COLTIVAZIONE DI PIANTE CHE PRODUCONO SOSTANZE STUPEFACENTI: CASS. PEN., 17/04/24 N° 16075

Sistema di coltivazione indoor e 8 piante di marijuana nella casa vacanze  non abitata

ESISTONO CASI IN CUI E’ LECITA LA COLTIVAZIONE DI PIANTE PER LA PRODUZIONE DI SOSTANZE STUPEFACENTI?

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LA NORMATIVA

Art. 73  D.P.R. 309/90 “Produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope”

“1.  Chiunque, senza l’autorizzazione di cui all’articolo 17, coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alla tabella I prevista dall’articolo 14, è punito con la reclusione da sei a venti anni e con la multa da euro 26.000 a euro 260.000.

OMISSIS

5.  Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo che, per i mezzi, la modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, è di lieve entità, è punito con le pene della reclusione da sei mesi a cinque anni e della multa da euro 1.032 a euro 10.329. Chiunque commette uno dei fatti previsti dal primo periodo è punito con la pena della reclusione da diciotto mesi a cinque anni e della multa da euro 2.500 a euro 10.329, quando la condotta assume caratteri di non occasionalità.

OMISSIS”

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IL CASO

Un soggetto viene condannato per il reato previsto dall’art. 73/5 D.P.R. 309/90 per avere coltivato all’interno della propria abitazione sei piante di cannabis indica (di altezza ricompresa tra i 5 e i 75 cm,), dalle quali erano ricavabili 60 dosi, e di avere detenuto illegalmente venti grammi di marijuana.

Viene proposto ricorso in Cassazione richiamando la sentenza della Cassazione S.U. del 16/04/20 n° 12348, in ordine alla coltivazione domestica non punibile, secondo la quale non integra il reato di coltivazione, per mancanza di tipicità, una condotta di coltivazione che, in assenza di significativi indici di un inserimento nel mercato illegale, denoti un nesso di immediatezza oggettiva con la destinazione esclusiva all’uso personale, in quanto svolta in forma domestica, utilizzando tecniche rudimentali e uno scarso numero di piante.

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LA SENTENZA

Risponde CASS. PEN., 17/04/24 N° 16075 la quale subito rileva che “…Il reato di coltivazione di piante, dalle quali è possibile trarre sostanze stupefacenti è stato oggetto di contrasto nella giurisprudenza di questa Corte, tant’è che le Sezioni unite sono state chiamate più volte a pronunciarsi su tale fattispecie. All’esito di un articolato percorso interpretativo, il più recente e autorevole approdo della giurisprudenza è nel senso di ritenere che il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo estraibile nell’immediatezza, essendo sufficienti la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza ad effetto stupefacente. Tuttavia, non integra il reato di coltivazione di stupefacenti, per mancanza di tipicità, una condotta di coltivazione che, in assenza di significativi indici di un inserimento nel mercato illegale, denoti un nesso di immediatezza oggettiva con la destinazione esclusiva all’uso personale, in quanto svolta in forma domestica, utilizzando tecniche rudimentali e uno scarso numero di piante, da cui ricavare un modestissimo quantitativo di prodotto. …”,

dando atto però che “…La giurisprudenza successiva ha dato letture del suddetto principio non sempre conformi. Significativo, in tal senso, che si sia ritenuto di non poter ricondursi alla nozione di coltivazione domestica non punibile la messa a coltura di undici piantine di marjuana, non potendosi ritenere che la condotta riguardi uno scarso numero di piante, né che sia ricavabile un modestissimo quantitativo di stupefacente, risultando di per sé insufficiente la sola intenzione di destinare la coltivazione alle esigenze di consumo personale... In senso contrario, tuttavia, è stato anche affermato che integra una coltivazione domestica non punibile messa a coltura di undici piantine di marijuana, collocate in vasi all’interno di un’abitazione, senza la predisposizione di accorgimenti, come impianti di irrigazione e/o di illuminazione, finalizzati a rafforzare la produzione, le quali, in relazione al grado di sviluppo raggiunto, avrebbero consentito l’estrazione di un quantitativo minimo di sostanze stupefacente ragionevolmente destinata all’uso personale dell’imputato. …”.

La Corte conclude che “…Da una ricognizione dell’ampia giurisprudenza della Corte in materia, risulta che l’inoffensività della condotta è stata ritenuta:

1) a fronte del fatto che l’agente fosse un assuntore abituale;

2) che non vi fossero elementi idonei a ritenere la destinazione alla cessione a terzi;

3) che la coltivazione avesse ad oggetto un numero limitato di piante e fosse svolta senza l’adozione di alcuna particolare tecnica atta ad ottenere un quantitativo apprezzabile di stupefacente. …”.

Pertanto, per il caso trattato, “…Applicando tali criteri…non può che ritenersi l’inoffensività della condotta, posto che è stato riconosciuto l’uso personale della sostanza rinvenuta, non vi sono elementi idonei a sostenere una destinazione anche a terzi del prodotto della coltivazione e, soprattutto, questa aveva ad oggetto un numero limitatissimo di piante, coltivate in maniera del tutto rudimentale, mediante il semplice invaso e collocazione nel giardino dell’abitazione. …”.

Giovanni Paris

PORTO DI TAGLIERINO E ART. 4/2 L. 110/75: CASS. PEN., I, 19/04/24 N° 16494 – ARMI ED OGGETTI ATTI AD OFFENDERE: DIRETTIVA PROCURA DI PARMA DEL 29/01/24 N° 6

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E’ LECITO PORTARE CON SE’ UN TAGLIERINO?

LA NORMATIVA

Art. 4 L. 110/75 “Porto di armi od oggetti atti ad offendere”

“Salve le autorizzazioni previste dal terzo comma dell’articolo 42 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza 18 giugno 1931, numero 773, e successive modificazioni, non possono essere portati, fuori della propria abitazione o delle appartenenze di essa, armi, mazze ferrate o bastoni ferrati, sfollagente, noccoliere, storditori elettrici e altri apparecchi analoghi in grado di erogare una elettrocuzione.

Senza giustificato motivo, non possono portarsi, fuori della propria abitazione o delle appartenenze di essa, bastoni muniti di puntale acuminato, strumenti da punta o da taglio atti ad offendere, mazze, tubi, catene, fionde, bulloni, sfere metalliche, nonché qualsiasi altro strumento non considerato espressamente come arma da punta o da taglio, chiaramente utilizzabile, per le circostanze di tempo e di luogo, per l’offesa alla persona, gli strumenti di cui all’articolo 5, quarto comma, nonché i puntatori laser o oggetti con funzione di puntatori laser, di classe pari o superiore a 3 b, secondo le norme CEI EN 60825- 1, CEI EN 60825- 1/A11, CEI EN 60825- 4.

Il contravventore è punito con l’arresto da uno a tre anni e con l’ammenda da 1.000 euro a 10.000 euro . Nei casi di lieve entità, riferibili al porto dei soli oggetti atti ad offendere, può essere irrogata la sola pena dell’ammenda. La pena è aumentata se il fatto avviene nel corso o in occasione di manifestazioni sportive.”

OMISSIS

Non sono considerate armi ai fini delle disposizioni penali di questo articolo le aste di bandiere, dei cartelli e degli striscioni usate nelle pubbliche manifestazioni e nei cortei, né gli altri oggetti simbolici usati nelle stesse circostanze, salvo che non vengano adoperati come oggetti contundenti.

IL CASO

Un soggetto è stato condannato per il reato di cui all’art. 4/3 L. 110/75 per il possesso di un taglierino, il quale non può essere qualificato come uno strumento di lavoro.

Viene presentato ricorso in Cassazione ribadendo la qualificazione del taglierino detenuto come uno strumento di lavoro, che pertanto costituisce un’arma solo ove provato che sia concretamente utilizzabile per l’offesa alla persona. E’ errato pertanto affermare che la potenzialità offensiva dell’arma si desuma solamente dalle sue caratteristiche, senza accertare, perciò, gli ulteriori requisiti chiesti dalla norma.

LA SENTENZA

La CASS. PEN., I, 19/04/24 N° 16494 sulla questione ricorda come “…La norma di cui all’art. 4 legge n. 110/1975 distingue, in effetti, tra le armi improprie ma la cui destinazione naturale è l’offesa alla persona, che sono elencate nel primo comma e il cui porto è sempre vietato, e gli oggetti non destinati per loro natura all’offesa alla persona, descritti nel secondo comma, il cui porto costituisce reato solo se avviene senza giustificato motivo. Gli oggetti indicati nel secondo comma sono a loro volta distinti tra quelli elencati nella sua prima parte, come le armi da punta o da taglio e gli oggetti comunque atti ad offendere, che sono equiparabili alle armi improprie, e gli strumenti non considerati espressamente da punta o da taglio, indicati in modo generico nella seconda parte del comma, il cui porto costituisce reato se, oltre ad essere privo di un giustificato motivo, avviene in circostanze di tempo e luogo tali da renderli chiaramente utilizzabili per l’offesa alla persona. …”.

Affermare che vi è “…la necessità di accertare l’utilizzabilità in concreto per l’offesa alla persona affinché uno di questi strumenti possa essere considerato un’arma il cui porto costituisce reato, è corretta, ma solo se l’oggetto portato rientra, per le sue caratteristiche, tra gli strumenti non considerati espressamente come arma da punta o da taglio. La sentenza… ha qualificato il taglierino come uno «strumento da punta e da taglio atto ad offendere»: tale valutazione non è manifestamente illogica,…l’oggetto in questione era dotato di una lama affilata e tagliente, ed era astrattamente idoneo per l’offesa alla persona, potendo essere utilizzato per minacciare e ledere fisicamente. …”.

Pertanto è stata applicata “…correttamente la norma, come interpretata dalla giurisprudenza di legittimità… ritenendo che tale oggetto fosse compreso tra quelli elencati nella prima parte dell’art. 4, comma 2, legge n. 110/1975, per i quali il porto costituisce reato per il solo fatto di avvenire in assenza di un giustificato motivo, senza che debba anche accertarsi la loro concreta utilizzabilità per l’offesa alla persona, essendo tale utilizzabilità già valutata, in astratto, dal legislatore…la potenzialità offensiva dell’arma deve essere…desunta dalle sue caratteristiche,…non è necessario accertare se essa fosse chiaramente utilizzabile, nel contesto del suo rinvenimento, per l’offesa alla persona, essendo tale ultimo requisito richiesto solo nel caso del porto di strumenti non considerati “da punta o da taglio”. …”.

Infine si conclude che “…La valutazione dell’oggetto come uno strumento di lavoro, quale il taglierino può essere, è legata non alla sua qualificazione come arma impropria o meno, ma alla sussistenza di un giustificato motivo per il suo porto; secondo la Corte di Cassazione, infatti, «È legittimo il porto degli oggetti che, pur potendo servire occasionalmente all’offesa, abbiano una diversa destinazione come strumenti di lavoro, se esso è in rapporto di causalità con l’attività lavorativa. (Nella specie, la Corte ha escluso che il porto in autovettura di un’accetta potesse essere giustificato con la sola circostanza che l’imputato svolgesse l’attività di falegname, senza che fosse indicata un’esigenza di specifico utilizzo)…”.

DIRETTIVA DELLA PROCURA DI PARMA

L'associazione carabinieri a supporto degli uffici della Procura di Parma -  la Repubblica

La Procura della Repubblica di Parma ha emesso la Direttiva del 26/01/24 n° 6-“Armi ed oggetti atti ad offendere – Linee guida operative” nella quale si trattano i seguenti temi:

  • gli oggetti atti ad offendere,
  • le armi proprie ed improprie,
  • le armi bianche,
  • il reato di cui all’art. 4 L. 110/1975,
  • il nuovo reato di cui all’art.  4-bis L. 110/1975,
  • il reato di porto di armi per cui non è ammessa licenza,
  • gli aspetti procedurali del reato di cui all’art. 4-bis L. 110/1975.

Giovanni Paris

SPETTACOLI DAL VIVO: CIRCOLARE MINISTERO DELL’INTERNO N° 15015 DEL 07/05/24

 

 

 

Operativo 7 giorni su 7: è la settimana Top del Jolly

Si segnala la emissione da parte del Ministero dell’Interno della  Circolare n° 15015 del 07/05/24 “Regime di semplificazione degli spettacoli dal vivo di cui all’art. 38-bis del D.L. n. 76/2020, convertito con modificazioni dalla L. n. 120/2020 e successive modificazioni – Indicazioni” con la quale il dicastero fornisce una serie di indicazioni interpretative aventi ad oggetto il regime semplificato disciplinante gli spettacoli dal vivo come previsto dall’art. 38-bis del D.L. 76/20, al fine di individuare al meglio il campo di applicazione della norma, definendo in tal modo le attività degli organi di controllo.

Giovanni Paris

DIFFERENZA TRA RAPINA E FURTO CON STRAPPO: CASS. PEN., II, 16/04/24 N° 15919

Furto con strappo in pieno centro, centra il colpo ma sbaglia via di fuga

QUALE DIFFERENZA ESISTE TRA IL REATO DI RAPINA E IL REATO DI FURTO CON STRAPPO?

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LA NORMATIVA

Art. 628 c.p. “Rapina”

“Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, mediante violenza alla persona o minaccia, s’impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da euro 927 a euro 2.500.

Alla stessa pena soggiace chi adopera violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione, per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta, o per procurare a sé o ad altri l’impunità.

OMISSIS”

Art. 624-bis c.p. “Furto in abitazione e furto con strappo”

“Chiunque si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, mediante introduzione in un edificio o in altro luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora o nelle pertinenze di essa, è punito con la reclusione da quattro a sette anni e con la multa da euro 927 a euro 1.500.

Alla stessa pena di cui al primo comma soggiace chi si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, strappandola di mano o di dosso alla persona.

OMISSIS”

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IL CASO

Un soggetto viene condannato per il reato di reato di rapina pluriaggravata. Viene proposto ricorso in Cassazione deducendo l’errore in ordine alla qualificazione giuridica della condotta ai sensi dell’articolo 628 cod. pen. anziché quale reato di furto con strappo ex art. 624 bis cod. pen. non essendo stato realizzzato il contestato strattonamento e una qualsivoglia collutazione, poiché era stata la persona offesa ad aggrapparsi alla borsa dell’imputato per evitare che quest’ultimo si allontanasse dopo avere sottratto il portafoglio.

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LA SENTENZA

La sentenza della CASS. PEN., II, 16/04/24 N° 15919 stabilisce che, in relazione alla qualificazione giuridica della condotta, è stata correttamente applicata “…la consolidata giurisprudenza in tema, secondo cui qualunque forma di energia fisica esercitata sulla persona integra il delitto di rapina e non quello meno grave di furto con strappo. Nel caso di specie la violenza è stata esercitata…prima per vincere la resistenza della vittima e appropriarsi del portafogli e poi per cercare di sottrarsi alla condotta della persona offesa che tentava di trattenerla dalla borsa, per evitare che fuggisse. …”

e che inoltre non “…può sussistere alcun problema in merito alla qualificazione giuridica della rapina da propria ad impropria poiché tale diversa qualificazione non incide in alcun modo sul giudizio di colpevolezza e sulla identità della contestazione. …”.

Giovanni Paris

DISPOSIZIONI IN MATERIA DI CIRCOLAZIONE DI PROVA D.P.R. 229/23 : CIRCOLARE MINISTERO INFRASTRUTTURE E TRASPORTI DEL 02/05/24 N° 12666

Autoriparatori, targa prova: Confartigianato ottiene il via libera dal  Governo

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Il D.P.R. 21/12/23 N° 229 ha apportato modifiche al D.P.R. 24/11/01, n° 474 recante il regolamento di semplificazione del procedimento di autorizzazione alla circolazione di prova dei veicoli.

Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti aveva emesso la CIRCOLARE DEL 28/02/24 N° 5909 recante prime indicazioni operative sulle nuove disposizioni in materia di circolazione di prova.

Si segnala la emissione della ulteriore CIRCOLARE DEL 02/05/24 N° 12666.

Giovanni Paris

FUGA CON VEICOLO, VIOLAZIONE ALL’ART. 192 C.D.S. O RESISTENZA EX ART. 337 C.P.: CASS. PEN., VI, 12/04/24 N° 15389

Non si ferma all'alt della polizia locale, si dà alla fuga e ferisce un  agente: arrestato

QUANDO IL MANCATO FERMARSI ALL’INVITO DA PARTE DI ORGANI DI POLIZIA STRADALE (FUGA) NON COSTITUISCE SEMPLICEMENTE VIOLAZIONE ALL’ART. 192 C.D.S., MA CONFIGURA IL REATO DI RESISTENZA A PUBBLICO UFFICIALE EX ART. 337 C.P.?

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LA NORMATIVA

Art. 192 c.d.s. “Obblighi verso funzionari, ufficiali e agenti”

“1.  Coloro che circolano sulle strade sono tenuti a fermarsi all’invito dei funzionari, ufficiali ed agenti ai quali spetta l’espletamento dei servizi di polizia stradale, quando siano in uniforme o muniti dell’apposito segnale distintivo.

omissis

6.  Chiunque viola gli obblighi di cui ai commi 1, …………. è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 87 ad euro 344.

omissis”

Art. 337 c.p. “Resistenza a un pubblico ufficiale”

“Chiunque usa violenza o minaccia per opporsi a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio, mentre compie un atto di ufficio o di servizio, o a coloro che, richiesti, gli prestano assistenza, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.”

Art. 9/1 L.689/81 “Principio di specialità”

“Quando uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, ovvero da una pluralità di disposizioni che prevedono sanzioni amministrative, si applica la disposizione speciale”.

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IL CASO

Un soggetto è stato condannato per il reato previsto dall’art. 337 c.p. in quanto, all’esito di un controllo di polizia, ometteva di ottemperare all’intimazione di fermarsi dei militari, usava violenza nei confronti dei citati pubblici ufficiali dandosi alla fuga per il centro cittadino a velocità elevata e pericolosa per gli utenti della strada e, raggiunto dopo un lungo inseguimento, tentava di divincolarsi dalla presa dei militari operata nei suoi confronti. E’ stata ritenuta integrata la fattispecie contestata di resistenza a pubblico ufficiale rilevando come la fuga avesse posto in pericolo gli utenti della strada.

Viene presentato ricorso in Cassazione affermando che la sentenza risulta carente in punto di individuazione dell’elemento oggettivo del reato in quanto il soggetto si è limitato a fuggire e a tenere una condotta di mera resistenza passiva, come tale priva dei necessari connotati di violenza e minaccia, inidonea ad ostacolare i pubblici ufficiali. Lo stesso si limitava a non ottemperare all’ordine di fermarsi ricevuto da parte dell’organo di polizia e ad accelerare alla loro vista, senza porre in essere condotte violente o minacciose.

Pertanto i fatti dovevano essere qualificati come illecito amministrativo previsto dall’art. 192 del Codice della Strada, tenuto conto che la condotta del ricorrente era consistita nel solo omettere di arrestare la marcia del veicolo sul quale viaggiava.

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LA CASSAZIONE

La sentenza della CASS. PEN., VI, 12/04/24 N° 15389 sottolinea come il giudice di appello  abbia correttamente rilevato “…come quella del ricorrente avesse integrato, non un mero inadempimento dell’ordine di arrestare la marcia o una resistenza passiva, quanto, piuttosto, una condotta oppositiva violenta. …”,

valorizzando la condotta de soggetto “…che intraprendeva una fuga spericolata per il centro cittadino con modalità tali da mettere in pericolo gli utenti della strada e proprio per detta ragione è stato escluso che la condotta potesse integrare l’illecito amministrativo ex art. 192 Codice della Strada, norma che sanziona la condotta che si risolve nella mera disobbedienza all’ordine di fermarsi impartito dal pubblico ufficiale. …”

Inoltre si osserva come dalla parte della difesa si tenta di “…accreditare una lettura riduttiva dell’agire…attraverso un non consentito frazionamento della complessiva condotta adeguatamente apprezzata dai Giudici di merito che hanno osservato, così smentendo la lettura delle risultanze operate in sede di ricorso – secondo cui il comportamento del ricorrente nei confronti dei pubblici ufficiali non fosse pericoloso e realizzasse una mera resistenza passiva -, che dopo l’intimazione di fermarsi rivoltagli dal personale della pattuglia…, percorreva a velocità sostenuta le vie del centro cittadino in pieno pomeriggio e con il manto stradale viscido per la pioggia; è stato, pertanto, palesato quale fosse il pericolo determinato nei confronti degli utenti della strada e degli inseguitori che riuscivano a raggiungere il ricorrente, nel frattempo fuggito a piedi, solo perché scivolava. …”.

Nessuna valenza deve essere assegnata “…alla sola disobbedienza dell’intimazione di arrestare la guida, in ordine alla quale si evoca non pertinente giurisprudenza di legittimità allorché si realizza una mera fuga o omessa osservanza della intimazione di fermarsi, profili che non risultano pertinenti alla luce del valorizzato differente e determinante aspetto connesso al pericolo che ne è derivato per i pubblici ufficiali. …”.

Si legga anche l’importante precedente giurisprudenziale, Cass. Pen., VI, 16/02/23 n° 6700, la quale ricorda il “…consolidato orientamento interpretativo della giurisprudenza di legittimità secondo il quale in tema di resistenza a pubblico ufficiale, integra l’elemento materiale della violenza la condotta del soggetto che, per sfuggire all’intervento delle forze dell’ordine, si dia alla fuga, alla guida di un’autovettura, ponendo deliberatamente in pericolo, con una condotta di guida pericolosa, l’incolumità personale degli altri utenti della strada…”

e afferma che NON è applicabile il principio giuridico espresso dall’art. 9/1 della L. 689/81 “…che nel prescrivere che « Quando uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, ovvero da una pluralità di disposizioni che prevedono sanzioni amministrative, si applica la disposizione speciale», richiede che le norme in concorso abbiano ad oggetto una medesima condotta: occorre, dunque, l’ “idem factum”, tale non potendosi all’evidenza considerare quello integrante gli estremi di una specifica violenza diretta ad ostacolare il compimento di un atto dell’ufficio da parte di un pubblico ufficiale o di un incaricato di un pubblico servizio, rispetto alle mere condotte di guida di una vettura senza il rispetto dei limiti di velocità, dei segnali stradali e della intimazioni dei carabinieri, costituenti altrettanti illeciti amministrativi previsti da norme del codice della strada che, non contenendo gli stessi elementi costitutivi dell’anzidetto reato, più ulteriori requisiti specializzanti, non possono di certo dirsi speciali rispetto alla disposizione dettata dall’art. 337 cod. pen. …”.

Giovanni Paris

DISPOSIZIONI PER LA TUTELA DELLA SICUREZZA DEL PERSONALE SCOLASTICO – L. 04/03/24 N° 25: DIRETTIVE PROCURA PARMA DEL 22/03/24 N° 11 E DEL 27/03/24 N° 12

Conegliano. Prof umiliato da bulli e cacciato dalla classe. Video ripreso  con il cellulare. Il docente è morto 3 mesi fa - Positanonews

Si segnalano due direttive della Procura della Repubblica di Parma sulla L. 04/03/24 n° 25 “Modifiche agli articoli 61, 336 e 341-bis del codice penale e altre disposizioni per la tutela della sicurezza del personale scolastico” che mira a tutelare la sicurezza del personale scolastico a fronte di sempre più frequenti episodi di violenza nei confronti dei docenti.

Le direttive affrontano diversi argomenti:

  • inquadramento giuridico del  personale scolastico: pubblico ufficiale ed  incaricato di  pubblico servizio;
  • notizie di reato emerse in ambito scolastico;
  • obbligo di denunzia in capo al personale scolastico (art. 331 c.p.p.);
  • rapporti tra Autorità Giudiziaria ed Autorità Scolastica dopo Ia denuncia,

fornendo altresì linee guida operative per la polizia giudiziaria.

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Si riporta la L. 04/03/24 n° 25 “Modifiche agli articoli 61, 336 e 341-bis del codice penale e altre disposizioni per la tutela della sicurezza del personale scolastico”.

La normativa prevede:

  • l’istituzione di un apposito osservatorio nazionale,
  • la promozione di informazione,
  • l’istituzione della Giornata nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti del personale scolastico individuata il 15 dicembre di ogni anno.

Inoltre è stato previsto un intervento modificativo/integratico al codice penale, precisamente con l’aggiunta di:

  • una circostanza aggravante all’art. 61 c.p. “Circostanze aggravanti comuni”;
  • una aggravante all’art. 336 c.p. “Violenza o minaccia a un pubblico ufficiale”;
  • una aggravante all’art. 341-bis c.p. “Oltraggio a pubblico ufficiale”.

Giovanni Paris

ACCATTONAGGIO MOLESTO – ART. 669-BIS C.P. E TRUFFA ART. 640 C.P.: CASS. PEN., II, 15/01/24 N° 1740

QUANDO SI CONFIGURA IL REATO DI ACCATTONAGGIO MOLESTO REALIZZATO CON MEZZI FRAUDOLENTI (ART. 669-BIS C.P.) E QUANDO INVECE IL REATO DI TRUFFA (ART. 640 C.P.)?

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LA NORMATIVA

Art. 669-bis c.p. Esercizio molesto dell’accattonaggio (Articolo inserito dall’art. 21-quater, comma 1, D.L. 113/18)

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque esercita l’accattonaggio con modalità vessatorie o simulando deformità o malattie o attraverso il ricorso a mezzi fraudolenti per destare l’altrui pietà è punito con la pena dell’arresto da tre a sei mesi e con l’ammenda da euro 3.000 a euro 6.000. E’ sempre disposto il sequestro delle cose che sono servite o sono state destinate a commettere l’illecito o che ne costituiscono il provento.

Art. 670 c.p. Mendicità (Articolo abrogato dall’art. 18 della L. 205/99)

Chiunque mendica in luogo pubblico o aperto al pubblico è punito con l’arresto fino a tre mesi. (La Corte Costituzionale con sentenza n° 519/95 aveva dichiarato l’illegittimità del primo comma).

La pena è dell’arresto da uno a sei mesi se il fatto è compiuto in modo ripugnante o vessatorio, ovvero simulando deformità o malattie, o adoperando altri mezzi fraudolenti per destare l’altrui pietà. (c.d. accattonaggio molesto).

Art. 640 c.p. Truffa

Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 51 a euro 1.032.

La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 309 a euro 1.549:

1. se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o dell’Unione europea o col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare;

2. se il fatto è commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario o l’erroneo convincimento di dovere eseguire un ordine dell’autorità;

2-bis. se il fatto è commesso in presenza della circostanza di cui all’articolo 61, numero 5).

Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze previste dal capoverso precedente.

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IL CASO

Un soggetto viene condannato per il reato di truffa in quanto aveva avvicinato due ragazze quattordicenni e, riferendo loro false notizie sul proprio stato, le aveva indotte in errore facendosi consegnare somme di denaro, procurandosi un ingiusto profitto di ventidue euro dopo averle ingannate circa l’entità della offerta da trattenere.

Viene proposto ricorso in Cassazione adducendo che il fatto va qualificato nella contravvenzione prevista dall’art. 669-bis cod. pen.: la induzione nelle vittime della falsa convinzione di adempiere a un dovere di solidarietà integra pacificamente una delle tre modalità con le quali può essere commesso
l’accattonaggio e cioè ricorrendo, come nel caso di specie, al mezzo fraudolento per destare l’altrui pietà.

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L’ACCATTONAGGIO MOLESTO

MENDICITA’ CONSENTITA: è possibile solo la mendicità non invasiva, senza arrecare disturbo, in maniera composta e realizzata con evidente imbarazzo, è vietata la mendicità invasiva , cioè attuata in maniera da suscitare avversione o senso di disgusto.

La solidarietà deve essere spontanea e non turbata, non “inquinata”, non “coartata” o “estorta”, o suscitata in maniera “fraudolenta”.

CONCETTO DI ACCATTONAGGIO/MENDICARE: chiedere danaro o altra utilità economica a titolo di carità, in qualsiasi forma e con qualunque pretesto, eè indifferente che la richiesta sia esplicita o implicita, che risulti dalle parole o dai gesti o anche dal semplice atteggiamento supplichevole.

ELEMOSINA: l’atto gratuito di una donazione principalmente in denaro verso una persona bisognosa.

AMBITO APPLICAZIONE ART. 669-BIS C.P.: diversamente dal vecchio art. 670 c.p. il quale prevedeva che il fatto dovesse svolgersi in luogo pubblico o aperto al pubblico ai fini del configurarsi del reato e quindi della sua perseguibilità, l’art. 669-bis c.p. non fa nessun riferimento al luogo in cui l’accattonaggio si svolga con le modalità vietate, quindi il reato si configura anche se viene realizzato in un luogo privato, ad esempio una abitazione o un condominio.

CONCETTO DI SIMULARE DEFORMITA’ O MALATTIE: fare apparire la mancanza o l’impossibilità/difficoltà nell’uso di arti o fare apparire esistente una qualsiasi malattia fisica o psichica.

CONCETTO DI VESSATORIO: comportamento idoneo a procurare fastidio o molestia, arreca disturbo in quanto esercitato con insistenza.

CONCETTO DI MEZZI FRAUDOLENTI: piangere o narrare sventure mai capitate (senza trasmodare nella truffa).

E’ scomparso il riferimento alla modalità ripugnante prevista invece nell’art. 670 c.p.

CONCETTO DI RIPUGNANTE: comportamento che suscita una viva avversione o senso di disgusto (es. mostrare cicatrici o deformità).

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LA SENTENZA

Risponde alla domanda CASS. PEN., II, 15/01/24 N° 1740 ritenendo per il caso trattato realizzato il reato di truffa, affermando …la sussistenza degli artifizi e raggiri tipici della truffa, in conformità a quanto osservato in una recentissima pronuncia…particolarmente puntuale sul tema, secondo la quale l’artificio «può essere definito come quell’espediente a mezzo del quale l’agente alterando la realtà esterna, crea nella vittima una falsa rappresentazione della medesima traendolo in inganno: quindi, il classico comportamento attivo (la cd. mise en scène)», mentre il raggiro «indica – secondo il più autorevole dizionario della Lingua Italiana – quel comportamento, per lo più di natura verbale, tenuto nei confronti di un determinato soggetto e ispirato ad astuzia o ingegnosità e allo sfruttamento dell’altrui ingenuità o buona fede, che determina nel destinatario un’erronea rappresentazione della realtà, lo scopo di tale comportamento essendo normalmente quello di indurre il destinatario a fare, con proprio danno e con indebito vantaggio della controparte o di un terzo, qualcosa che egli altrimenti non farebbe nello stesso modo»…”.

Per la vicenda esaminata “…l’imputato non solo rappresentò falsamente la propria situazione disagiata, sì da muovere a compassione le giovani vittime (artifizio), ma si fece anche consegnare più banconote, con la promessa di dare il resto, che invece veniva trattenuto…limitandosi a restituire la prima banconota di minor valore (raggiro), cosicché le ragazze, “indotte in errore prima sulla causa della liberalità loro richiesta sì da maturare il convincimento di adempiere ad un dovere di solidarietà, poi sulla possibilità di ottenere il resto a fronte della maggior somma versata, si determinavano a consegnare il denaro richiesto…in misura maggiore rispetto a quella destinata all’offerta”…”

La Corte inoltre intende rimarcare che “…nell’art. 669-bis cod. pen., che prevede un reato contro l’ordine pubblico e la tranquillità pubblica, è presente una clausola di sussidiarietà («Salvo che il fatto costituisca più grave reato»), operante nel caso di specie, in quanto con il mezzo fraudolento l’imputato si è poi procurato un profitto cagionando un danno patrimoniale alle persone offese. ...”

