questo la norma non lo richiede, basta che vi siano più soggetti presenti al fatto.

Esiste un brocardo latino che recita “ubi lex non distinguit, nec nos distinguere debemus” (quando la legge non distingue, neanche noi possiamo farlo), che tradotto in termini guiridici significa che nella interpretazione di una norma se la legge non pone distinzioni, nessuna distinzione nella sua applicazione può essere operata da chi applica la stessa. Ebbene si può dire che la Suprema Corte abbia fatto uso di tale principio giuridico.

Giovanni Paris

PARERE DEL GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI DEL 11/01/24 N° 2

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Il garante per la Protezione dei dati Personali ha emesso il parere sullo schema di decreto del MIT, di concerto con il Ministro dell’interno, relativo alle modalità di collocazione e uso dei dispositivi o mezzi tecnici di controllo, finalizzati al rilevamento a distanza delle violazioni delle norme di comportamento di cui all’articolo 142 del codice della strada.

PARERE DEL GARANTE DEL 11/01/24 N° 2

Giovanni Paris

PORTO DI MARTELLETTO FRANGIVETRO E ART. 4/2 L. 110/75: CASS. PEN., I, 22/02/24 N° 7864

In giro con un martelletto frangi vetro delle Ferrovie dello Stato.  Denunciato - GenovaQuotidiana

E’ LECITO PORTARE CON SE’ UN MARTELLETTO FRANGIVETRO?

LA NORMATIVA

Art. 4 L. 110/75 “Porto di armi od oggetti atti ad offendere”

“Salve le autorizzazioni previste dal terzo comma dell’articolo 42 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza 18 giugno 1931, numero 773, e successive modificazioni, non possono essere portati, fuori della propria abitazione o delle appartenenze di essa, armi, mazze ferrate o bastoni ferrati, sfollagente, noccoliere, storditori elettrici e altri apparecchi analoghi in grado di erogare una elettrocuzione.

Senza giustificato motivo, non possono portarsi, fuori della propria abitazione o delle appartenenze di essa, bastoni muniti di puntale acuminato, strumenti da punta o da taglio atti ad offendere, mazze, tubi, catene, fionde, bulloni, sfere metalliche, nonché qualsiasi altro strumento non considerato espressamente come arma da punta o da taglio, chiaramente utilizzabile, per le circostanze di tempo e di luogo, per l’offesa alla persona, gli strumenti di cui all’articolo 5, quarto comma, nonché i puntatori laser o oggetti con funzione di puntatori laser, di classe pari o superiore a 3 b, secondo le norme CEI EN 60825- 1, CEI EN 60825- 1/A11, CEI EN 60825- 4.

Il contravventore è punito con l’arresto da uno a tre anni e con l’ammenda da 1.000 euro a 10.000 euro . Nei casi di lieve entità, riferibili al porto dei soli oggetti atti ad offendere, può essere irrogata la sola pena dell’ammenda. La pena è aumentata se il fatto avviene nel corso o in occasione di manifestazioni sportive.”

OMISSIS

Non sono considerate armi ai fini delle disposizioni penali di questo articolo le aste di bandiere, dei cartelli e degli striscioni usate nelle pubbliche manifestazioni e nei cortei, né gli altri oggetti simbolici usati nelle stesse circostanze, salvo che non vengano adoperati come oggetti contundenti.

IL CASO

Un soggetto è stato ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 4/2 L. 110/75 per il porto di un martelletto frangivetro, essendo stato giudicato uno strumento da punta atto a offendere, quindi rientrante nella previsione della norma sopra indicata.

Viene presentato ricorso in Cassazione deducendo la violazione di legge in riferimento all’art. 533 c.p. e all’art. 4/2, L. 110/75. Difetterebbe, innanzitutto, l’elemento materiale del reato, in quanto il martelletto frangivetro non sarebbe strumento intrinsecamente atto ad offendere e difetterebbe, comunque, la prova del suo utilizzo per l’offesa della persona. Inoltre, sarebbe stato valutato in termini meramente probabilistici l’uso pregiudizievole del martelletto, senza indicare gli elementi di fatto da cui desumerlo. In modo illogico, inoltre, è stata desunta l’offensività della condotta dalle condizioni psichiche del ricorrente. Mancherebbe, altresì, ogni motivazione sulla sussistenza del requisito soggettivo della contravvenzione.

LA CASSAZIONE

Si pronuncia in merito CASS. PEN., I, 22/02/24 N° 7864.

In modo chiaro viene affermato che “…Fuori dubbio è la circostanza che il martelletto frangivetro…rientri tra gli strumenti cd. “nominati”, cui fa riferimento la prima parte del secondo comma dell’art. 4, I. n. 110 del 1975, trattandosi di «strumento da punta o taglio atto ad offendere», in quanto idoneo a ferire e, altresì, caratterizzato da particolare maneggevolezza….”.

