Sappiamo tutti quanto sia forte a volte la tentazione di far sì che per una violazione, che si ritiene “giusto” punire in maniera più efficace, vengano previste sanzioni pecuniarie e/o accessorie più consistenti e/o diverse da quelle disciplinate dalla normativa esistente, inserendole in fonti regolamentari o in ordinanze sindacali, persino a volte prevedendo obblighi, divieti o limitazioni non previsti dalla normativa.
Ma tali scelte sono legittime? Possono atti formalmente amministrativi, pur con forza normativa, quali i regolamenti o provvedimenti amministrativi quali le ordinanze proporsi come “inventori” del diritto?
Il nostro ordinamento giuridico prevede in ambito penale, espresso dall’art. 25 della Costituzione e dall’art. 1 del Codice penale, il PRINCIPIO DI LEGALITA’ per cui nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente previsto come reato dalla legge, nè con pene che non siano da essa stabilite.
Analogamente in ambito sanzionatorio amministrativo, per l’illecito amministrativo, che mutua la sua natura dall’illecito penale, l’art. 1 della l. 689/81 dispone che nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione.
Segnalo il pronunciamento della Corte di cassazione, II, ord. 17/06/22 n° 19696 (scarica e leggi), di cui riporto un passaggio conclusivo, ma che invito a leggere nella sua interezza per l’importante sviluppo logico giuridico esposto riguardante il principio in discussione:
“…Questa Corte, con orientamento consolidato, al quale il collegio intende dare continuità, ha affermato che l’art. 1 della legge 24 novembre 1981 n. 689 ha recepito anche per le sanzioni amministrative il principio di legalità, impedendo che possano essere comminate da disposizioni contenute in fonti normative subordinate, come un regolamento comunale o un’ordinanza del Sindaco, con la conseguenza che, in sede di giudizio di opposizione ad ordinanza-ingiunzione emessa per l’irrogazione di sanzione illegittimamente prevista da fonte regolamentare, il giudice ordinario ha il potere-dovere di disapplicazione di tale previsione, in virtù dell’art. 5 della legge 20 marzo 1865 n. 2248, all. E. …”