Giovanni Paris

NECESSITA’ DI OMOLOGAZIONE O APPROVAZIONE DEL MISURATORE ELETTRONICO DELLA VELOCITA’: CASS. CIV., II, 18/04/24 N° 10505

I MISURATORI ELETTRONICI DI VELOCITA’ DEVONO ESSERE OMOLOGATI O APPROVATI?

LA NORMATIVA

Art. 142 c.d.s. Limiti di velocità

“OMISSIS

6.  Per la determinazione dell’osservanza dei limiti di velocità sono considerate fonti di prova le risultanze di apparecchiature debitamente omologate, anche per il calcolo della velocità media di percorrenza su tratti determinati, nonché le registrazioni del cronotachigrafo e i documenti relativi ai percorsi autostradali, come precisato dal regolamento

OMISSIS”

IL CASO

Un comune ha visto annullato un verbale di accertamento di violazione all’art. 142 c.d.s. in quanto eseguito con apparecchiatura elettronica senza che la stessa fosse stata preventivamente omologata ai sensi di legge, non risultando rilevante allo scopo la mera approvazione preventiva di tale mezzo di rilevazione, siccome non equipollente all’omologazione ministeriale, posto che quest’ultima autorizza la riproduzione in serie del prototipo di un apparecchio testato in laboratorio, mentre la semplice approvazione è riconducibile ad un procedimento di tipo semplificato che non richiede la comparazione del prototipo con caratteristiche ritenute fondamentali o previste da particolari previsioni regolamentari.

Non sono stati pertanto ritenuti equivalenti i procedimenti di approvazione e di omologazione al fine di considerare legittimo l’accertamento della violazione di cui all’art. 142 c.d.s. sul superamento dei limiti di velocità eseguito con apparecchio non omologato ma assoggettato solo a regolare approvazione.

Viene proposto ricorso in Cassazione sostenendo che il disposto dell’art. 142/6 c.d.s., pur discorrendo della necessità che lo strumento di misurazione elettronico della velocità debba essere “debitamente omologato”, non specifica in cosa consista tale operazione, dovendo, perciò, desumersene il contenuto sulla scorta del coordinamento sistematico di altre disposizioni normative di riferimento, e, specificamente, di quelle di cui agli artt. 45/6 e 201/1-ter, c.d.s., oltre che di quella prevista dall’art. 4/3 D.L. 121/02, le quali prescrivono indifferentemente l’approvazione o l’omologazione.
Tale risultato interpretativo sarebbe avvalorato dal testo dell’art. 192/2 del D.P.R. 495/92, il quale prevede che il prototipo di mezzi tecnici per l’accertamento ed il rilevamento automatico delle violazioni viene omologato qualora se ne verifichi la rispondenza alle prescrizioni stabilite nello stesso testo normativo, mentre in assenza di prescrizioni il prototipo viene approvato seguendo, per quanto possibile, il procedimento dettato per l’omologazione. Ad analoga conclusione dovrebbe giungersi anche considerando quanto sancito nel parere del Ministero dei Trasporti del 22/03/07, nella nota del 31/05/17 dello stesso Ministero e nella circolare n° 8176/20 del Ministero delle infrastrutture e dei Trasporti, alla stregua dei quali i termini “approvazione” e di “omologazione” andrebbero qualificati come sinonimi o equivalenti.

LA CASSAZIONE

La Suprema Corte con CASS. CIV., II, 18/04/24 N° 10505 riconosce e sottolinea la novità della questione, sottoposta, in modo diretto ed approfondito, per la prima volta al suo esame e obiettivamente controvertibile, anche per quanto emergente dalla non univoca giurisprudenza di merito formatasi al riguardo, avente certo e rilevante impatto pratico nella materia generale della circolazione stradale.

La questione di diritto sottoposta all’attenzione del Collegio consiste nello stabilire se possa ritenersi, sul piano giuridico, equipollente all’omologazione la sola preventiva approvazione dell’apparecchiatura di rilevamento della velocità.

La Corte chiaramente afferma che “…Per affrontare adeguatamente la specifica tematica che viene in rilievo in questa sede è necessario porre, imprescindibilmente, riferimento alle norme legislative di ordine primario (prevalenti su quelle secondarie e di carattere regolamentare-amministrativo), e, sulla base delle stesse, partire da due argomentazioni indiscutibili:
– la prima è che, letteralmente, l’art. 142, comma 6, c.d.s. parla solo di “apparecchiature debitamente omologate”, le cui risultanze – si sottolinea – sono considerate “fonti di prova” per la determinazione dell’osservanza dei limiti di velocità (la stessa espressione – sempre in funzione della valutazione della legittimità dell’accertamento – si rinviene, peraltro, nell’art. 25, comma 1, lett. a) della legge n. 120/2010, con la quale ne è stato previsto l’inserimento nel comma 1 dello stesso art. 142 c.d.s., con riguardo ai tratti autostradali);
– la seconda è che il complementare ed esplicativo art. 192 del regolamento di esecuzione e di esecuzione del c.d.s. (d.P.R. n. 495/1992) – il quale disciplina i “controlli ed omologazioni” (in attuazione della norma programmatica di cui all’art. 45, comma 6, c.d.s.) – contempla distinte attività e funzioni dei procedimenti di approvazione e di omologazioni (donde la differenza dei conseguenti effetti agli stessi riconducibili).
Infatti, il suo secondo comma stabilisce che:
L’Ispettorato generale per la circolazione e la sicurezza stradale del Ministero dei lavori pubblici accerta, anche mediante prove, e avvalendosi, quando ritenuto necessario, del parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici, la rispondenza e la efficacia dell’oggetto di cui si richiede l’omologazione alle prescrizioni stabilite dal presente regolamento, e ne omologa il prototipo quando gli accertamenti abbiano dato esito favorevole (…).
Già da questa disposizione si evince che il procedimento di approvazione costituisce un passaggio propedeutico (ma comunque dotato di una propria autonomia) al fine di procedere all’omologazione (costituente, perciò, frutto di un’attività distinta e consequenziale) dell’apparecchio di rilevazione elettronica della velocità.
Il terzo comma dello stesso articolo sancisce che:
Quando trattasi di richiesta relativa ad elementi per i quali il presente regolamento non stabilisce le caratteristiche fondamentali o particolari prescrizioni, il Ministero dei lavori pubblici approva il prototipo seguendo, per quanto possibile, la procedura prevista dal comma 2.
Il comma settimo del medesimo articolo prevede, poi, che:
Su ogni elemento conforme al prototipo omologato o approvato deve essere riportato il numero e la data del decreto ministeriale di omologazione o di approvazione ed il nome del fabbricante.

E’, quindi, condivisibile la motivazione della sentenza impugnata che ha operato la distinzione tra i due procedimenti di approvazione e omologazione del prototipo, siccome aventi caratteristiche, natura e finalità diverse, poiché l’omologazione ministeriale autorizza la riproduzione in serie di un apparecchio testato in laboratorio, con attribuzione della competenza al Ministero per lo sviluppo economico, nel mentre l’approvazione consiste in un procedimento che non richiede la comparazione del prototipo con caratteristiche ritenute fondamentali o con particolari prescrizioni previste dal regolamento.
L’omologazione, quindi, consiste in una procedura che – pur essendo amministrativa (come l’approvazione) – ha anche natura necessariamente tecnica e tale specifica connotazione risulta finalizzata a garantire la perfetta funzionalità e la precisione dello strumento elettronico da utilizzare per l’attività di accertamento da parte del pubblico ufficiale legittimato, requisito, questo, che costituisce l’indispensabile condizione per la legittimità dell’accertamento stesso, a cui pone riguardo la norma generale di cui al comma 6 dell’art. 142 c.d.s. (funzionalità che, peraltro, a fronte di contestazione del contravventore, deve essere comprovata dalla P.A. dalla quale dipende l’organo accertatore, secondo l’ormai univoca giurisprudenza di questa Corte…“.

Il pronunciamento in esame si palesa altresì di particolare interesse in quanto qualifica il valore dei pareri e circolari ministeriali che non possono superare le fonti normative primarie.

Difatti si afferma che “…Naturalmente non possono avere un’influenza sul piano interpretativo – a fronte di una chiara ermeneusi basata sulle fonti normative primarie – le circolari ministeriali evocate...,le quali sembrerebbero avallare una possibile equipollenza tra omologazione ed approvazione, basata, però, su un approccio che, per l’appunto, non trova supporto nelle suddette fonti primarie e che, in quanto tali, non possono essere derogate da fonti secondarie o da circolari di carattere amministrativo.

Alla stregua di queste ultime l’art. 142, comma 6, c.d.s. andrebbe “letto in connessione con l’art. 45, comma 6, dello stesso c.d.s., ove si pone riferimento esplicito ai mezzi tecnici atti all’accertamento e al rilevamento automatico delle violazioni, per i quali è prevista la procedura dell’approvazione ovvero dell’omologazione, secondo le modalità indicate dall’art. 192 del regolamento di esecuzione e attuazione”.

Senonché, è evidente che il citato art. 45, comma 6, c.d.s. – per quanto già posto in risalto in precedenza – non opera alcuna equiparazione tra approvazione e omologazione. Al contrario, esso distingue nettamente i due termini, da ritenersi perciò differenti sul piano formale e sostanziale, giacché intende riferirsi a tutti i “mezzi tecnici atti all’accertamento e al rilevamento automatico delle violazioni”, taluni dei quali destinati ad essere necessariamente omologati (quali, per l’appunto, i dispositivi demandati specificamente al controllo della velocità, stante l’inequivocabile precetto 142, comma 6, c.d.s., laddove l’utilizzo dell’espressione “debitamente omologati” impone necessariamente la preventiva sottoposizione del mezzo di rilevamento elettronico a tale procedura e che, solo se assolta, è idonea a costituire “fonte di prova” per il riscontro del superamento dei prescritti limiti di velocità: in claris non fit interpretatio) e altri per i quali è sufficiente la semplice approvazione (perciò, certamente non bastevole, da sola, per far considerare legittimo l’accertamento della velocità veicolare a mezzo autovelox). …”.

Giovanni Paris

VEICOLO IN PANNE IN SOSTA VIETATA: CASS. CIV, II, 28/03/24 N° 8397

Auto in panne in strada, arriva il presidente Cirio e la spinge - Giornale  La Voce

PER QUANTO TEMPO UN VEICOLO IN PANNE PUO’ RIMANERE PARCHEGGIATO IN DIVIETO DI SOSTA?

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IL CASO

Ad un soggetto è stata contestata la reiterata violazione dell’art. 158/2-6 c.d.s. per avere lasciato in sosta il proprio veicolo in una zona a traffico limitato.

Il veicolo risultava in sosta da 37 giorni, senza che fosse segnalato che lo stesso era in panne né alla Polizia Municipale, né ad altri uffici comunali.

Viene proposto ricorso in Cassazione sostenendo che più volte era stato tentato di rimettere in moto il veicolo, anche con l’intervento dell’elettrauto e del meccanico, ma inutilmente, e l’intervento del carro attrezzi non era stato possibile per le sue dimensioni e la ristrettezza della via dove era parcato il veicolo.

Per quanto sopra, pertanto, in merito a tutte le violazioni amministrative contestate, doveva ritenersi insussistente l’elemento soggettivo della colpa, indispensabile ex art. 3 della L. 689/1981, per la sanzionabilità della condotta.

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LA CASSAZIONE

E’ necessario tenere un comportamento conforme ai comuni canoni di diligenza che si devono osservare in una situazione di veicolo in panne, altrimenti si impedisce al guasto del veicolo di costituire un’esimente assimilabile alla forza maggiore.

Questo si ricava da CASS. CIV, II, 28/03/24 N° 8397 la quale rileva “…che il malfunzionamento del veicolo, che in astratto avrebbe potuto escludere nel breve periodo, quale causa di forza maggiore, la connotazione colposa della sosta vietata, per il mancato ricorso del proprietario del veicolo ad interventi risolutivi entro un lasso temporale ragionevole (carro attrezzi, o segnalazione alla Polizia municipale, o all’ufficio preposto del Comune…per ottenerne la collaborazione ai fini della rimozione in caso d’impossibilità di deroga temporanea al divieto di sosta in zona a traffico illimitato), come avrebbe fatto un automobilista di media diligenza secondo le norme di comune esperienza e prudenza, pur in assenza di una norma giuridica prescrittiva specifica, ha finito per perdere la sua natura potenzialmente eccezionale e per fare ritenere negligente ed ingiustificabile la condotta del soggetto, che pure era pienamente consapevole, per sua ammissione, dell’esistenza del divieto di sosta nella zona a traffico limitato in cui aveva parcheggiato…”.

Giovanni Paris

CIRCOLAZIONE DI VELOCIPEDE SU ATTRAVERSAMENTO PEDONALE: CASS. CIV., II, 05/02/24 N° 3242

Attraversare la strada correttamente in bicicletta e in moto

E’ POSSIBILE IL TRANSITO DI UN VELOCIPEDE SU UN ATTRAVERSAMENTO PEDONALE RIMANENDO IN SELLA AL VEICOLO O VI E’ L’OBBLIGO DI DISCESA E DI CONDURLO A MANO?

LA NORMATIVA

Art. 47 c.d.s. Classificazione dei veicoli

“1.  I veicoli si classificano, ai fini del presente codice, come segue:

OMISSIS

c)  velocipedi;
OMISSIS”
.

Art. 143  c.d.s. Posizione dei veicoli sulla carreggiata

“OMISSIS

2.  I veicoli sprovvisti di motore e gli animali devono essere tenuti il più vicino possibile al margine destro della carreggiata.

OMISSIS”

Art. 182  c.d.s. Circolazione dei velocipedi

“OMISSIS

4. I ciclisti devono condurre il veicolo a mano quando, per le condizioni della circolazione, siano di intralcio o di pericolo per i pedoni. In tal caso sono assimilati ai pedoni e devono usare la comune diligenza e la comune prudenza.

OMISSIS”

Art. 377  reg. esec. c.d.s. Circolazione dei velocipedi

“OMISSIS

2.  Nel caso di attraversamento di carreggiate a traffico particolarmente intenso e, in generale, dove le circostanze lo richiedano, i ciclisti sono tenuti ad attraversare tenendo il veicolo a mano.

OMISSIS”

IL CASO

Viene elevato verbale di accertamento con il quale si contesta, sulla base dei rilievi svolti in occasione di un sinistro stradale, la violazione dell’art. 143/13 c.d.s. per non avere circolato a bordo del velocipede sulla parte destra della carreggiata in prossimità del margine destro, utilizzando, invece, illegittimamente l’attraversamento pedonale.

Viene proposto ricorso in Cassazione deducendo violazione o falsa applicazione delle norme di diritto in materia di circolazione dei velocipedi di cui agli artt. 182/4 c.d.s. e 377/2 del reg. esec. del c.d.s.. Si sostiene che l’art. 143 c.d.s. si occupa della posizione dei veicoli sulla carreggiata, mentre l’art. 182 c.d.s. riguarda la circolazione dei velocipedi, al di là della definizione del conducente quale pedone o ciclista: ciò sarebbe avvalorato dall’art. 377 reg. esec. del c.d.s., che impone anch’esso di tenere il velocipede a mano durante l’attraversamento delle strisce quando il traffico sia particolarmente intenso ovvero le circostanze del traffico lo richiedano.