Inoltre si argomenta che “…Ai fini della punibilità del porto di tali oggetti fuori dai luoghi di pertinenza dell’agente, unica condizione è che la condotta sia realizzata in assenza di un giustificato motivo, intendendosi, per tale, quello determinato da particolari esigenze dell’agente, le quali «siano perfettamente corrispondenti a regole comportamentali lecite relazionate alla natura dell’oggetto, alle modalità di verificazione del fatto, alle condizioni soggettive del portatore, ai luoghi dell’accadimento e alla normale funzione dell’oggetto…”.

Sempre ai fini della punibilità del porto “…Non è invece necessaria la sussistenza di circostanze di tempo e luogo dimostrative del pericolo di offesa alla persona, dal momento che la disposizione in esame sanziona il semplice porto dello strumento idoneo ad offendere in un luogo pubblico, prescindendosi dalla possibilità in atto di un suo uso pregiudizievole. …”.

Viene altresì citata la sentenza della Corte Costituzionle del 10/07/23 n° 139 la quale “…ha dichiarato non fondata, in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, e 27, terzo comma, Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 2, prima parte, della legge n. 110 del 1975, sul rilievo che la distinzione rispetto agli strumenti “innominati” – per i quali la seconda parte del medesimo comma 2, dell’art. 4 cit. richiede, invece, la sussistenza delle dette circostanze – non è irrazionale né arbitraria, avendo il legislatore incluso tra gli strumenti “nominati” quelli che, per le loro caratteristiche, si presentano oggettivamente più pericolosi e strutturalmente prossimi alle armi proprie “bianche”, nonché quelli che, in base all’esperienza, si prestano ad essere impiegati, più facilmente e con maggior frequenza, per l’offesa alla persona…”.

Pertanto il giudice “…con motivazione adeguata e coerente con la previsione normativa, ha correttamente qualificato il martelletto frangivetro…come “strumento da punta”, in quanto dotato di una punta di metallo e perciò senz’altro idoneo ad offendere se usato contro una persona. Con argomentazioni del tutto logiche, ha altresì escluso che vi fosse un giustificato motivo perché…avesse con sé tale strumento, né alcun motivo era stato addotto…”.

Si leggano sull’argomento anche i seguenti articoli:

Giovanni Paris

OCCUPAZIONE DEL DEMANIO MARITTIMO CON UN VEICOLO O CON UNA IMBARCAZIONE E ART. 1161 COD. NAV: CASS. PEN., III, 27/02/24 N° 8347

Auto in spiaggia alle Pergole, la denuncia di MareAmico (VIDEO) -  comunicalo.it

LA OCCUPAZIONE DI UNO SPAZIO DEL DEMANIO MARITTIMO CON UNA IMBARCAZIONE O CON UN VEICOLO COSTITUISCE VIOLAZIONE ALL’ART. 1161 DEL CODICE DELLA NAVIGAZIONE? E, SE SI’, IL FATTO COSTITUISCE REATO O ILLECITO AMMINISTRATIVO?

LA NORMATIVA

Art. 1161 cod. nav.  “Abusiva occupazione di spazio demaniale e inosservanza di limiti alla proprietà privata”

“Chiunque arbitrariamente occupa uno spazio del demanio marittimo o aeronautico o delle zone portuali della navigazione interna, ne impedisce l’uso pubblico o vi fa innovazioni non autorizzate, ovvero non osserva i vincoli cui è assoggettata la proprietà privata nelle zone prossime al demanio marittimo od agli aeroporti, è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda fino a euro 516, sempre che il fatto non costituisca un più grave reato.

Se l’occupazione di cui al primo comma è effettuata con un veicolo, si applica la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 103 a euro 619; in tal caso si può procedere alla immediata rimozione forzata del veicolo in deroga alla procedura di cui all’articolo 54″.

IL CASO

Un soggetto è stato condannato per il reato di cui all’art. 1161 cod. nav. per avere occupato uno specchio d’acqua di un porto-canale, compreso nel demanio marittimo, facendovi stazionare il proprio natante da diporto, ormeggiandolo a paletti in ferro conficcati nel fondo del canale, e assicurandovi l’accesso mediante un pontile costituito da tavole di legno.

Viene presentato ricorso in Cassazione contestando la ritenuta configurabilità del reato di occupazione abusiva di bene demaniale, deducendo che, a norma dell’art. 1161 cod. nav. l’occupazione di area demaniale effettuata da un veicolo implica un illecito amministrativo e non penale e che, secondo la giurisprudenza, tale fattispecie ricorre anche quando si è in presenza di imbarcazione o natante agevolmente rimuovibili.

