ETICHETTATURA PRODOTTI ALIMENTARI E FRODE IN COMMERCIO: CASS. PEN., III, 13/09/23 N° 37310

LA DETENZIONE DI PRODOTTI ALIMENTARI DI ORIGINE DIVERSA DA QUELLA RIPORTATA NELLA ETICHETTA E DESTINATI ALLA VENDITA, NON SOLO AL CONSUMATORE FINALE, MA ANCHE AD ALTRI COMMERCIANTI, INTEGRA IL REATO DI FRODE NELL’ESERCIZIO DEL COMMERCIO EX ART. 515 C.P. (CONSUMATO O TENTATO) O IL REATO DI TRUFFA EX ART. 640 C.P. ?

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LA NORMATIVA

Art. 515 c.p. “Frode nell’esercizio del commercio”

“Chiunque, nell’esercizio di un’attività commerciale, ovvero in uno spaccio aperto al pubblico, consegna all’acquirente una cosa mobile per un’altra, ovvero una cosa mobile, per origine, provenienza, qualità o quantità, diversa da quella dichiarata o pattuita, è punito, qualora il fatto non costituisca un più grave delitto, con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a euro 2.065.

Se si tratta di oggetti preziosi, la pena è della reclusione fino a tre anni o della multa non inferiore a euro 103″.

Art. 56 c.p. “Delitto tentato”

“Chi compie atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un delitto, risponde di delitto tentato, se l’azione non si compie o l’evento non si verifica.

Il colpevole di delitto tentato è punito: con la reclusione non inferiore a dodici anni, se la pena stabilita è l’ergastolo; e, negli altri casi, con la pena stabilita per il delitto, diminuita da un terzo a due terzi.

Se il colpevole volontariamente desiste dall’azione, soggiace soltanto alla pena per gli atti compiuti, qualora questi costituiscano per sé un reato diverso.

Se volontariamente impedisce l’evento, soggiace alla pena stabilita per il delitto tentato, diminuita da un terzo alla metà”.

Art. 640 c.p. “Truffa”

“Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 51 a euro 1.032.

La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 309 a euro 1.549:

1. se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o dell’Unione europea o col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare;

2. se il fatto è commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario o l’erroneo convincimento di dovere eseguire un ordine dell’autorità;

2-bis. se il fatto è commesso in presenza della circostanza di cui all’articolo 61, numero 5).

Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze previste dal capoverso precedente”.

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IL CASO

Un soggetto è stato condannato per il reato di cui agli artt. 56 e 515 c.p. perché ha compiuto atti diretti in modo non equivoco a vendere una cosa mobile per origine, provenienza e qualità, diversa da quella dichiarata, senza conseguire l’evento per cause indipendenti dalla propria volontà; in particolare è stata contestata la detenzione per la vendita di lattine contenenti olio extravergine di oliva di origine greca, recanti l’etichetta “olio estratto in Italia da olive coltivate in Italia 100% italiano”, confezionato in lattine.

Viene proposto ricorso in Cassazione contestando la affermazione della responsabilità, in quanto, nel caso di “frode qualitativa”, la norma penale punisce solo quelle difformità concernenti le caratteristiche essenziali del prodotto, non rilevando qualunque difformità della res rispetto le qualità dichiarate nell’offerta di vendita. Si rileva, inoltre, che la fattispecie in contestazione non è configurabile a titolo di delitto tentato, posto che l’evento tipico del reato è rappresentato dal passaggio della res nella sfera di disponibilità dell’acquirente con la consegna della stessa e che la fattispecie incriminata tutela il rapporto negoziale instaurato tra il venditore e l’acquirente; si evidenzia, in tal senso, che, nel caso di specie, non vi è stata alcuna trattativa per la vendita, in quanto la merce era solo depositata in magazzino, né esposta in vendita.

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LA SENTENZA

La CASS. PEN., III, 13/09/23 N° 37310 conferma la condanna osservando che “…La ratio del reato di frode nell’esercizio del commercio risiede nel sanzionare le frodi negli scambi commerciali non rientranti nell’ambito applicativo della truffa, ponendosi, rispetto a tale fattispecie, in posizione sussidiaria e residuale. L’elemento oggettivo consiste nella consegna della cosa mobile. La fattispecie si consuma, pertanto, con la consegna della cosa o del documento che la rappresenta. Con riferimento al tentativo, ritenuto pacificamente ammissibile qualora la cosa non venga consegnata all’acquirente, come, ad esempio, nel caso in cui questi si rifiuti, si è discusso se possa essere integrato anche con la semplice detenzione per la vendita di una merce con indicazioni mendaci sulla sua origine, produzione e qualità. La questione controversa concerne l’interrogativo se si integri il tentativo in caso di mera detenzione oppure sia necessaria una detenzione preordinata univocamente alla vendita, come, per esempio, nel caso di esposizione del bene all’attenzione dell’acquirente. Secondo un’opzione ermeneutica, ciò va escluso sulla base della considerazione che il legislatore non ha inteso ravvisare in tale condotta un atto idoneo diretto in modo non equivoco a compiere una frode in commercio. Sul tema, la giurisprudenza ha ritenuto configurabile il tentativo di frode nell’esercizio del commercio, ma secondo un orientamento più risalente, è necessaria la conclusione del contratto o almeno una forma di contrattazione idonea, volta alla consegna della merce diversa da quella pattuita. Secondo l’orientamento giurisprudenziale più recente, e ormai consolidato, invece, è integrato il tentativo anche in caso di mera detenzione della merce per la vendita. In quest’ottica, è stato condivisibilmente affermato che, in tema di frode nell’esercizio del commercio, mentre la fattispecie consumata è integrata dalla consegna materiale della merce all’acquirente, per la configurabilità del tentativo non è necessaria la sussistenza di una contrattazione finalizzata alla vendita, essendo sufficiente l’accertamento della destinazione alla vendita di un prodotto diverso per origine, provenienza, qualità o quantità da quelle dichiarate o pattuite. …In tal senso, anche la mera detenzione presso un magazzino di prodotti finiti, recanti false indicazioni di provenienza, anche se non destinati al commercio al dettaglio e al consumatore finale ma a utilizzatori commerciali intermedi, integra il tentativo di frode nell’esercizio del commercio, mentre la condotta consumata è costituita dalla consegna materiale della merce all’acquirente. Configura, dunque, il tentativo, anche la mera detenzione in magazzino di merce non rispondente per origine, provenienza, qualità o quantità a quella dichiarata o pattuita, trattandosi di dato pacificamente indicativo della successiva immissione nella rete distributiva di tali prodotti…e ciò anche nel caso in cui la merce sia detenuta da un commerciante all’ingrosso, dovendosi pacificamente riconoscere, in considerazione delle condotte tipizzate, che la disposizione in esame tuteli tanto i consumatori quanto gli stessi commercianti, allorquando presso il magazzino di prodotti finiti dell’impresa di produzione sia detenuta merce con false indicazioni di provenienza destinata non al consumatore finale ma ad utilizzatori commerciali intermedi…

La merce confezionata ed etichettata, posta all’interno del punto vendita al dettaglio, era esposta sul banco per la vendita, sicché deve ritenersi sussistente la forma tentata, pur non esistendo alcuna trattativa in corso per la vendita.

Giovanni Paris

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