Si sostiene che la ricostruzione delle norme citate, confermata da un orientamento della Cassazione Penale, permetterebbe di affermare che è consentito attraversare le strisce pedonali in sella ad una bici, fatte salve le limitazioni espressamente indicate dalla legge, quando, per le condizioni della circolazione, i velocipedi siano di intralcio o di pericolo per i pedoni.

Inoltre si afferma la violazione o falsa applicazione degli artt. 143/13, e 47/1, lett. c) del c.d.s. adducendo che il giudice di appello ha errato nella ricerca e nell’interpretazione delle norme ritenute regolatrici del caso concreto, incorrendo nel vizio di falsa applicazione di legge, consistita nel sussumere la fattispecie al suo esame sotto norme non pertinenti e, quindi, inidonee a regolarla. Si aggiunge che il perimetro applicativo delle norme menzionate è errato, come errate sono le conseguenze ermeneutiche alle quali il giudice di seconde cure è approdato, confermando la legittimità dell’irrogazione di una sanzione per un fatto da considerarsi lecito, ossia l’attraversamento in sella a velocipede di strisce pedonali in assenza delle condizioni che impongano la circolazione con il mezzo condotto a mano.

LA CASSAZIONE

La questione, a dire il vero controversa, è stata affrontata da CASS. CIV., II, 05/02/24 N° 3242 la quale sostiene che:

Il conducente del velocipede è tenuto, nei casi in cui occupa spazi della strada destinati ai pedoni, quali appunto le strisce pedonali oppure i marciapiedi, all’attraversamento portando il velocipede a mano.

Per la Corte la questione riguarda “…l’identificazione e l’interpretazione delle norme del codice della strada idonee a disciplinare la fattispecie in esame, al fine di stabilire l’eventuale illiceità della condotta ascritta…, ossia l’attraversamento in sella a velocipede di un passaggio pedonale, in assenza delle condizioni che impongano l’attraversamento con veicolo condotto a mano. …”.

Al fine di rendere più agevole la “…la comprensione della loro portata, è opportuno riportare le norme di riferimento vigenti ratione temporis:

– Art. 47 CdS (Classificazione dei veicoli), comma 1: “I veicoli si classificano, ai fini del presente codice, come segue: …c) velocipedi”.

Ai veicoli, anche ai velocipedi in quanto rientranti in tale definizione, sono imposte norme di comportamento definite nel Titolo V; tra queste:

– Art. 143, comma 2, CdS (Posizione dei veicoli sulla carreggiata): “I veicoli sprovvisti di motore e gli animali devono essere tenuti il più vicino possibile al margine destro della carreggiata”. In violazione delle quali il comma 13 della stessa norma recita: “Chiunque viola le altre disposizioni del presente articolo è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da Euro 41,00 a Euro 169,00”.

– Art. 182, comma 4, CdS (Circolazione dei velocipedi): “I ciclisti devono condurre il veicolo a mano quando, per le condizioni della circolazione, siano di intralcio o di pericolo per i pedoni. In tal caso sono assimilati ai pedoni e devono usare la comune diligenza e la comune prudenza”.

– Art. 377, comma 2, Reg. esec. e att. CdS (Circolazione dei velocipedi): “Nel caso di attraversamento di carreggiate a traffico particolarmente intenso e, in generale, dove le circostanze lo richiedano, i ciclisti sono tenuti ad attraversare tenendo il veicolo a mano”.

…Le riportate norme di comportamento stabilite nel Titolo V CdS presentano, dunque, questa sequenza: i velocipedi (veicoli sprovvisti di motore, la bicicletta tra questi) devono viaggiare a destra sulla carreggiata, il più possibile vicino al suo margine destro; quando per le condizioni di circolazione (ad es., in caso di affollamento pedonale, traffico veicolare intenso, ecc.) il velocipede condotto in sella sia d’intralcio o di pericolo per i pedoni, esso deve essere portato a mano (art. 182, comma 4); il comportamento sarà identico anche nel corso di un attraversamento di carreggiata su strisce pedonali (art. 377 Reg. esec. e att. CdS), ovvero in qualunque altra situazione in cui il velocipede occupi spazi dedicati ai pedoni (per es., i marciapiedi). Quindi, l’errore logico in cui è incorsa la ricorrente consiste nel traslare il comportamento ordinario del conducente del velocipede, in virtù del quale è tenuto a procedere in sella sul margine destro della carreggiata, alla diversa situazione in cui egli si trovi ad occupare spazi della strada destinati ai pedoni, quali appunto le strisce pedonali oppure i marciapiedi, nella quale è, invece, obbligato all’attraversamento portando il velocipede a mano….”.

Si conclude affermando che “…le norme menzionate devono essere interpretate nel senso che consentono al ciclista di occupare spazi altrimenti dedicati ai soli pedoni, comportamenti consentiti solo in situazioni di affollamento pedonale ovvero di traffico veicolare intenso, purché il velocipede sia condotto a mano, e non in sella, risultando, in ogni caso, obbligatorio che quando è condotto in sella debba essere tenuto sempre il più vicino possibile al margine destro della carreggiata. …”.

Giovanni Paris

COMPETENZA ALLA ISTITUZIONE DI “AREA PEDONALE”: TAR LOMBARDIA, III, 28/03/24 N° 947

Area pedonale

QUALE ORGANO AMMINISTRATIVO PUO’ ISTITUIRE UN’ “AREA PEDONALE”?

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LA NORMATIVA

Art. 3 c.d.s.  Definizioni stradali e di traffico

“OMISSIS

2)  Area pedonale: zona interdetta alla circolazione dei veicoli, salvo quelli in servizio di emergenza, i velocipedi e i veicoli al servizio di persone con limitate o impedite capacità motorie, nonché eventuali deroghe per i veicoli ad emissioni zero aventi ingombro e velocità tali da poter essere assimilati ai velocipedi. In particolari situazioni i comuni possono introdurre, attraverso apposita segnalazione, ulteriori restrizioni alla circolazione su aree pedonali.
OMISSIS”
.

Art. 7 c.d.s.  Regolamentazione della circolazione nei centri abitati

OMISSIS

9.  I comuni, con deliberazione della Giunta, provvedono a delimitare le aree pedonali e le zone a traffico limitato tenendo conto degli effetti del traffico sulla sicurezza della circolazione, sulla salute, sull’ordine pubblico, sul patrimonio ambientale e culturale e sul territorio. In caso di urgenza il provvedimento potrà essere adottato con ordinanza del sindaco, ancorché di modifica o integrazione della deliberazione della Giunta. OMISSIS

OMISSIS”

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IL CASO

Con Ordinanza Dirigenziale a firma del Dirigente/Responsabile P.O. dell’Area Polizia Locale viene istituita un’area pedonale in una via cittadina, con richiamo a precedente Delibera di Giunta Comunale.

Il provvedimento viene impugnato affermando il vizio di incompetenza alla adozione da parte del dirigente amministrativo.

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LA SENTENZA

Si esprime il TAR LOMBARDIA, III, 28/03/24 N° 947 con affermazione che è fondata la censura diretta a contestare il vizio di incompetenza, in quanto il provvedimento impugnato è stato adottato dal dirigente di settore e non dalla Giunta Comunale.

In particolare, il Tribunale osserva che:

“…l’art. 7 del d.l.vo n. 285/1992 stabilisce che la delimitazione delle aree pedonali e delle zone a traffico limitato può essere disposta dai comuni, con deliberazione della giunta, tenendo conto degli effetti del traffico sulla sicurezza della circolazione, sulla salute, sull’ordine pubblico, sul patrimonio ambientale e culturale e sul territorio. Solo “in caso di urgenza il provvedimento potrà essere adottato con ordinanza del sindaco, ancorché di modifica o integrazione della deliberazione della giunta”;

– nel caso di specie, la determinazione dirigenziale impugnata non è supportata da ragioni di urgenza e incide in modo sostanziale sull’area pedonale individuata dalla Giunta Comunale…;

– invero, il provvedimento gravato…estende l’area pedonale,…configura un uso esclusivamente pedonale di tutta l’area, compresa quella in precedenza adibita alla sosta veicolare;

il provvedimento dirigenziale, per il suo oggettivo contenuto, non integra un atto meramente esecutivo della deliberazione della Giunta…perché modifica sia l’estensione dell’area pedonale, sia le prescrizioni stabilite dalla Giunta, così esprimendo una valutazione discrezionale autonoma;

– la circostanza che il provvedimento incida sulla configurazione e sulle modalità di utilizzo dell’area pedonale esclude che possa essere ricondotto alle competenze dirigenziali, trattandosi di un atto riservato alla Giunta Comunale…“.

Giovanni Paris

COMPETENZA EMISSIONE ORDINANZA SICUREZZA E INCOLUMITA’ PUBBLICA: TAR CAMPANIA, SALERNO, III, 20/03/24 N° 674

Al momento stai visualizzando ORDINANZA CONTINGIBILE ED URGENTE  PER LA SOSPENSIONE IMMEDIATA DELL’ATTIVITA’ SITA AD OSIMO (AN) IN VIA MONTEFANESE N. 261

LE ORDINANZE CONTINGIBILI ED URGENTI DISCIPLINATE DAGLI ARTICOLI 50 E 54 DEL T.U.E.L. DEVONO ESSERE ADOTTATE ESCLUSIVAMENTE DAL SINDACO O POSSONO ESSERE EMESSE ANCHE DAL DIRIGENTE COMUNALE RESPONSABILE PER MATERIA?

LA NORMATIVA

Articolo 50  T.U.E.L. “Competenze del sindaco e del presidente della provincia”

“OMISSIS

5.  In particolare, in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale le ordinanze contingibili e urgenti sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale. Le medesime ordinanze sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale, in relazione all’urgente necessità di interventi volti a superare situazioni di grave incuria o degrado del territorio, dell’ambiente e del patrimonio culturale o di pregiudizio del decoro e della vivibilità urbana, con particolare riferimento alle esigenze di tutela della tranquillità e del riposo dei residenti, anche intervenendo in materia di orari di vendita, anche per asporto, e di somministrazione di bevande alcoliche e superalcoliche. Negli altri casi l’adozione dei provvedimenti d’urgenza, ivi compresa la costituzione di centri e organismi di referenza o assistenza, spetta allo Stato o alle regioni in ragione della dimensione dell’emergenza e dell’eventuale interessamento di più ambiti territoriali regionali.

OMISSIS”

Articolo 54  T.U.E.L. Attribuzioni del sindaco nelle funzioni di competenza statale

“OMISSIS

4.  Il sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta con atto motivato provvedimenti, anche contingibili e urgenti nel rispetto dei princìpi generali dell’ordinamento, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana. I provvedimenti di cui al presente comma sono preventivamente comunicati al prefetto anche ai fini della predisposizione degli strumenti ritenuti necessari alla loro attuazione.

4-bis.  I provvedimenti adottati ai sensi del comma 4 concernenti l’incolumità pubblica sono diretti a tutelare l’integrità fisica della popolazione, quelli concernenti la sicurezza urbana sono diretti a prevenire e contrastare l’insorgere di fenomeni criminosi o di illegalità, quali lo spaccio di stupefacenti, lo sfruttamento della prostituzione, la tratta di persone, l’accattonaggio con impiego di minori e disabili, ovvero riguardano fenomeni di abusivismo, quale l’illecita occupazione di spazi pubblici, o di violenza, anche legati all’abuso di alcool o all’uso di sostanze stupefacenti.

OMISSIS”

IL CASO

Un comune ha imposto ad un soggetto, mediante ordinanza contingibile ed urgente emessa a firma del Responsabile del Settore Urbanistica e Demanio, di effettuare su area di proprietà con decorrenza immediata e senza indugio, a proprie cura e spesa, quanto indispensabile per i lavori necessari al fine dell’eliminazione di ogni pericolo per persone o cose onde garantire la sicurezza pubblica.

Viene presentato ricorso affermando l’incompetenza del dirigente comunale ad adottare il provvedimento contingibile ed urgente.

LA SENTENZA

Il  TAR CAMPANIA, SALERNO, III, 20/03/24 N° 674  ricorda che “…Come noto, le ordinanze contingibili e urgenti costituiscono provvedimenti atipici volti ad assicurare elasticità di manovra all’amministrazione nel prevenire il perpetrarsi di danni rilevanti all’incolumità pubblica, spesso irreparabili a posteriori…”,

questi provvedimenti “…pertanto, non hanno la finalità di attribuire responsabilità o di sanzionare comportamenti illegittimi, ma piuttosto quella di fronteggiare con immediatezza una situazione di natura eccezionale e imprevedibile oppure una condizione di pericolo concreto di un danno grave e imminente al momento dell’adozione del provvedimento, anche a prescindere dalla circostanza…che la situazione emergenziale fosse sorta in epoca antecedente…”,

aggiungendo “…che l’ordinanza contingibile e urgente richiede che la p.a. debba affrontare, a tutela della pubblica incolumità, o comunque di altri valori dell’ordinamento da presidiare costantemente, situazioni di pericolo non tutelabili mediante l’adozione di strumenti ordinari…”.

Venendo poi alla normativa specifica “…La possibilità di ricorrere allo strumento dell’ordinanza contingibile e urgente ex artt. 50 e 54 del T.U.E.L. è condizionata dalla sussistenza di un pericolo concreto, che imponga di provvedere in via d’urgenza, con strumenti extra ordinem, per fronteggiare emergenze sanitarie o porre rimedio a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile di pericolo attuale e imminente per l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana, non fronteggiabili con gli strumenti ordinari apprestati dall’ordinamento.

Tale potere di ordinanza presuppone necessariamente situazioni non tipizzate dalla legge di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere suffragata da istruttoria adeguata e da congrua motivazione, e in ragione di tali situazioni si giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vigente, stante la configurazione residuale, quasi di chiusura, di tale tipologia provvedimentale…”.

Si arriva infine al motivo del ricorso affermando che “…facendo applicazione dei principi legislativi e giurisprudenziali testè richiamati, va detto che il ricorso all’esame…deve essere accolto, stante la chiara fondatezza della censura d’incompetenza del Responsabile del Settore Urbanistica e Demanio del Comune di ad emanare l’ordinanza…”.

Infatti il provevdimento impugnato “…costituisce un’ordinanza contingibile e urgente, in materia di sicurezza ed incolumità pubblica, come tale attribuita alla competenza sindacale, dagli artt. 50 e 54 d. l.vo 267/2000, come interpretati dalla giurisprudenza…Il dirigente non dispone del potere di ordinanza extra ordinem a tutela dell’incolumità pubblica ex art. 54 comma 4, d. lg. n. 267 del 2000, spettando al Sindaco, quale Ufficiale del Governo; parimenti, l’adozione di ordinanze contingibili ed urgenti per emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale è comunque riservata al Sindaco, quale rappresentate della comunità locale, ai sensi dell’art. 50 comma 5, d. lg. n. 267 del 2000…“.

Giovanni Paris

FINALITA’ DEL SEQUESTRO PROBATORIO: CASS. PEN., IV, 27/03/24 N° 12470

IL SEQUESTRO PROBATORIO OLTRE ALLA FUNZIONE DI ACCERTAMENTO DEI FATTI PUO’ SVOLGERE ANCHE ALTRE FUNZIONI?

LA NORMATIVA

Art. 253 c.p.p. “Oggetto e formalità del sequestro”

“1. L’autorità giudiziaria dispone con decreto motivato il sequestro del corpo del reato e delle cose pertinenti al reato necessarie per l’accertamento dei fatti.

2. Sono corpo del reato le cose sulle quali o mediante le quali il reato è stato commesso nonché le cose che ne costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo.