LA CASSAZIONE

La sentenza della  CASS. PEN., III, 27/02/24 N° 8347  dà atto che “…in giurisprudenza, la questione della configurabilità di un illecito amministrativo invece che penale, quando l’occupazione abusiva del demanio marittimo avviene con imbarcazioni o natanti, ha dato luogo a soluzioni contrastanti. …”.

Difatti “…Secondo una decisione, in tema di occupazione abusiva di spazi demaniali, la sanzione amministrativa prevista dall’art. 1161, comma secondo, cod. nav., può essere irrogata non solo per l’occupazione commessa da mezzi circolanti su strada, ma anche per quella posta in essere da imbarcazioni o natanti con modalità o sistemi non provvisti di stabilità che ne consentano, quindi, una agevole rimozione…”.

Si può registrare però che “…Altre decisioni, invece, affermano che, in tema di occupazione abusiva di spazi demaniali, la sanzione amministrativa prevista nell’art. 1161, comma secondo, cod. nav., non si riferisce ad imbarcazioni o natanti, ma unicamente ai mezzi circolanti su strada, in quanto la diversità di trattamento, rispetto alla previsione penale di cui al comma primo, si giustifica per la maggiore facilità con la quale può essere realizzata la rimozione del veicolo rispetto ai natanti ed alle imbarcazioni in genere, stanti altresì le modalità (gavitelli, corpi morti o impianti fissi) con cui viene normalmente posta in essere la occupazione da parte di questi ultimi…”.

Premesso quanto sopra il collegio afferma che “…la tesi che ritiene configurabile un illecito amministrativo anche in caso di Imbarcazione non può comunque estendersi all’ipotesi di occupazione effettuata mediante l’utilizzo di ulteriori opere abusivamente realizzate, sia pure in funzione ausiliaria all’ormeggio del natante. Questa conclusione discende_ dall’assetto complessivo del sistema sanzionatorio previsto in materia di occupazione abusiva di spazio demaniale, come delineato dall’art. 1161 cod. nav.

Il testo normativo, quindi, detta una disciplina secondo cui: a) l’occupazione di uno spazio demaniale o di una zona portuale della navigazione interna costituisce sempre reato; b) l’unica eccezione a questa regola generale ricorre se tale condotta sia «effettuata con un veicolo».

Di conseguenza, è ragionevole ritenere che, se l’occupazione è effettuata avvalendosi, oltre che di un veicolo, anche di cose fisicamente distinte rispetto ad esso, si è fuori dalla fattispecie di deroga alla disciplina generale….”.

Pertanto consegue che “…In questo ambito penalmente rilevante, ricade anche l’ipotesi in cui, per assicurare la sosta di una imbarcazione, siano utilizzate strutture abusivamente realizzate per consentirne l’ormeggio o per assicurarvi l’accesso: dette strutture, infatti, sono cose ben distinte rispetto al veicolo, e, anzi, implicanti un’occupazione estesa ad uno spazio ulteriore rispetto a quello occupato da quest’ultimo. …”.

Giovanni Paris

PROTRAZIONE DI VIOLAZIONI PER MANCATO RISPETTO DISCO ORARIO O PER MANCATO PAGAMENTO TICKET: CASS. CIV., II, 15/02/24 N° 4187

Parcheggi a pagamento a Oria: servizio sospeso, ma segnaletica "ingannevole"

IN CASO DI SOSTA IN ZONA A “DISCO ORARIO” O IN ZONA A PAGAMENTO, RISPETTIVAMENTE CON SUPERAMENTO DELL’ORARIO DI SOSTA PREVISTO O PER IL QUALE E’ STATA CORRISPOSTA LA TARIFFA, SI PUO’ ELEVARE VERBALE DI ACCERTAMENTO DI VIOLAZIONE PER OGNI “PERIODO” TEMPORALE PREVISTO DAL DISCO ORARIO O DALLA SOSTA A PAGAMENTO? CIOE’ E’ POSSIBILE COMMINARE UNA SANZIONE PER OGNI FRAZIONE TEMPORALE DI SOSTA OLTRE L’ORARIO CONSENTITO?

IN CASO DI AVVENUTA ISTITUZIONE DI AREE DI SOSTA A PAGAMENTO CON ORDINANZA AI SENSI DELL’ART. 4/1 LETT. A) DEL CODICE DELLA STRADA DEL 1959, TALE ORDINANZA DEVE CONSIDERARSI ABROGATA IN CONSIDERAZIONE DEL NUOVO PROCEDIMENTO DI ISTITUZIONE PREVISTO DALL’ART. 7/1 LETT. F) DEL CODICE DELLA STRADA DEL 1992 CHE PREVEDE LA PREVIA DELIBERAZIONE DELLA GIUNTA COMUNALE?