OMISSIS”

Art, 354 c.p.p. “Accertamenti urgenti sui luoghi, sulle cose e sulle persone. Sequestro”

“1. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria curano che le tracce e le cose pertinenti al reato siano conservate e che lo stato dei luoghi e delle cose non venga mutato prima dell’intervento del pubblico ministero.

2. Se vi è pericolo che le cose, le tracce e i luoghi indicati nel comma 1 si alterino o si disperdano o comunque si modifichino e il pubblico ministero non può intervenire tempestivamente, ovvero non ha ancora assunto la direzione delle indagini, gli ufficiali di polizia giudiziaria compiono i necessari accertamenti e rilievi sullo stato dei luoghi e delle cose. In relazione ai dati, alle informazioni e ai programmi informatici o ai sistemi informatici o telematici, gli ufficiali della polizia giudiziaria adottano, altresì, le misure tecniche o impartiscono le prescrizioni necessarie ad assicurarne la conservazione e ad impedirne l’alterazione e l’accesso e provvedono, ove possibile, alla loro immediata duplicazione su adeguati supporti, mediante una procedura che assicuri la conformità della copia all’originale e la sua immodificabilità. Se del caso, sequestrano il corpo del reato e le cose a questo pertinenti.

OMISSIS

Art. 321 c.p.p. “Oggetto del sequestro preventivo”

“1. Quando vi è pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati, a richiesta del pubblico ministero il giudice competente a pronunciarsi nel merito ne dispone il sequestro con decreto motivato. Prima dell’esercizio dell’azione penale provvede il giudice per le indagini preliminari.

2. Il giudice può altresì disporre il sequestro delle cose di cui è consentita la confisca.

OMISSIS

3-bis. Nel corso delle indagini preliminari, quando non è possibile, per la situazione di urgenza, attendere il provvedimento del giudice, il sequestro è disposto con decreto motivato dal pubblico ministero. Negli stessi casi, prima dell’intervento del pubblico ministero, al sequestro procedono ufficiali di polizia giudiziaria, i quali, nelle quarantotto ore successive, trasmettono il verbale al pubblico ministero del luogo in cui il sequestro è stato eseguito. Questi, se non dispone la restituzione delle cose sequestrate, richiede al giudice la convalida e l’emissione del decreto previsto dal comma 1 entro quarantotto ore dal sequestro, se disposto dallo stesso pubblico ministero, o dalla ricezione del verbale, se il sequestro è stato eseguito di iniziativa dalla polizia giudiziaria

OMISSIS”

LA SENTENZA

La CASS. PEN., IV, 27/03/24 N° 12470 ricorda come “…il sequestro probatorio è un «mezzo di ricerca della prova» e può essere eseguito quando sussiste il fumus della commissione di un reato inteso nella sua accezione materiale senza che sia necessaria la sussistenza di gravi indizi della responsabilità dell’indagato. Tale mezzo di ricerca della prova è ritualmente disposto, purché sia ragionevolmente presumibile o probabile (anche sulla base di argomenti di carattere logico), la commissione di un reato…”

e come “…per ritenere la legittimità di un sequestro probatorio è sufficiente la sussistenza del fumus del reato unita alla possibilità che le cose oggetto del vincolo siano state utilizzate per commetterlo o ne costituiscano il prodotto, il profitto o il prezzo. Qualora tale fumus emerga dalle indagini svolte, il sequestro è legittimo perché volto a stabilire (in se stesso o per le indagini che l’apprensione del bene rende possibile) se il collegamento pertinenziale tra la res e l’illecito, oltre che possibile, sia concretamente esistente…”.

Premesso quanto sopra la Corte ribadisce come “…il sequestro probatorio assolve ad una specifica esigenza di accertamento dei fatti e non può essere piegato alla soddisfazione di esigenze di natura diversa, quale quelle di natura specialpreventiva e di mantenimento della res a fini di confisca: esigenze a tutela delle quali il codice di rito ha previsto lo strumento cautelare reale del sequestro preventivo ex art. 321 cod. proc. pen. …”.

Giovanni Paris

ARTICOLI 213, 214, 214-bis e 215-bis DEL C.D.S. . AGGIORNAMENTO MODULISTICA

Novità | Normalizzati per Stampi | Tecaut S.r.l

Si segnala la emissione da parte del Ministero dell’Interno della Circ. n. 300/STRAD//0000010253.U/2024 del 04/04/24  avente ad oggetto “Articoli 213, 214, 214-bis e 215-bis del Codice della Strada. Aggiornamento modulistica allegati 4 e 6 della circolare n. 300/A/559/19/101/20/21/4 del 21.01.2019”.

Giovanni Paris

RESPONSABILITA’ PER OMISSIONE DI LAVORI IN EDIFICIO CONDOMINIALE CHE MINACCIA ROVINA EX ART. 677 C.P.: CASS. PEN., VII, 27/02/24 N° 8430

Lavori urgenti in condominio: quali sono e chi li decide - ilGiornale.it

QUANDO UN EDIFICIO CONDOMINIALE MINACCIA ROVINA E I LAVORI NON VENGONO REALIZZATI PER OPPOSIZIONE DI ALCUNI CONDOMINI, LA RESPONSABILITA’ EX ART. 677 C.P. E’ DELL’AMMINISTRATORE CONDOMINIALE O DEI SINGOLI CONDOMINI?

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IL CASO

I condomini di un edificio sono stati condannati in relazione al reato di cui all’art. 677 comma 3 cod. pen.. Viene presentato ricorso in Cassazione deducendo la omessa valutazione della normativa in materia, dovendo ritenersi, ai sensi degli artt. 1330 e ss. cod. civ., che la responsabilità di intervenire sulle parti comuni gravi sull’amministratore e non sul singolo condomino.

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LA NORMATIVA

Art. 677 c.p. “Omissione di lavori in edifici o costruzioni che minacciano rovina

Il proprietario di un edificio o di una costruzione che minacci rovina ovvero chi è per lui obbligato alla conservazione o alla vigilanza dell’edificio o della costruzione, il quale omette di provvedere ai lavori necessari per rimuovere il pericolo, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 154 a euro 929.

La stessa sanzione si applica a chi, avendone l’obbligo, omette di rimuovere il pericolo cagionato dall’avvenuta rovina di un edificio o di una costruzione.

Se dai fatti preveduti dalle disposizioni precedenti deriva pericolo per le persone, la pena è dell’arresto fino a sei mesi o dell’ammenda non inferiore a euro 309″.

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LA CASSAZIONE

La CASS. PEN., VII, 27/02/24 N° 8430 risponde che la censura è manifestamente infondata perché prospetta enunciati “…in palese contrasto con la consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo cui in tema di omissione di lavori in costruzioni che minacciano rovina negli edifici condominiali, nel caso di mancata formazione della volontà assembleare e di omesso stanziamento di fondi necessari per porre rimedio al degrado che dà luogo al pericolo, non può ipotizzarsi la responsabilità per il reato di cui all’art. 677 cod. pen. a carico dell’amministratore del condominio per non aver attuato interventi che non erano in suo materiale potere, ricadendo in siffatta situazione su ogni singolo proprietario l’obbligo giuridico di rimuovere la situazione pericolosa, indipendentemente dall’attribuibilità al medesimo dell’origine’ della stessa….

Si legga anche CASS. PEN., I, 12/12/19 N° 50366, nella quale, tra l’altro si stabilisce che “…nel caso previsto dal terzo comma della citata norma, al fine di andare esente da responsabilità, è sufficiente per l’amministratore intervenire sugli effetti della rovina, interdicendo, ove ciò sia possibile, l’accesso o il transito delle persone….

Giovanni Paris

IDENTIFICAZIONE DELL’INDAGATO SULLA BASE DELLE SUE DICHIARAZIONI: CASS. PEN., IV, 25/03/24 N° 12179

Gabinetto di Fotosegnalamento | Polizia Locale di Rimini

PUO’ REALIZZARSI LA IDENTIFICAZIONE DELL’INDAGATO SOLO SULLA BASE DELLE SUE DICHIARAZIONI O NECESSITA COMUNQUE PROCEDERE SEMPRE AI RILIEVI PREVISTI DALL’ART. 349 C.P.P.?

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LA NORMATIVA

Art. 651 c.p. “Rifiuto d’indicazioni sulla propria identità personale”

“Chiunque, richiesto da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, rifiuta di dare indicazioni sulla propria identità personale, sul proprio stato, o su altre qualità personali, è punito con l’arresto fino a un mese o con l’ammenda fino a euro 206”

Art. 349 c.p.p. “Identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini e di altre persone”

“1. La polizia giudiziaria procede alla identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini e delle persone in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti.

2. Alla identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini può procedersi anche eseguendo, ove occorra, rilievi dattiloscopici, fotografici e antropometrici nonché altri accertamenti. I rilievi di cui al periodo precedente sono sempre eseguiti quando si procede nei confronti di un apolide, di una persona della quale è ignota la cittadinanza, di un cittadino di uno Stato non appartenente all’Unione europea ovvero di un cittadino di uno Stato membro dell’Unione europea privo del codice fiscale o che è attualmente, o è stato in passato, titolare anche della cittadinanza di uno Stato non appartenente all’Unione europea. In tale caso, la polizia giudiziaria trasmette al pubblico ministero copia del cartellino fotodattiloscopico e comunica il codice univoco identificativo della persona nei cui confronti sono svolte le indagini.

OMISSIS”

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LA SENTENZA

La CASS. PEN., IV, 25/03/24 N° 12179 si rifà all’ “…orientamento dominante nella giurisprudenza di legittimità, per cui…l’identificazione dell’indagato ad opera della polizia giudiziaria è validamente operata sulla base delle dichiarazioni dallo stesso fornite, perché il ricorso ai rilievi dattiloscopici, fotografici o antropometrici, o ad altri accertamenti, si giustifica soltanto in presenza di elementi di fatto che facciano ritenere la falsità delle indicate dichiarazioni…”.

I precedenti giurisprudenziali “…ammettono che, in presenza di concreti elementi che consentano di dubitare della veridicità delle dichiarazioni rese dall’indagato o dall’imputato sulla sua identità, sia necessario ricorrere alle procedure oggettive di identificazione fisica disciplinate dall’art. 349 cod. proc. pen., ma escludono che tale adempimento sia comunque necessario quando le generalità vengano acquisite dall’autorità procedente attraverso tali dichiarazioni, affermando in sostanza che l’indagato o l’imputato sono, fino a prova contraria, legittime fonti della loro identità…”.

La Corte pertanto, in relazione al caso concreto trattato, afferma che “…in carenza di allegazioni concrete per le quali le dichiarazioni dell’indagato non dovrebbero ritenersi sufficienti, l’orientamento interpretativo da ultimo indicato debba essere privilegiato, ritenendo conseguentemente che la motivazione offerta dalla Corte territoriale, secondo la quale l’indicazione dei dati anagrafici unitamente al nome può costituire valido indice della corrispondenza della persona fermata al nominativo fornito agli agenti di polizia giudiziaria, non sia affetta dal vizio lamentato…”.

Giovanni Paris

CONCETTO DI “PRIVATA DIMORA” EX ART. 624-BIS/1 C.P. (FURTO IN ABITAZIONE): CASS. PEN, II, 28/03/24 N° 12982

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COSA SI INTENDE PER “PRIVATA DIMORA” AL FINE DELLA CONFIGURAZIONE DEL REATO PREVISTO DALL’ART. 624-BIS/1 C.P. (FURTO IN ABITAZIONE) E DELLE CIRCOSTANZE AGGRAVANTI PREVISTE PER ALTRI REATI CHE A QUELLO FANNO RIFERIMENTO?

/////////////////

Si legga il precedente articolo che tratta analoga questione CONCETTO DI “ABITAZIONE”, “PRIVATA DIMORA” E “PERTINENZA” EX ART. 624-BIS/1 C.P. (FURTO IN ABITAZIONE): CASS. PEN, IV, 29/12/23 N° 51596

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LA NORMATIVA

Art. 628 c.p. “Rapina”

“Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, mediante violenza alla persona o minaccia, s’impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da euro 927 a euro 2.500.

Alla stessa pena soggiace chi adopera violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione, per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta, o per procurare a sé o ad altri l’impunità.

La pena è della reclusione da sei a venti anni e della multa da euro 2.000 a euro 4.000:

OMISSIS

3-bis) se il fatto è commesso nei luoghi di cui all’articolo 624-bis o in luoghi tali da ostacolare la pubblica o privata difesa;

OMISSIS”

Art. 624-bis c.p. “Furto in abitazione e furto con strappo”

(Articolo aggiunto dall’art. 2 della L. 128/01)

“Chiunque si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, mediante introduzione in un edificio o in altro luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora o nelle pertinenze di essa, è punito con la reclusione da quattro a sette anni e con la multa da euro 927 a euro 1.500

OMISSIS

La pena è della reclusione da cinque a dieci anni e della multa da euro 1.000 a euro 2.500 se il reato è aggravato da una o più delle circostanze previste nel primo comma dell’articolo 625 ovvero se ricorre una o più delle circostanze indicate all’articolo 61.

OMISSIS”

Art. 625 c.p. “Circostanze aggravanti”

“La pena per il fatto previsto dall’articolo 624 è della reclusione da due a sei anni e della multa da euro 927 a euro 1.500:

(1. se il colpevole, per commettere il fatto, si introduce o si trattiene in un edificio o in un altro luogo destinato ad abitazionesoppresso dall’art. 2 L. 128/01.

2. se il colpevole usa violenza sulle cose o si vale di un qualsiasi mezzo fraudolento;

OMISSIS”

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IL CASO

Un soggetto è stato condannato per i reati, unificati dal vincolo della continuazione di: a) tentata rapina impropria pluriaggravata (dall’essere stata la minaccia commessa con armi e dall’essere stato il fatto commesso in uno dei luoghi di cui all’art. 624-bis cod. pen.), di cui al capo A) dell’imputazione; b) porto aggravato (dal cosiddetto nesso teleologico) fuori della propria abitazione senza giustificato motivo di un coltello, di cui al capo B) dell’imputazione; c) lesioni personali aggravate (sempre dal cosiddetto nesso teleologico), di cui al capo C) dell’imputazione.

Viene presentato ricorso in Cassazione censurando la sussistenza della circostanza aggravante, prevista dall’art. 628/3 n. 3-bis), cod. pen., dell’avere commesso il fatto in uno dei luoghi di cui all’art. 624-bis c.p. . Nel richiamare la nozione di luogo destinato a privata dimora viene rappresentato che la palestra nella quale era stato commesso il fatto non avrebbe le caratteristiche del luogo di privata dimora, atteso che l’azione furtiva con la forzatura di tre cassetti e della macchinetta del caffè, siti nell’atrio della palestra ha avuto a oggetto beni custoditi in luoghi normalmente accessibili al pubblico.

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LA SENTENZA

Il Supremo Consesso con CASS. PEN, II, 28/03/24 N° 12982 ribadisce la nozione di privata dimora penalmente rilevante ai fini del reato di furto in abitazione, rifacendosi al consolidato orientamento interpretativo in forza del quale, ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 624-bis c.p., rientrano nella nozione di privata dimora solamente i luoghi nei quali si svolgono in modo non occasionale atti della vita privata e che non siano accessibili a terzi senza il consenso del titolare (Cass. Pen., Sez. Un., 23/03/17, n° 31345) e questo concetto è applicabile anche ai fini della configurabilità della circostanza aggravante prevista dalla legge per altre fattispecie penali che a quella fanno riferimento.

La Corte ricorda che “…Costituisce un orientamento interpretativo ormai consolidato quello che corrisponde al principio, affermato dalla già citata sentenza…delle Sezioni unite della Corte di cassazione, secondo cui, ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 624-bis cod. pen., rientrano nella nozione di privata dimora esclusivamente i luoghi nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata e che non siano accessibili a terzi senza il consenso del titolare...