LA NORMATIVA

Art. 7  c.d.s. “Regolamentazione della circolazione nei centri abitati”

“1.  Nei centri abitati i comuni possono, con ordinanza del sindaco:

OMISSIS

f)  stabilire, previa deliberazione della Giunta, aree destinate al parcheggio sulle quali la sosta dei veicoli è subordinata al pagamento di una somma da riscuotere mediante dispositivi di controllo di durata della sosta, anche senza custodia del veicolo, fissando le relative condizioni e tariffe in conformità alle direttive del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le aree urbane;

OMISSIS

15.  Nei casi di sosta vietata, in cui la violazione si prolunghi oltre le ventiquattro ore, la sanzione amministrativa pecuniaria è applicata per ogni periodo di ventiquattro ore, per il quale si protrae la violazione. Se si tratta di sosta limitata o regolamentata, la sanzione amministrativa è del pagamento di una somma da euro 26 ad euro 102 e la sanzione stessa è applicata per ogni periodo per il quale si protrae la violazione.

LA CASSAZIONE

Sulle questioni registriamo il pronunciamento della CASS. CIV., II, 15/02/24 N° 4187.

In ordine alla prima tematica si cita il dettato normativo, riportando che “…Il comma 15 dell’art. 7 del d.lgs. n. 285 del 1992…prevede che «nei casi di sosta vietata, in cui la violazione si prolunghi oltre le ventiquattro ore, la sanzione amministrativa pecuniaria è applicata per ogni periodo di ventiquattro ore, per il quale si protrae la violazione. Se si tratta di sosta limitata o regolamentata, la sanzione amministrativa è del pagamento di una somma da euro 25 ad euro 100 e la sanzione stessa è applicata per ogni periodo per il quale si protrae la violazione». La durata del periodo della sosta limitata (nel tempo) o regolamentata (soggetta a regime tariffario) è stabilita dai regolamenti comunali.

Viene poi riportata la questione di legittimità costituzionale affrontata dalla pronuncia della CORTE COSTITUZIONALE DEL 30/05/18 N° 111, rilevando che la “…pronuncia in questione muove da un’interpretazione (sottoposta al vaglio della Consulta) della norma secondo la quale la nozione di «periodo», in base al quale può essere reiterata la sanzione, coinciderebbe con il limite di durata della sosta predeterminato dall’utente tramite il pagamento della tariffa o con l’esposizione del disco orario: con il risultato di moltiplicare l’importo della sanzione prevista per il numero di ore eccedenti la durata della tariffa pagata tramite ticket; nel caso da cui era originato l’intervento della Corte Costituzionale, infatti, la sosta era limitata ad un’ora, si era protratta per tre ore e all’utente era stata irrogata la sanzione prevista, di euro 25, per tre volte. La Consulta ha scartato tale interpretazione, ritenendo invece, (fornendo quindi una interpretazione costituzionalmente orientata) che il periodo di protrazione della violazione, che consente la reiterazione della sanzione, non si riferisce alla sosta autorizzata per il periodo determinato dal pagamento effettuato dall’utente o indicato nel disco orario esposto, bensì alla protrazione della sosta oltre la fascia di vigenza giornaliera – o infragiornaliera – della sosta, non del disco orario né della regolamentazione tariffaria selezionata dall’utente. Con il risultato che la sanzione per la protrazione del divieto di sosta permanente può essere reiterata ogni ventiquattro ore; quella relativa alla sosta limitata o regolamentata…è irrogabile alla fine di ogni fascia oraria,….”

In relazione alla seconda problematica in maniera lapidaria si afferma che la ordinanza adottata precedentemente al codice della strada dal 1992 e istitutiva delle aree di sosta a pagamento “…non è abrogata per ius superveniens…”.

Giovanni Paris

“PECULATO D’USO” E DENARO / “PUBBLICO UFFICIALE” E RAPPORTO DI PUBBLICO IMPIEGO: CASS. PEN., VI, 27/02/24 N° 8614

IL REATO DI “PECULATO D’USO” PUO’ CONFIGURARSI SE LA CONDOTTA HA PER OGGETTO IL DENARO?

LA QUALIFICA DI “PUBBLICO UFFICIALE” SI POSSIEDE SOLO NEL CASO IN CUI ESISTE UN RAPPORTO DI PUBBLICO IMPIEGO?

LA NORMATIVA

Art. 314 c.p. “Peculato”

“Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio , che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria, è punito con la reclusione da quattro anni a dieci anni e sei mesi.

Si applica la pena della reclusione da sei mesi a tre anni quando il colpevole ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa, e questa, dopo l’uso momentaneo, è stata immediatamente restituita“.

Art. 357 c.p. “Nozione del pubblico ufficiale”

“Agli effetti della legge penale, sono pubblici ufficiali coloro i quali esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa.

Agli stessi effetti è pubblica la funzione amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi e caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi”.

LA CASSAZIONE

La CASS. PEN., VI, 27/02/24 N° 8614 sulla prima questione risponde NEGATIVAMENTE, ricordando come “…in più occasioni la Corte di Cassazione ha chiarito che il peculato d’uso è configurabile solo in relazione a cose di specie e non al denaro, menzionato in modo alternativo solo nel primo comnna dell’art. 314 cod. pen., in quanto la sua natura fungibile non consente – dopo l’uso – la restituzione della stessa cosa, ma solo del “tantundem”, irrilevante ai fini dell’integrazione dell’ipotesi attenuata…”.

Conformi recenti pronunciamenti:

Sulla seconda questione viene indicato l’attuale impianto normativo che disciplina la figura e si risponde sulla necessità o meno della esistenza di un rapporto di pubblico impiego al fine del riconoscimento dello status.

Di seguito i punti essenziali del provvedimento:

  • Si rammenta che “…con la riformulazione degli artt. 357 e 358 cod. pen. ad opera della legge 26 aprile 1990, n. 86, è stato definitivamente positivizzato il superamento della concezione soggettiva delle nozioni di pubblico ufficiale e di incaricato di pubblico servizio, che privilegiava il rapporto di dipendenza dallo Stato o da altro ente pubblico, con l’adozione di una prospettiva funzionale-oggettiva, secondo il criterio della disciplina pubblicistica dell’attività svolta e del suo contenuto. …”.
  • Quello che è necessario accertare “…ai fini dell’assunzione della qualifica di pubblico ufficiale è l’esercizio di una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa. Tale ultima funzione è stata specificamente definita al secondo comma dell’art. 357 cod. pen., introdotto dalla legge 7 febbraio 1992, n. 181, attraverso specifici indici di carattere oggettivo che consentono di delimitare la funzione pubblica, verso l’esterno, da quella privata e, verso l’interno, dalla nozione di pubblico servizio….”.
  • Viene definita “…pubblica la funzione amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico…e da atti autoritativi e caratterizzata, nell’oggetto, dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o, nelle modalità di esercizio, dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi…Come emerge dall’impiego nel testo della norma della disgiuntiva “o”, in luogo della congiunzione “e”, i suddetti criteri normativi di identificazione della pubblica funzione non sono tra loro cumulativi, ma alternativi….”
  • Per quanto sopra deriva che “…Quale diretta conseguenza del criterio oggettivo-funzionale adottato dal legislatore, la qualifica pubblicistica dell’attività prescinde dalla natura dell’ente in cui è inserito il soggetto e dalla natura pubblica dell’impiego. La giurisprudenza di legittimità ha, infatti, da tempo affermato che anche i soggetti inseriti nella struttura organizzativa di una società per azioni possono essere qualificati come pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio, quando l’attività della società sia disciplinata da norme di diritto pubblico e persegua delle finalità pubbliche sia pure con strumenti privatistici. … Rileva l’attività dell’ente e, posto che questa abbia caratteri pubblicistici, quale sia in concreto l’attività compiuta dal soggetto. …”.

Si legga anche il più recente conforme pronunciamento CASS. PEN., VI, 31/01/24 N° 4247.

Giovanni Paris

ISTITUZIONE PROMISCUA AREA DI PARCHEGGIO A PAGAMENTO E A DISCO ORARIO: PARERE MINISTERO TRASPORTI DEL 24/03/10 N° 26863

Monza: ad agosto disco orario sospeso, fuori dal centro a pagamento - Il  Cittadino di Monza e Brianza

Viene formulato il seguente quesito:

E’ possibile la istituzione promiscua di un’area adibita a parcheggio veicoli a pagamento e a disco orario?

LA NORMATIVA

Art. 6 c.d.s.  “Regolamentazione della circolazione fuori dei centri abitati”

“OMISSIS

4.  L’ente proprietario della strada può, con l’ordinanza di cui all’art. 5, comma 3:

OMISSIS

d)  vietare o limitare o subordinare al pagamento di una somma il parcheggio o la sosta dei veicoli;
.
.

Art. 7  c.d.s. “Regolamentazione della circolazione nei centri abitati”

“1.  Nei centri abitati i comuni possono, con ordinanza del sindaco:

OMISSIS

e)  stabilire aree nelle quali è autorizzato il parcheggio dei veicoli;
f)  stabilire, previa deliberazione della Giunta, aree destinate al parcheggio sulle quali la sosta dei veicoli è subordinata al pagamento di una somma da riscuotere mediante dispositivi di controllo di durata della sosta, anche senza custodia del veicolo, fissando le relative condizioni e tariffe in conformità alle direttive del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le aree urbane;
.
OMISSIS”
.

.