…Tale principio si deve ritenere applicabile anche ai fini della configurabilità (o no) della circostanza aggravante del delitto di rapina prevista dal n. 3-bis) del terzo comma dell’art. 628 cod. pen., atteso che tale disposizione fa espresso rinvio alla commissione del fatto di rapina «nei luoghi di cui all’articolo 624 bis» cod. pen. …”

Sulla base di un’interpretazione sia letterale sia sistematica della locuzione – utilizzata in quest’ultimo articolo – «luogo destinato in tutto ci in parte a privata dimora», le Sezioni unite hanno chiarito che, affinché si possa ritenere la sussistenza di un tale luogo, sono indefettibilmente necessari i seguenti tre elementi caratterizzanti:

a) l’utilizzazione del luogo per lo svolgimento di manifestazioni della vita privata (riposo, svago, alimentazione, studio, attività professionale e di lavoro in genere), in modo riservato e al riparo da intrusioni esterne;

b) durata apprezzabile del rapporto tra il luogo e la persona, in modo che tale rapporto sia caratterizzato da una certa stabilità e non da mera occasionalità;

c) non accessibilità del luogo, senza il consenso del titolare. …”.

Da ciò consegue che “…Tale connotazione della nozione di «luogo di privata dimora» comporta che il giudice di merito dovrà analizzare compiutamente i caratteri concreti del luogo, eventualmente anche lavorativo, in cui sono avvenuti il furto o la rapina e, alla luce dei parametri indicati, concludere per la sussistenza (o no) del reato (di furto in abitazione) o dell’aggravante (della rapina) sulla base dell’esistenza (o no) degli elementi che sono stati ritenuti necessari ai fini della configurabilità della fattispecie…”.

Viene sottolineato come “…le Sezioni unite hanno precisato essere indubbio che in tali luoghi l’individuo svolga atti della vita privata, ma che ciò non è sufficiente per affermare che si tratti di luogo di privata dimora (con la conseguente tutela rafforzata in termini di trattamento sanzionatorio), ciò essendo possibile solo qualora i suddetti luoghi abbiano le caratteristiche proprie dell’abitazione, cioè se in essi, o in parte di essi, il soggetto compie atti della vita privata in modo riservato e precludendo l’accesso a terzi (ad esempio: retrobottega; bagni privati o spogliatoi; area riservata di uno studio professionale o di uno stabilimento)…”.

Per il caso specifico trattato, “…come è specificato nella sentenza di primo grado (pag. 3), dalle immagini registrate dalla telecamera di videosorveglianza non risulta che il fatto sia avvenuto in luoghi della palestra aventi le suddette caratteristiche proprie dell’abitazione, cioè in parti di essa in cui il soggetto compie atti della vita privata in modo riservato e precludendo l’accesso a terzi, ma solo in parti della stessa palestra accessibili a un numero indeterminato di persone ,con riferimento ai quali, pertanto, appare fuor di luogo invocare la riservatezza o la necessità di tutela della sfera priva dell’individuo. …”.

Giovanni Paris

PARCOMETRO CHE NON CONSENTE IL PAGAMENTO ELETTRONICO E LEGITTIMITA’ DEL VERBALE DI INFRAZIONE: CASS. CIV., II, 27/03/24 N° 8313

IL FATTO CHE UN PARCOMETRO NON SIA PREDISPOSTO PER CONSENTIRE IL PAGAMENTO ELETTRONICO (BANCOMAT O CARTA DI CREDITO) DELLA TARIFFA DELLA SOSTA O NON SIA MOMENTANEAMENTE FUNZIONANTE RELATIVAMENTE A TALE MODALITA’, LEGITTIMA AD EFFETTUARE LA SOSTA SENZA PROVVEDERE AL PAGAMENTO E DI CONSEGUENZA L’EVENTUALE VERBALE DI CONTESTAZIONE DELLA VIOLAZIONE AL C.D.S. E’ ILLEGITTIMO?

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LA NORMATIVA

L. 208/15 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)”

Comma 901

“Dal 1° luglio 2016 le disposizioni di cui al comma 4 dell’articolo 15 del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, si applicano anche ai dispositivi di cui alla lettera f) del comma 1 dell’articolo 7 del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285″.

D.L. 179/12 “Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese”

Art. 15  “Pagamenti elettronici”

OMISSIS

4.  A decorrere dal 30 giugno 2014, i soggetti che effettuano l’attività di vendita di prodotti e di prestazione di servizi, anche professionali, sono tenuti ad accettare anche pagamenti effettuati attraverso carte di pagamento, relativamente ad almeno una carta di debito e una carta di credito e alle carte prepagate; tale obbligo non trova applicazione nei casi di oggettiva impossibilità tecnica. Sono in ogni caso fatte salve le disposizioni del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231

OMISSIS”

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IL CASO

Viene elevato verbale di contestazione per violazione dell’art. 157, commi 6 e 8 c.d.s. per sosta di autovettura in area a pagamento senza esposizione del ticket.

Viene proposto ricorso in Cassazione fondato sul fatto che il parcometro non era abilitato al pagamento con carta di credito, come invece imposto dal comma 901 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 che, a far data dal 1 luglio 2016, estendeva l’applicazione delle disposizioni di cui al comma 4 dell’art. 15 D.L. 18 ottobre 2012, n. 179 (convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221) a tutti i soggetti che effettuano le attività di vendita di prodotti e di prestazioni di servizi, inclusa la pubblica amministrazione.

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LA CASSAZIONE

Risponde al quesito CASS. CIV., II, 27/03/24 N° 8313, la quale osserva che esiste il “…consolidato principio per cui è sufficiente la prova della condotta commissiva od omissiva contemplata dalla norma, dovendosi, in tal caso, presumere la sussistenza dell’elemento soggettivo in capo al trasgressore…L’onere della prova che la condotta vietata sia stata posta in essere senza colpa, e di aver fatto “tutto il possibile per osservare la legge”, cosicché “nessun rimprovero possa essergli mosso”, rimane a carico dell’agente…”,

pertanto spetta “…al ricorrente di dare prova dei fatti impeditivi del pagamento, che non si sarebbe comunque esaurita nella dimostrazione del malfunzionamento o non funzionamento del pagamento mediante carta di credito, bensì avrebbe dovuto estendersi alla impossibilità di qualsiasi modalità di pagamento, incluso il versamento del danaro contante, posto che il non essere in possesso di altro mezzo di pagamento (p.e., moneta) non costituisce esimente rispetto alla sosta dell’autovettura in area destinata esclusivamente a parcometro senza esposizione del ticket. ….

La Suprema Corte ha già avuto occasione occasione di occuparsi della questione e con CASS. CIV., VI, 07/01/22 N° 277 si è espressa affermando che “…in materia di sanzioni amministrative vige il principio per cui è sufficiente la prova della condotta commissiva od omissiva contemplata dalla norma, dovendosi, in tal caso, presumere la sussistenza dell’elemento oggettivo in capo al trasgressore…L’onere della prova che la condotta vietata sia stata posta in essere senza colpa, e di aver fatto “tutto il possibile per osservare la legge”, cosicché “nessun rimprovero possa essergli mosso”, rimane a carico dell’agente…”.

Quindi l’unico modo per evitare di essere sanzionati è fornire dimostrazione di aver fatto tutto il possibile per rispettare la legge e cioè di essersi adoperati in tutti i modi possibili per pagare la tariffa.

Giovanni Paris

OBBLIGO DI AVVISARE E DI ATTENDERE IL DIFENSORE PER L’EFFETTUAZIONE DI PROVA ETILOMETRICA: CASS. PEN., IV, 25/03/24 N° 12178

L'avvocato tra le professioni più infelici: cosa cambia tra New York e  Catania? – LiveUnict

ESISTE L’OBBLIGO DI:

  • AVVISARE IL DIFENSORE DEL COMPIMENTO DELL’ACCERTAMENTO ETILOMETRICO?
  • ATTENDERE L’ARRIVO DEL DIFENSORE PER PROCEDERE ALL’ACCERTAMENTO ETILOMETRICO?

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LA NORMATIVA

Art. 356 c.p.p. “Assistenza del difensore”

“1. Il difensore della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini ha facoltà di assistere, senza diritto di essere preventivamente avvisato, agli atti previsti dagli articoli 352 e 354 oltre che all’immediata apertura del plico autorizzata dal pubblico ministero a norma dell’articolo 353 comma 2”.

Art. 114 c.p.p. “Avvertimento del diritto all’assistenza del difensore”

“1. Nel procedere al compimento degli atti indicati nell’articolo 356 del codice, la polizia giudiziaria avverte la persona sottoposta alle indagini, se presente, che ha facoltà di farsi assistere dal difensore di fiducia”.

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IL CASO

Un soggetto è stato condannato per il reato previsto dal D.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 186, comma 2, lett. c) e comma 2-sexies, con l’aggravante dell’aver commesso il fatto in orario notturno, per aver guidato in stato di ebbrezza in conseguenza dell’uso di sostanze alcoliche.

La sentenza di appello ha rilevato che doveva ritenersi infondato il motivo di gravame con il quale l’imputato aveva lamentato il mancato avviso al difensore di fiducia, nonostante fosse intervenuta la nomina, ed il mancato avviso all’imputato che poteva farsi assistere dal difensore di fiducia. In particolare, l’avviso della facoltà di farsi assistere dal difensore di fiducia nel compimento dell’alcoltest poteva essere pretermesso ed inoltre non poteva ritenersi sussistente l’obbligo per la polizia giudiziaria di attendere che l’interessato si trovasse in stato psicologico tale da poter comprendere l’avviso della facoltà di farsi assistere da un difensore nel compimento dell’atto, trattandosi di atto urgente ed indifferibile, che non tollera attese.

Viene proposto ricorso in Cassazione censurando la nullità degli accertamenti urgenti con conseguente mancanza di prova legale in ordine allo stato di ebbrezza dell’imputato rilevando che, nel caso di specie, gli operanti non avevano comunicato al difensore di fiducia la facoltà di assistere all’atto irripetibile consistente nell’accertamento etilometrico, inoltre, dalla lettura del verbale di accertamenti urgenti, si evinceva solo che il difensore di fiducia non era presente, ma ciò era avvenuto perché lo stesso non era stato avvisato dell’espletamento dell’atto irripetibile; dunque, a nulla valeva la natura di atto urgente fatta valere dalla sentenza impugnata per giustificare la legittimità del procedimento tecnico.

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LA SENTENZA

La risposta è NEGATIVA per ambedue i quesiti, si legga CASS. PEN., IV, 25/03/24 N° 12178 che afferma la infondatezza del motivo di ricorso “…non sussistendo per la polizia giudiziaria l’obbligo di dare avviso al difensore dì fiducia dell’interessato del compimento dell’atto irripetibile ed urgente (art. 356 cod. proc. pen.). Occorre rammentare che, in tema di guida in stato di ebbrezza, l’avvertimento della facoltà di farsi assistere da un difensore, ai sensi dell’art. 114 disp. att. c.p.p., deve essere rivolto al conducente del veicolo solo nel momento in cui viene avviata la procedura di accertamento strumentate dell’alcolemia, con la richiesta di sottoporsi al relativo test, ma tali avvisi non devono, invece, essere dati al conducente all’atto del compimento di accertamenti preliminari e meramente esplorativi, quali il blow test…”,

ricordando che “…deve ritenersi che gli esami previsti dai commi 4 e 5 dell’art. 186 C.d.S. (accertamento con etilometro, esami clinici presso le strutture sanitarie) per controllare il tasso di alcool nel sangue debbano ricondursi agli atti di polizia giudiziaria urgenti ed indifferibili previsti dall’art. 354, comma 3, del codice di procedura penale…”,

pertanto conseguenzialmente “…va applicato l’art. 114 disp. att. cod. proc. pen., che impone di informare la persona della possibilità di avvalersi dell’assistenza di un difensore, il quale ha facoltà di presenziare alle operazioni senza, peraltro, avere diritto di essere preventivamente avvisato (art. 356 c.p.p.)…”,

aggiungendo infine che “…non è configurabile, a carico della polizia giudiziaria operante, l’obbligo incondizionato di attendere l’arrivo sul luogo del difensore di fiducia avvisato dall’interessato, per il compimento dell’alcoltest, trattandosi di atto di polizia giudiziaria urgente e indifferibile, il cui esito, in quanto legato al decorso del tempo, può essere definitivamente compromesso…”.

Giovanni Paris

INTERVALLO TEMPORALE MASSIMO DI ESECUZIONE DI PROVA ETILOMETRICA: CASS. PEN., VII, 21/03/24 N° 11918, N° 11908, N° 11901

L'etilometro non è revisionato, barista vince la causa

ESISTE UN INTERVALLO TEMPORALE MASSIMO CHE NON PUO’ ESSERE SUPERATO INTERCORRENTE TRA L’ULTIMO ATTO DI GUIDA E LA SOTTOPOSIZIONE AL TEST ALCOLEMICO?

IL CASO

Un soggetto viene condannato per il reato di cui all’art. 186, co. 2, lett. c), C.d.S. .

Viene proposto ricorso in Cassazione censurando la mancanza di elementi probatori validi dai quali desumere che il soggetto guidasse in stato di alterazione causato da abuso di alcool, essendo l’esito del test etilometrico inficiato a causa del considerevole lasso di tempo intercorso tra il suo espletamento e il fermo da parte dell’organo di polizia.

LA CASSAZIONE

Si segnalano tre pronunce CASS. PEN., VII, 21/03/24 N° 11901, CASS. PEN., VII, 21/03/24 N° 11908, CASS. PEN., VII, 21/03/24 N° 11918 che hanno affrontato la questione con medesimo esito.

Si riportano alcuni passaggi della CASS. PEN., VII, 21/03/24 N° 11918, per la quale “…secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in ordine all’intervallo temporale fra la guida e la sottoposizione al test alcolemico, in presenza di un accertamento strumentale del tasso alcolemico conforme alla previsione normativa, grava sull’imputato l’onere di dare dimostrazione di circostanze in grado di privare quell’accertamento di valenza dimostrativa della sussistenza del reato, fermo restando che non integra circostanza utile a tal fine il solo intervallo temporale intercorrente tra l’ultimo atto di guida e l’espletamento dell’accertamento…”,

specificando che “…il decorso di un intervallo temporale tra la condotta di guida incriminata e l’esecuzione del test alcolemico è inevitabile e non incide sulla validità del rilevamento e, tuttavia, che il decorso di un intervallo temporale di alcune ore tra la condotta di guida incriminata e l’esecuzione del test rende necessario verificare, ai fini della sussunzione del fatto in una delle due ipotesi di cui all’art. 186, comma 2, lett. b) e c), C.d.S., la presenza di altri elementi indiziari…”,

ma speficando comunque che quanto sopra richiesto “…non comporta necessariamente che, dato un accertamento strumentale a distanza di un tempo non breve dall’atto di guida (durata invero difficile da determinare una volta per tutte), sia necessario aggiungere elementi indiziari per ottenere il risultato di “prova sufficiente” dell’accusa: si deve, infatti, tenere conto anche della distribuzione degli oneri probatori e se, non v’è alcun dubbio che l’accusa sia tenuta a dare dimostrazione della avveruta integrazione del reato, offrendo la prova di ciascuno e tutti gli elementi essenziali dell’illecito, è altrettanto indubbio che tale prova, per espressa indicazione normativa (e per radicata interpretazione giurisprudenziale), è già data dall’esito di un accertamento strumentale che replichi le cadenze e le modalità previste dal Codice della strada e dal relativo regolamento; la presenza di fattori in grado di compromettere la valenza dimostrativa di quell’accertamento deve essere oggetto di allegazione ad opera dell’imputato, al quale compete di dare la dimostrazione dell’insussistenza dei presupposti del fatto tipico…”.