IL MINISTERO

Sulla questione il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti dei Trasporti ha formulato il PARERE DEL 24/03/10 N° 26863 con cui si afferma che non appare attuabile l’istituzione promiscua di aree di parcheggio veicoli a pagamento e a disco orario. Infatti gli artt 6 e 7 del Codice della Strada contemplano un concetto di alternatività di aree di parcheggio dove la sosta è subordinata al pagamento di una somma e tra aree dove la sosta è a durata controllata.

Rimane comunque la possibilità di realizzare due aree distinte di parcheggio, anche contigue, dove una potrà essere soggetta ad una regolamentazione temporale, e l’altra condizionata al pagamento.

Giovanni Paris

DIVIETO DI SOSTA PER AUTOCARAVAN IN TUTTO IL TERRITORIO COMUNALE: TAR SICILIA SEZ. CATANIA, 26/02/24 N° 698

E’ LEGITTIMA UNA ORDINANZA CHE PREVEDA IL DIVIETO DI SOSTA ALLE AUTOCARAVAN SU TUTTO IL TERRITORIO COMUNALE?

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LA NORMATIVA

Art. 54 c.d.s. “Autoveicoli”

“OMISSIS

m)  autocaravan: veicoli aventi una speciale carrozzeria ed attrezzati permanentemente per essere adibiti al trasporto e all’alloggio di sette persone al massimo compreso il conducente;

OMISSIS”

Art. 185 c.d.s. “Circolazione e sosta delle auto-caravan”

“1.  I veicoli di cui all’art. 54, comma 1, lettera m), ai fini della circolazione stradale in genere ed agli effetti dei divieti e limitazioni previsti negli articoli 6 e 7, sono soggetti alla stessa disciplina prevista per gli altri veicoli.

2.  La sosta delle auto-caravan, dove consentita, sulla sede stradale non costituisce campeggio, attendamento e simili se l’autoveicolo non poggia sul suolo salvo che con le ruote, non emette deflussi propri, salvo quelli del propulsore meccanico, e non occupa comunque la sede stradale in misura eccedente l’ingombro proprio dell’autoveicolo medesimo.

OMISSIS”

Art. 5 c.d.s.  “Regolamentazione della circolazione in generale”

“1.  Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti può impartire ai prefetti e agli enti proprietari delle strade le direttive per l’applicazione delle norme concernenti la regolamentazione della circolazione sulle strade di cui all’art. 2.

OMISSIS”

Art. 35 c.d.s. “Competenze”

“1.  Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti è competente ad impartire direttive per l’organizzazione della circolazione e della relativa segnaletica stradale, sentito il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio per gli aspetti di sua competenza, su tutte le strade. Stabilisce, inoltre, i criteri per la pianificazione del traffico cui devono attenersi gli enti proprietari delle strade, coordinando questi ultimi nei casi e nei modi previsti dal regolamento e, comunque, ove si renda necessario.

OMISSIS”

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I MINISTERI

Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha assunto una posizione molto chiara con una serie di pareri, con i quali si afferma che sono illegittime le ordinanze che prevedono i divieti di transito e/o di sosta esclusivamente diretti alle autocaravan se questi non sono motivati dalla esistenza di condizioni geometriche o strutturali delle strade.

Di seguito i pareri ministeriali formulati sulla questione:

  • Prot. n. 900 del 22/05/06
  • Prot. n° 993 del 28/06/06
  • Prot. n° 60843 del 12/12/06
  • Prot. n° 63364 del 19/12/06
  • Prot. n° 23975 del 12/03/07
  • Prot. n° 31543 del 02/04/07
  • Prot. n° 48535 del 22/05/07
  • Prot. n° 59453 del 20/06/07
  • Prot. n° 77764 del 09/08/07
  • Prot. n° 50502 del 16/06/08
  • Prot. n° 65235 del 25/06/09
  • Prot. n° 67000 del 06/08/10
  • Prot. n° 3694 del 11/07/11
  • Prot. n° 3695 del 11/07/11

Anche le direttive del Ministero dei Lavori Pubblici n° 6688 del 24/10/00  e n° 777 del 27/04/06  sulla corretta ed uniforme applicazione delle norme del codice della strada in materia di segnaletica e criteri per l’installazione e la manutenzione, rispettivamente al par. 5 punto 1 e par. 7, si sono espresse sull’argomento.

Inoltre il Ministero dell’interno ha emanato specifica Direttiva n° 277 del 15/01/08 , con la quale si fa proprio il ragionamento giuridico espresso dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e dove si sottolinea come in sede di ricorso contro un verbale di accertamento di violazione le Prefetture sono tenute in prima istanza a valutare la legittimità dello ordinanze.

La situazione ha portato altresì il Ministero dei Trasporti a trasmettere all’Anci una specifica nota con la quale si invita l’Associazione a provvedere ad assicurare la massima diffusione della nota prot. n° 31543 del 02/04/07, al fine di consentire ai medesimi enti locali di emanare le ordinanze ovvero adeguare e modificare quelle già in essere, in conformità alle disposizioni sopra dettate, al fine di evitare l’instaurazione di inutili ed onerosi contenziosi amministrativi e giurisdizionali, facendo altresì presente che il Ministero dell’Interno ha già provveduto a recepire la nota in oggetto con la circolare prot. n° 277 del 15/01/08.

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IL CASO

Un comune ha istituito il divieto di sosta alle autocaravan nelle vie cittadine e nelle aree pubbliche dell’intero territorio comunale.

Avverso il provvedimento propone ricorso al giudice amministrativo, indicando una serie di vizi di legittimità, l’Associazione Nazionale Coordinamento Camperisti, che ha tra i suoi scopi quello di “tutelare il diritto di tutti gli utenti in autocaravan a circolare sull’intero territorio nazionale facendo valere il rispetto del Codice della Strada, del relativo regolamento di esecuzione e attuazione, dei decreti e delle direttive ministeriali, in particolare attraverso azioni di contrasto e d’impugnazione, in sede amministrativa o giurisdizionale, dei provvedimenti di regolamentazione della circolazione adottati dagli enti proprietari delle strade di tutto il territorio nazionale che abbiano l’effetto d’impedire o limitare la circolazione delle autocaravan”, oltre che lo scopo di “promuovere le iniziative volte alla concreta applicazione delle norme in materia di circolazione e sosta delle autocaravan”.

Le censure assumono:

Violazione dell’art. 185 del Codice della Strada.

L’ordinanza impugnata non terrebbe conto della distinzione tra sosta e campeggio, stabilita dall’articolo testé evocato, impedendo la sosta per motivi che nulla hanno a che vedere con la circolazione stradale, essendo invece relativi al campeggio, mentre la sosta, anche delle auto-caravan, che appartengono alla stessa categoria M1 delle autovetture (art. 47, comma 2, lett. b), del codice della strada), non necessita né di apposite strutture né di impianti. 

Violazione dell’art. 7 del Codice della Strada.

Rilevato che l’art. 7, comma 1, lett. b), del codice della strada, consente all’ente proprietario di “limitare la circolazione di tutte o di alcune categorie di veicoli per accertate e motivate esigenze di prevenzione degli inquinamenti e di tutela del patrimonio artistico, ambientale e naturale, conformemente alle direttive impartite dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti…”, nel caso de quo, non solo la mera sosta non pregiudicherebbe le esigenze di prevenzione tutelate dalla disposizione in esame, ma, inoltre, il divieto non sarebbe imposto ad una categoria di utenti, bensì a un singolo tipo di veicolo, il tutto in assenza di qualsivoglia riferimento, in seno al provvedimento impugnato, alle direttive in materia. 

Violazione dell’art. 39 del Codice della Strada e dell’art 120 del Reg. Esec. del Codice della Strada. 

La normativa suindicata prevede che il segnale di divieto di sosta possa essere corredato esclusivamente da pannelli integrativi che indicano giorni, ore o eccezioni e non anche la categoria nei cui confronti vige il divieto, posto che comunque, il cartellino integrativo del divieto in parola può riguardare la “categoria” di veicoli e non anche il singolo tipo.  

Inoltre, la dicitura “divieto di campeggio” inserita nel segnale sarebbe estranea sia al codice della strada sia al relativo regolamento.

Difetto di istruttoria. 

Il provvedimento impugnato risulterebbe privo di adeguato apparato motivazionale, atteso che non si comprenderebbe in base a quale attività istruttoria la mera sosta delle autocarovan arrecherebbe presunti pericoli per la salute pubblica, per l’igiene, per il paesaggio, per l’ambiente oltre alla turbativa al decorso e all’igiene urbana. 

Eccesso di potere: utilizzo di norme per fini diversi da quelli tipici e inosservanza di direttive ministeriali.  

Sotto un primo profilo, l’Ente comunale avrebbe fatto un uso distorto del potere poiché, attraverso le limitazioni alla sosta delle auto-caravan, intenderebbe perseguire un risultato estraneo alla circolazione stradale, ossia inibire il fenomeno del campeggio. 

Sotto altro profilo, l’ordinanza impugnata si porrebbe anche in contrasto con le direttive ministeriali (direttiva del Ministro dei lavori pubblici n. 6688 del 24 ottobre 2000 sulla corretta ed uniforme applicazione delle norme del codice della strada in materia di segnaletica e criteri per l’installazione e la manutenzione; direttive del Ministero dei trasporti prot. n. 31543 del 2 aprile 2007 sulla corretta applicazione delle disposizioni del codice della strada in materia di circolazione e sosta delle auto-caravan; direttive del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti prot. n. 381/2011 aventi per oggetto la predisposizione delle ordinanze di regolamentazione della circolazione), cui gli enti proprietari delle strade sono sottoposti per espressa previsione dell’art. 5 comma 1, dell’art. 35, comma 1, e dell’art. 45, comma 2, del codice della strada. 