Giovanni Paris

RIPETIZIONE SEGNALI DI PRESCRIZIONE DOPO OGNI INTERSEZIONE: CONSIGLIO DI STATO, V, 15/03/24 N° 2530

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LUNGO UNA STRADA INTERESSATA DA UNA PRESCRIZIONE DI DIVIETO, OBBLIGO O LIMITAZIONE I RELATIVI SEGNALI DEVONO ESSERE RIPETUTI DOPO OGNI INTERSEZIONE?

LA NORMATIVA

Art. 104 reg. esec. c.d.s. “Disposizioni generali sui segnali di prescrizione”

OMISSIS

2.  Lungo il tratto stradale interessato da una prescrizione i segnali di divieto e di obbligo, nonché quelli di diritto di precedenza, devono essere ripetuti dopo ogni intersezione. Tale obbligo non sussiste per i segnali a validità zonale.

OMISSIS

LA SENTENZA

Il caso trattato dall’organo di giustizia amministrativa non ha avuto ad oggetto un provvedimento sanzionatorio derivante da segnali prescrittivi, ma una situazione per la quale comunque era necessario accertare la presenza della segnaletica stradadale, perchè questo riverberava effetti su altro tipo di provvedimento amministrativo.

Il CONSIGLIO DI STATO, V, 15/03/24 N° 2530, in relazione alla presenza della necessaria segnaletica stradale afferma che il “…divieto non risulta essere stato comunque “ripetuto”, dopo la precedente intersezione stradale, secondo quanto stabilito dall’art. 39 del codice della strada e in particolare del suo regolamento di attuazione il cui art. 104, comma 2, così stabilisce: “Lungo il tratto stradale interessato da una prescrizione i segnali di divieto e di obbligo, nonché quelli di diritto di precedenza, devono essere ripetuti dopo ogni intersezione”. In altre parole i segnali di divieto, dopo ogni incrocio stradale, debbono essere ricollocati ove si intenda confermare una simile prescrizione, pena la loro inopponibilità. Nel caso di specie tali segnali di divieto di fermata non risultano ricollocati, né l’amministrazione dimostra il contrario. Dunque il segnale di divieto non risulta essere validamente presente…”.

APPROFONDIMENTO

Si legga anche il seguente APPROFONDIMENTO nel quale si trattano anche i casi in cui non si applica il dispositivo dell’art. 104/2 reg. esec. c.d.s. per i segnali zonali.

Giovanni Paris

INIDICAZIONI OPERATIVE PER LE ATTIVITA’ DI POLIZIA GIUDIZIARIA RELATIVE ALLA PERSONA OFFESA: DIRETTIVA PROCURA REPUBBLICA ROVIGO DEL 14/02/24 N° 1

Anteprima foto - il palazzo di giustizia

La Procura della Repubblica di Rovigo ha emesso specifica direttiva indirizzata agli organi di polizia giudiziaria, affinché ci sia una puntuale osservanza delle norme di cui al Titolo V del c.p.p., e precisamente degli artt. 90, 90bis e 90bis 1, dettate dal legislatore nell’interesse di una puntuale conoscenza da parte della persona offesa dei suoi diritti e facoltà.

DIRETTIVA DELLA PROCURA DELLA REPUBBLICA DI ROVIGO DEL 14/02/24 N° 1

PERSONA OFFESA/SOGGETTO PASSIVO DEL REATO

Quando si parla di “persona offesa” si tratta del “soggetto passivo” del reato.

Ma chi e’ il “soggetto passivo” del reato?

Soggetto passivo del reato è la persona titolare del bene o interesse giuridico tutelato dalla norma penale e leso dal reato, il codice penale parla di persona offesa”.

Soggetto passivo può essere una singola persona fisica o una persona giuridica, come lo Stato, o una pluralità di persone.

Esempi:

  • nel reato di furto (art. 624 c.p.) soggetto passivo è il detentore della cosa rubata.
  • nel reato, ora abrogato dal d.lgs 7/16, di sottrazione di cosa comune (art. 627 c.p.) soggetti passivi erano coloro che posseggono in comune la cosa.
  • nel reato di fraudolenta distruzione della cosa propria e mutilazione fraudolenta della propria persona (art 642 c.p.). soggetto passivo è la impresa assicuratrice
  • nel reato di falsa testimonianza (art. 372 c.p.) soggetto passivo è lo Stato.

Una delle classificazioni dei reati è quella che prevede i reati plurioffensivi che offendono contemporanemente piu’ soggetti e piu’ oggetti giuridici come ad esempio la calunnia (art 368 c.p.) che offende nello stesso tempo lo stato nel suo interesse alla regolare amministrazione della giustizia e la persona falsamente incolpata.

Giovanni Paris

 

CONDIZIONI PER ADOZIONE DEL FOGLIO DI VIA OBBLIGATORIO E SANZIONI PER SUA VIOLAZIONE: CASS. PEN., I, 04/03/24 N° 9265

Di fogli di via e pericolosità sociale. Intervista all'avv. Serena Tucci -  Osservatorio Repressione

COSA E’ IL “FOGLIO DI VIA OBBLIGATORIO”? QUALI SONO LE CONDIZIONE PER LA SUA ADOZIONE? QUALI SONO LE SANZIONI PREVISTE IN CASO DI SUO INADEMPIMENTO?

LA NORMATIVA

D.Lgs. 06/09/11 n. 159 “Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136″.

Art. 1  “Soggetti destinatari”

1.  I provvedimenti previsti dal presente capo si applicano a:

a)  coloro che debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dediti a traffici delittuosi;
b)  coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose;
c)  coloro che per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, comprese le reiterate violazioni del foglio di via obbligatorio di cui all’articolo 2, nonché dei divieti di frequentazione di determinati luoghi previsti dalla vigente normativa, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica.
.

Art. 2  “Foglio di via obbligatorio”

1.  Qualora le persone indicate nell’articolo 1 siano pericolose per la sicurezza pubblica e si trovino in un comune diverso dai luoghi di residenza o di dimora abituale, il questore, con provvedimento motivato, può ordinare loro di lasciare il territorio del medesimo comune entro un termine non superiore a quarantotto ore, inibendo di farvi ritorno, senza preventiva autorizzazione, per un periodo non inferiore a sei mesi e non superiore a quattro anni. Il provvedimento è efficace nella sola parte in cui dispone il divieto di ritorno nel comune, nel caso in cui, al momento della notifica, l’interessato abbia già lasciato il territorio del comune dal quale il questore ha disposto l’allontanamento.

Art. 76  “Altre sanzioni penali”

OMISSIS

3.  Il contravventore alle disposizioni di cui all’articolo 2, è punito con la reclusione da sei a diciotto mesi e con la multa fino a 10.000 euro.

OMISSIS

IL CASO

Un soggetto è stato riconosciuto colpevole del reato di cui all’art. 76 del D.L.gs 159/11 per avere contravvenuto al divieto impostogli con il foglio di via obbligatorio.

Viene proposto ricorso in Cassazione lamentando l’inosservanza ed erronea applicazione dell’art.1, comma 1, lett. a), b) e c), d.lgs. 159/2011 con vizio di motivazione rispetto alla corretta verifica dell’appartenenza dell’imputato ad una delle categorie di cui alla citata disposizione, nonché in relazione alla affermazione della sua concreta pericolosità sociale. Al riguardo osserva che il provvedimento del Questore non lo aveva classificato in alcuna delle citate categorie normative e che, quindi, il Tribunale nel pronunciare la sentenza di condanna aveva arbitrariamente ascritto l’imputato nella categoria delle persone pericolose per la sicurezza pubblica di cui alla lettera c) di cui al citato art.1, mentre la Corte di appello – in modo apodittico ed avulso dalle risultanze processuali – lo aveva inserito nella categoria delle persone che traggono sostentamento della commissione di reati.

LA SENTENZA

Sul caso CASS. PEN., I, 04/03/24 N° 9265 afferma che “…il provvedimento del Questore…è illegittimo per carenza di motivazione, sicché deve essere disapplicato. …”.

Si ribadisce che è stato “…fissato il principio di diritto, secondo il quale, “in tema di legittimità dell’atto amministrativo e per espressa disposizione normativa, il provvedimento di rimpatrio emesso dal Questore deve essere motivato” e ha spiegato che tanto “comporta che detto provvedimento deve fare riferimento agli elementi di fatto sui quali si basa il giudizio di appartenenza del prevenuto a una delle categorie indicate nella L. n.1423 del 1956, art. 1 (ora d.lgs. 159/2011) ed indicare i motivi che inducono a ritenerlo socialmente pericoloso, non essendovi coincidenza tra la appartenenza ad una delle categorie di cui al citato art. 1 e la pericolosità sociale del soggetto, dovendosi tale elemento desumere da ulteriori circostanze, delle quali si deve dare atto nel provvedimento”…”,

osservando che “…non solo il provvedimento del Questore ha omesso di indicare elementi che suffraghino la appartenenza del ricorrente ad alcuna delle categorie, previste dalla L. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 1, ma addirittura dal tenore del provvedimento neppure è dato evincere a quale delle citate categorie il Questore supponeva che l’odierno ricorrente appartenesse. …”.

Giovanni Paris

MODIFICHE AL DISCIPLINARE PER LE SCORTE TECNICHE ALLE COMPETIZIONI CICLISTICHE SU STRADA: CIRCOLARE MINISTERO DELL’INTERNO N° 300/STRAD/1/0000008933.U/2024 DEL 21/03/2024

ASA, QUALE FUTURO?

Ministero dell’Interno

“Disciplina delle competizioni ciclistiche su strada – Modifiche al disciplinare per le scorte tecniche alle competizioni ciclistiche, approvato con provvedimento del 5 febbraio 2024”

CIRCOLARE N° 300/STRAD/1/0000008933.U/2024 DEL 21/03/24

IL PROVVEDIMENTO

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E TRASPORTI DEL 05/02/24 “MODIFICHE AL DISCIPLINARE PER LE SCORTE TECNICHE ALLE COMPETIZIONI CICLISTICHE SU STRADA”

LE PRECEDENTI CIRCOLARI

Si riportano le circolari citate nella circolare del 21/03/24.

Circ. n. 300/STRAD/1/0000005784.U/2023 del 15/02/23

Circ. n. 300/A/6989/20/116/1/1 del 29/09/20

Circ. n. 300/A/10164/19/116/1/1 del 27/11/19

Giovanni Paris

DECRETO MINISTERIALE SU MODALITA’ DI COLLOCAZIONE E USO AUTOVELOX

Autovelox, la sentenza che cambia tutto: quando la multa può essere  annullata

Bozza del decreto del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, di concerto con il Ministro dell’Interno, relativo alle modalità di collocazione e uso dei dispositivi o mezzi tecnici di controllo, finalizzati al rilevamento a distanza delle violazioni delle norme di comportamento di cui all’articolo 142 del c.d.s.

TESTO DEL DECRETO “AUTOVELOX” CON ALLEGATI

Ed il parere di Anci con osservazioni e perplessità.

PARERE ANCI DECRETO “AUTOVELOX”

Giovanni Paris

DISPOSIZIONI PER LA TUTELA DELLA SICUREZZA DEL PERSONALE SCOLASTICO: L. 04/03/24 N° 25

Conegliano. Prof umiliato da bulli e cacciato dalla classe. Video ripreso  con il cellulare. Il docente è morto 3 mesi fa - Positanonews

Si segnala la pubblicazione in G.U. della L. 04/03/24 n° 25 “Modifiche agli articoli 61, 336 e 341-bis del codice penale e altre disposizioni per la tutela della sicurezza del personale scolastico” che mira a tutelare la sicurezza del personale scolastico a fronte di sempre più frequenti episodi di violenza nei confronti dei docenti.

L. 04/03/24 n° 25

La normativa prevede:

  • l’istituzione di un apposito osservatorio nazionale,
  • la promozione di informazione,
  • l’istituzione della Giornata nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti del personale scolastico individuata il 15 dicembre di ogni anno.

Inoltre è stato previsto un intervento modificativo/integratico al codice penale, precisamente con l’aggiunta di:

  • una circostanza aggravante all’art. 61 c.p. “Circostanze aggravanti comuni”;
  • una aggravante all’art. 336 c.p. “Violenza o minaccia a un pubblico ufficiale”;
  • una aggravante all’art. 341-bis c.p. “Oltraggio a pubblico ufficiale”.

Giovanni Paris

ART. 255/1 D.LGS. 152/06 ABBANDONO E DEPOSITO INCONTROLLATI DI RIFIUTI MODIFICATO DA ART. 6-TER D.L. 105/23: DIRETTIVA PROCURA REPUBBLICA PARMA DEL 15/03/24 N° 10

L'associazione carabinieri a supporto degli uffici della Procura di Parma -  la Repubblica

Si segnala la DIRETTIVA DELLA PROCURA DELLA REPUBBLICA DI PARMA DEL 15/03/24 N° 10 che, in considerazione di avvenute richieste di chiarimenti da parte di alcuni organi di Polizia giudiziaria interessati alla concreta applicazione della nuova normativa, all’esito dei necessari approfondimenti e previa verifica di direttive adottate da altre Procure, interviene con una lettura più sistematica recando chiarimenti normativi relativamente alle modifiche al D.Lgs. 152/06 in materia di abbandono e deposito incontrollati di rifiuti.

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LA NORMATIVA

L’art. 6-ter del D.L. 105/23 “Disposizioni urgenti in materia di processo penale, di processo civile, di contrasto agli incendi boschivi, di recupero dalle tossicodipendenze, di salute e di cultura, nonché in materia di personale della magistratura e della pubblica amministrazione” ha modificato l’art. 255/1 del D.Lgs. 152/06 prevedendo che:

Fatto salvo quanto disposto dall’articolo 256, comma 2, chiunque, in violazione delle disposizioni degli articoli 192, commi 1 e 2, 226, comma 2, e 231, commi 1 e 2, abbandona o deposita rifiuti ovvero li immette nelle acque superficiali o sotterranee è punito con l’ammenda da mille euro a diecimila euro. Se l’abbandono riguarda rifiuti pericolosi, la pena è aumentata fino al doppio.”

trasformando in tal modo la violazione da illecito amministrativo a illecito penale.

La precedente versione dell’art. 255/1 del D.Lgs. 152/06 recitava:

“Fatto salvo quanto disposto dall’articolo 256, comma 2, chiunque, in violazione delle disposizioni di cui agli articoli 192, commi 1 e 2, 226, comma 2, e 231, commi 1 e 2, abbandona o deposita rifiuti ovvero li immette nelle acque superficiali o sotterranee è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da trecento euro a tremila euro. Se l’abbandono riguarda rifiuti pericolosi, la sanzione amministrativa è aumentata fino al doppio”.

Pertanto ora l’abbandono e il deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo realizzato da un semplice cittadino costituisce reato, come quello effettuato da un titolare d’impresa o responsabile di ente, come previsto dall’art. 256/2 D.Lgs. 152/06, il quale prevede che:

“1.  Fuori dai casi sanzionati ai sensi dell’articolo 29-quattuordecies, comma 1, chiunque effettua una attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione di cui agli articoli 208209210211212214215 e 216 è punito:

a)  con la pena dell’arresto da tre mesi a un anno o con l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro se si tratta di rifiuti non pericolosi;
b)  con la pena dell’arresto da sei mesi a due anni e con l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro se si tratta di rifiuti pericolosi.

2.  Le pene di cui al comma 1 si applicano ai titolari di imprese ed ai responsabili di enti che abbandonano o depositano in modo incontrollato i rifiuti ovvero li immettono nelle acque superficiali o sotterranee in violazione del divieto di cui all’articolo 192, commi 1 e 2.”

Giovanni Paris

DIMENSIONE DEGLI STALLI DI SOSTA: PARAGRAFO 3.4.7 DEL D.M. 6792/01 E PARERE MINISTERO TRASPORTI DEL 25/06/09 N° 65235

Stalli di sosta a spina di pesce in via Industriale | Sicilians

IL CODICE DELLA STRADA PREVEDE LE DIMENSIONI CHE DEVONO AVERE GLI STALLI DI SOSTA?

LA NORMATIVA

Art. 40  c.d.s. “Segnali orizzontali”

“1.  I segnali orizzontali, tracciati sulla strada, servono per regolare la circolazione, per guidare gli utenti e per fornire prescrizioni od utili indicazioni per particolari comportamenti da seguire.

2.  I segnali orizzontali si dividono in:

OMISSIS

f)  strisce di delimitazione degli stalli di sosta o per la sosta riservata;
OMISSIS
.
Art. 149  reg. esec. c.d.s. “Strisce di delimitazione degli stalli di sosta o per la sosta riservata”

“1.  La delimitazione degli stalli di sosta è effettuata mediante il tracciamento sulla pavimentazione di strisce della larghezza di 12 cm formanti un rettangolo, oppure con strisce di delimitazione ad L o a T, indicanti l’inizio, la fine o la suddivisione degli stalli entro i quali dovrà essere parcheggiato il veicolo.

2.  La delimitazione degli stalli di sosta mediante strisce (fig. II.444) è obbligatoria ovunque gli stalli siano disposti a spina (con inclinazione di 45° rispetto all’asse della corsia adiacente agli stalli) ed a pettine (con inclinazione di 90° rispetto all’asse della corsia adiacente agli stalli); è consigliata quando gli stalli sono disposti longitudinalmente (parallelamente all’asse della corsia adiacente agli stalli).

OMISSIS

IL CODICE DELLA STRADA ED IL SUO REGOLAMENTO NON PREVEDONO SPECIFICHE DISPOSIZIONI SULLE DIMENSIONI CHE DEVONO AVERE GLI STALLI DI SOSTA.

IL MINISTERO

E’ il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti che al PARAGRAFO 3.4.7 “REGOLAZIONE DELLA SOSTA” DEL D.M. 05/11/01 N° 6792 “Norme funzionali e geometriche per la costruzione delle strade” indica le dimensioni degli stalli di sosta.

Inoltre con il parere del 25/06/09 n° 0065235, espresso a risposta ad una istanza inoltrata dall’asssociazione “Coordinamento Nazionale dei Camperisti”, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha affrontato ampiamente il tema della sosta, del parcheggio e della relativa segnaletica stradale e ha trattato anche la questione delle dimensioni degli stalli di sosta.

Il Ministero in proposito scrive che “…Le prescrizioni normative riguardo le dimensioni minime degli stalli di sosta si rinvengono nell’allegato tecnico al D.M. Infrastrutture e Trasporti 5 novembre 2001, n. 6792, recante norme funzionali e geometriche per la costruzione delle strade, che al paragrafo 3.4.7 così dispone: Gli stalli devono essere delimitati con segnaletica orizzontale; la profondità della fascia stradale da loro occupata è di 2,00 m per la sosta longitudinale, di 4,80 m per la sosta inclinata a 45° e di 5,00 m per quella perpendicolare al bordo della carreggiata. La larghezza del singolo stallo è di 2,00 m (eccezionalmente di 1,80 m per la sosta longitudinale, con una lunghezza occupata di 5,00 m; è di 2,30 m. per la sosta trasversale.

Nell’applicare la normativa in questione è opportuno tenere in considerazione che le misure di cui trattasi sono indicate come misure minime. Nel caso specifico degli stalli di sosta longitudinali lungo le strade, al fine di consentire la possibilità di sosta a tutti i veicoli e di ottimizzare le superfici di parcamento disponibili, senza incorrere in probabili vizi di legittimità del relativo provvedimento amministrativo, in special modo per eccesso di potere, si ritiene necessario realizzare stalli di sosta delimitati unicamente per larghezza, in modo che tutti, a prescindere dal veicolo che utilizzano possono fruire dell’area di sosta. Nel caso di stalli di sosta inclinati o perpendicolari alla corsia di marcia, è invece auspicabile adottare una profondità degli stessi coerente con la possibilità di garantire la sosta alle tipologie di veicoli cui si intende consentirla.

Infatti è impregiudicata la facoltà per l’ente proprietario della strada di limitare la sosta a determinate categorie di veicoli qualora le caratteristiche della strada, le condizioni di traffico, ed altre motivate esigenze lo rendano opportuno e necessario. …”.

Giovanni Paris

COLLOCAZIONE OBBLIGATORIA DEL CROCIFISSO TRAMITE ORDINANZA SINDACALE CONTINGIBILE ED URGENTE: CONSIGLIO DI STATO, II, 18/03/24 N° 2567

L'esposizione del crocifisso nelle aule italiane - Gilda Venezia

E’ LEGGITTIMA LA EMISSIONE DI UNA ORDINANZA SINDACALE CONTINGIBILE ED URGENTE CHE PREVEDA LA COLLOCAZIONE OBBLIGATORIA DEL CROCIFISSO NEGLI UFFICI PUBBLICI?

QUALI SONO I PRESUPPOSTI PER LA EMISSIONE DI UNA ORDINANZA SINDACALE CONTINGIBILE ED URGENTE?

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INQUADRAMENTO GENERALE

Le ordinanze di urgente necessità sono, secondo la definizione data da Massimo Severo Giannini provvedimenti amministrativi innominati, che si inventano e si adottano in caso di necessità allorché le norme non contemplano altro strumento d’urgenza per provvedere ad un interesse pubblico.

Esse costituiscono espressione di un potere derogatorio libero nel contenuto, in quanto provvedimenti medianti i quali, nelle situazioni di urgente necessità, le autorità amministrative indicate dalla legge possono porre in essere statuizioni di vario contenuto.

DEFINIZIONE

Non si rintraccia nel nostro ordinamento giuridico una definizione normativa di ordinanza contingibile ed urgente, quindi è possibile proporne una che è il frutto della elaborazione dottrinale e giurisprudenziale.

Tentiamo di fornire una definizione la più esaustiva, chiara e completa dei suoi elementi essenziali e caratteri.

Possiamo dire che l’ordinanza contingibile ed urgente di competenza del Sindaco è:

quel provvedimento amministrativo, adeguatamente motivato, di indole straordinaria, atipico, espressione di un potere extra ordinem, libero nel contenuto, con efficacia limitata nel tempo e che deve comunque rispettare le norme costituzionali ed i principi generali dell’ordinamento, che il Sindaco emette in qualità di Ufficiale di Governo in casi di necessità ed urgenza derivanti da eventi eccezionali ed imprevedibili al fine di evitare o eliminare pericoli per l’incolumità dei cittadini, quando non è possibile provvedere con i mezzi ordinari posti a disposizione dall’ordinamento giuridico.

FONDAMENTO

La attribuzione di tale potere trova il suo fondamento logico nel fatto che l’ordinamento giuridico, pur prevedendo e regolamentando moltissime situazioni di necessità ed urgenza, non può disciplinare compiutamente tutti i casi, per cui in tali situazioni ove l’autorità non fosse dotata del potere di ordinanza si troverebbe costretta a non agire per non violare il principio della legalità oppure ad agire illegittimamente per porre rimedio alle situazioni medesime.

DEROGA TIPICITA’

Le ordinanze contingibili ed urgenti sono espressione di un potere straordinario ed eccezionale per il quale l’ordinamento fissa solo alcuni elementi: l’organo competente, i presupposti (necessità ed urgenza), mentre lascia all’autorità amministrativa una ampia sfera discrezionale circa la determinazione del contenuto, rappresentando così una restrizione del principio di legalità, prevedendo un genere di provvedimento ATIPICO.

Quindi esse sono provvedimenti che comunque osservano il principio di legalità, (perché trovano fondamento esclusivo nella legge), ma costituiscono una eccezione rispetto alla regola della tipicità e deroga al principio della riserva di legge (perché impongono obblighi non previsti per legge, si “crea” diritto), potendo altresì emanare disposizioni derogatorie della normativa vigente.

PRESUPPOSTI

Si è detto che l’ordinamento conferisce il potere di emettere ordinanze di necessità quando concorrono i presupposti della contingibilità ed urgenza.

Cosa indicano tali concetti?

Prima di tutto va chiarito che essi sono riferiti non al provvedimento, ma ai fatti che ne determinano e legittimano la emanazione.

CONTINGIBILITA’: essa è conosciuta anche con il termine di NECESSITA’, indica l’esistenza di un fatto di indole straordinaria, inconsueta, accidentale, quindi imprevista o imprevedibile, da ciò una situazione di emergenza che rende necessario un intervento a sua disciplina.

URGENZA: indica che l’intervento deve essere immediatamente realizzato stante la imminenza di una situazione di pericolo di danno reale ed attuale a cui si impone di ovviare, senza possibilità di aspettare.

INESISTENZA DI STRUMENTI GIURIDICI ORDINARI

Bisogna aggiungere che da sole la contingibilità e l’urgenza in sé non legittimano l’emissione di una ordinanza di necessità, ma ciò può avvenire solo quando non è possibile altrimenti provvedere adeguatamente con i mezzi ordinari previsti dall’ordinamento, quindi ogni qual volta la situazione è possibile fronteggiarla con rimedi ordinari previsti per legge non è possibile far ricorso all’ordinanza contingibile ed urgente.

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LA NORMATIVA

Articolo 50  T.U.E.L. “Competenze del sindaco e del presidente della provincia”

“OMISSIS

5.  In particolare, in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale le ordinanze contingibili e urgenti sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale. Le medesime ordinanze sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale, in relazione all’urgente necessità di interventi volti a superare situazioni di grave incuria o degrado del territorio, dell’ambiente e del patrimonio culturale o di pregiudizio del decoro e della vivibilità urbana, con particolare riferimento alle esigenze di tutela della tranquillità e del riposo dei residenti, anche intervenendo in materia di orari di vendita, anche per asporto, e di somministrazione di bevande alcoliche e superalcoliche. Negli altri casi l’adozione dei provvedimenti d’urgenza, ivi compresa la costituzione di centri e organismi di referenza o assistenza, spetta allo Stato o alle regioni in ragione della dimensione dell’emergenza e dell’eventuale interessamento di più ambiti territoriali regionali.

OMISSIS”

Articolo 54  T.U.E.L. Attribuzioni del sindaco nelle funzioni di competenza statale

“OMISSIS

4.  Il sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta con atto motivato provvedimenti, anche contingibili e urgenti nel rispetto dei princìpi generali dell’ordinamento, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana. I provvedimenti di cui al presente comma sono preventivamente comunicati al prefetto anche ai fini della predisposizione degli strumenti ritenuti necessari alla loro attuazione.

4-bis.  I provvedimenti adottati ai sensi del comma 4 concernenti l’incolumità pubblica sono diretti a tutelare l’integrità fisica della popolazione, quelli concernenti la sicurezza urbana sono diretti a prevenire e contrastare l’insorgere di fenomeni criminosi o di illegalità, quali lo spaccio di stupefacenti, lo sfruttamento della prostituzione, la tratta di persone, l’accattonaggio con impiego di minori e disabili, ovvero riguardano fenomeni di abusivismo, quale l’illecita occupazione di spazi pubblici, o di violenza, anche legati all’abuso di alcool o all’uso di sostanze stupefacenti.

OMISSIS”

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IL CASO

Un Sindaco ha emesso una ordinanza, ai sensi degli articoli 50 e 54 del d. lgs. n. 267 del 2000, con la quale ha previsto l’immediata affissione del crocifisso in tutti gli uffici pubblici presenti nel territorio comunale, prevedendo al contempo una sanzione a carico dei trasgressori. L’ordinanza fu poi successivamente revocata.

Vi è da segnalare che in base alla sentenza del 18 marzo del 2011 della Corte Edu in materia di simboli religiosi ogni stato membro è titolare di un margine di apprezzamento quanto al luogo della loro esposizione, dovendosi al contempo escludere che il crocifisso rappresenti un elemento di indottrinamento, incompatibile, in quanto tale, con la libera espressione del pensiero.

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IL CONSIGLIO DI STATO

Sappiamo che nessuna autorità può prevedere la imposizione di obblighi, divieti e limitazioni se non nei limiti in cui questo è previsto dalla legge, questo si chiama PRINCIPIO DI LEGALITA’, quindi nessuno, tranne gli organi specificamente preposti, può essere “creatore” o “inventore” del diritto.

Il CONSIGLIO DI STATO, II, 18/03/24 N° 2567 che si è occupato della vicenda premette che “…Nel nostro ordinamento, a garanzia della sfera giuridico-patrimoniale dei consociati, vigono il principio di legalità ed il principio di tipicità dei provvedimenti amministrativi. Per tale ragione, le fattispecie nelle quali la legge ammette che un atto amministrativo possa avere contenuto atipico sono da ritenersi eccezionali e, per tali motivi, di stretta interpretazione. …”

Nello specifico “…Nel caso dei poteri contingibili e urgenti attribuiti al Sindaco – che, presentando un contenuto atipico, rientrano in quest’ultima categoria – onde ulteriormente restringerne l’operatività, il T.U.E.L. prevede specifici requisiti per il relativo esercizio. …”.

Si osserva che “…Il provvedimento impugnato ha giustificato la prescrizione con cui imponeva l’esposizione del crocifisso negli uffici pubblici con l’urgenza di “preservare le attuali tradizioni ovvero mantenere negli edifici pubblici di questo comune la presenza del crocifisso quale simbolo fondamentale dei valori civili e culturali del nostro paese”. All’evidenza la motivazione ora richiamata non rientra, neppure indirettamente, in alcuno dei presupposti di fatto che avrebbero legittimato l’esercizio del relativo potere. E poiché oltre a quanto osservato, in tema di provvedimenti contingibili e urgenti, “soltanto a fronte di una puntuale rappresentazione della situazione di grave pericolo attuale, suffragata da istruttoria e motivazione adeguate, si può giustificare l’eccezionale deroga al principio di tipicità degli atti amministrativi ed alla disciplina vigente, attuata mediante l’utilizzazione di provvedimenti “extra ordinem”…ne deriva che il provvedimento impugnato è stato emesso in difetto di attribuzioni e che pertanto, in accoglimento del gravame, deve ritenersi per tali ragioni illegittimo. …”.

Inoltre “…non risulta che il sindaco, prima di emettere la misura, abbia effettuato alcun ragionevole bilanciamento tra gli interessi in gioco coinvolti nella decisione amministrativa. …”,

come affermato, sebbene con specifico riferimento al crocifisso affisso nelle aule scolastiche, dalle Sezioni Unite della Cassazione per le quali “…tale valutazione andava esperita perché “il R.D. n. 965 del 1924, art. 118 , che comprende il crocifisso tra gli arredi scolastici, deve essere interpretato in conformità alla Costituzione e alla legislazione che dei principi costituzionali costituisce svolgimento e attuazione, nel senso che la comunità scolastica può decidere di esporre il crocifisso in aula con valutazione che sia frutto del rispetto delle convinzioni di tutti i componenti della medesima comunità, ricercando un “ragionevole accomodamento” tra eventuali posizioni difformi”. (In questo senso la Suprema Corte, con la sentenza n. 24414 del 9 settembre del 2021 che ha dichiarato illegittima una circolare del dirigente scolastico che, nel richiamare tutti i docenti della classe al dovere di rispettare e tutelare la volontà degli studenti, espressa a maggioranza in una assemblea, di vedere esposto il crocifisso nella loro aula, non ricerchi un ragionevole accomodamento con la posizione manifestata dal docente dissenziente). …”.

Giovanni Paris

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