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LA SENTENZA DEL TAR SICILIA

Per l’organo di giustizia amministrativa adito, TAR SICILIA SEZ. CATANIA, 26/02/24 N° 698, i motivi del ricorso sono fondati.

Infatti “…L’impugnata ordinanza non tiene conto della distinzione tra la sosta (sia delle auto-caravan, sia di qualsiasi altro veicolo), che non necessita di impianti né di attrezzature, ed il campeggio, che non attiene alla circolazione stradale e necessita di apposite aree dedicate e attrezzate, né dell’equiparazione delle auto-caravan agli atri autoveicoli, sancita dall’art. 185, comma 1, del codice della strada. La disposizione dell’art. 54 del codice della strada, dal canto suo, non consente di distinguere le auto-caravan dalle altre categorie di autoveicoli.

In particolare, è ben vero che dell’art. 54, comma 1, del codice della strada – nel definire gli autoveicoli come “veicoli a motore con almeno quattro ruote, esclusi i motoveicoli” – opera una distinzione tra, le autovetture, definite “veicoli destinati al trasporto di persone, aventi al massimo nove posti, compreso quello del conducente”, gli autobus, definiti “veicoli destinati al trasporto di persone equipaggiati con più di nove posti compreso quello del conducente” e le autocaravan, definite “veicoli aventi una speciale carrozzeria ed attrezzati permanentemente per essere adibiti al trasporto e all’alloggio di sette persone al massimo compreso il conducente”.

Tuttavia è altrettanto vero che le autocaravan ai sensi dell’art. 185 del codice della strada sono autoveicoli che – pur tenuto delle loro peculiari caratteristiche – “ai fini della circolazione stradale in genere ed agli effetti dei divieti e limitazioni previsti negli articoli 6 e 7, sono soggetti alla stessa disciplina prevista per gli altri veicoli” (comma 1), con l’ulteriore conseguenza che la sosta delle autocaravan, “dove consentita, sulla sede stradale non costituisce campeggio, attendamento e simili se l’autoveicolo non poggia sul suolo salvo che con le ruote, non emette deflussi propri, salvo quelli del propulsore meccanico, e non occupa comunque la sede stradale in misura eccedente l’ingombro proprio dell’autoveicolo medesimo” (comma 2), fermo restando che, in caso di sosta a pagamento, alle autocaravan si applicano “tariffe maggiorate del 50% rispetto a quelle praticate per le autovetture in analoghi parcheggi della zona” (comma 3) e fermo restando il divieto di “scarico dei residui organici e delle acque chiare e luride su strade ed aree pubbliche al di fuori di appositi impianti di smaltimento igienico-sanitario” (commi 4 e 5). Dunque, con riferimento alla disciplina della sosta delle auto-caravan, una corretta interpretazione delle disposizioni dell’art. 185 induce a ritenere che è ivi prevista l’applicazione di tariffe maggiorate in caso di sosta a pagamento e che non sono consentiti scarichi di alcun genere, mentre non sono previste limitazioni della durata temporale della sosta. …”

In definitiva l’ente “…promiscuamente accomunando il divieto di sosta con il divieto di campeggio abusivo, ha violato l’art. 185 del codice della strada, che disciplina in maniera differente la sosta ed il campeggio delle auto-caravan. …”.

Si legga, in senso conforme, T.R.G.A. TRENTO 04/03/22, N° 52.

Si legga anche la sentenza della CORTE DI CASSAZIONE, VI, 14/10/16 N° 20842, con la quale si conferma la validità di un verbale di accertamento di violazione ad un divieto di sosta e con essa dell’ordinanza di previsione del divieto, in quanto motivata da particolari esigenze di circolazione connesse alle caratteristiche strutturali della strada, non comportante una ingiustificata disparità di trattamento delle autocaravan con altri veicoli.

Giovanni Paris

DISPOSIZIONI IN MATERIA DI CIRCOLAZIONE DI PROVA D.P.R. 229/23 : CIRCOLARE MINISTERO INFRASTRUTTURE E TRASPORTI DEL 28/02/24 N° 5909

Autoriparatori, targa prova: Confartigianato ottiene il via libera dal  Governo

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Il D.P.R. 21/12/23 N° 229 ha recato modifiche al D.P.R. 24/11/01, n° 474 recante il regolamento di semplificazione del procedimento di autorizzazione alla circolazione di prova dei veicoli.

Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha emesso la CIRCOLARE DEL 28/02/24 N° 5909 recante prime indicazioni operative sulle nuove disposizioni in materia di circolazione di prova.

Giovanni Paris